31 gennaio 1965. CLAMOROSO ALLO STADIO “PINO ZACCHERIA”. L’ INCREDIBILE DOMENICA IN CUI IL FOGGIA DIVENNE… INTERNAZIONALE…!  L’Inter Campione del Mondo. Le profezie di Padre Pio. Un incontro di calcio indimenticabile. Foggia–Inter 3 a 2. Benito Lorenzi, detto “Veleno”, primo calciatore nella storia dell’Inter a recarsi in visita da Padre Pio.

Mazzola bacia la mano di Padre Pio

Il mondo del calcio è ricco di episodi insoliti, di aneddoti indiscreti, di fatti particolari, di risultati a sorpresa, di sfide mozzafiato, di giocate sbalorditive e di eventi a volte incredibili. Uno di questi eventi, entrati nelle pagine di storia, si verificò a San Giovanni Rotondo. Era il pomeriggio del 30 gennaio 1965. La squadra di calcio all’epoca più vincente nel mondo giunse nel convento del Frate più conosciuto al mondo. La storica visita dell’Inter a Padre Pio da Pietrelcina. L’incontro tra il Santo e la Delegazione nerazzurra. La duplice profezia dello stigmatizzato del Gargano. Nel mite pomeriggio di una domenica d’inverno di 58 anni fa, allo stadio “Pino Zaccheria”, il neopromosso Foggia di Oronzo Pugliese e la “Grande Inter” di Helenio Herrera, scrissero una pagina indimenticabile del calcio italiano. Una di quelle pagine che richiamano alla mente la storia di Davide contro Golia. Il Foggia giocò contro i nerazzurri, una delle migliori partite della sua storia calcistica e vinse. L’Inter giocò a Foggia la migliore partita di quel campionato e fu sconfitta. Il portiere del Foggia, Giuseppe Moschioni, fu autore di ben cinque prodigiose parate. A meno di due minuti dal termine dell’incontro, l’estremo difensore rossonero, sventò con un fenomenale intervento, il tiro preciso e ravvicinato di Mario Corso, evitando il pareggio dell’Inter: sarebbe stato il 3 a 3. A San Giovanni Rotondo, Padre Pio disse ad Herrera: “Domani a Foggia perderete!”. La strepitosa parata finale di Moschioni racchiude il segreto di quella indimenticabile vittoria rossonera? Gli “assist” vincenti di Giorgio Maioli. La “doppietta” di Nocera. I 3 gol del Foggia ai Campioni del Mondo. Il furibondo “assedio” finale dell’Inter nell’area di rigore Foggia. Il portiere nerazzurro, Rosario Di Vincenzo, maledisse quel giorno in cui sostituì il portiere titolare Giuliano Sarti. Nel 1998 altri calciatori dell’Inter, tra cui lo storico capitano Beppe Bergomi, si recarono in visita da Padre Pio: avvenne in occasione della visita ad un ragazzo di 12 anni ricoverato a “Casa Sollievo della Sofferenza”. Pelè: l’acquisto mancato di Angelo Moratti e Italo Allodi. Il mitico calciatore brasiliano, leggenda del calcio di tutti i tempi, ritratto in una fotografia, con la maglia del Foggia. Herrera e Padre Pio: gli scatti del maestro Elia Stelluto, per oltre 60 anni fotografo ufficiale del santo, fecero il giro del mondo.    

Nel 1961, un cronista sportivo consegnò alla storia del calcio italiano una locuzione divenuta famosissima: “Clamoroso al Cibali!”. Una locuzione adoperata spessissimo per indicare, nell’imprevedibile mondo del calcio, qualcosa che sconvolge i cardini della logica e della ragione, riguardo a pronostico. Quel “Clamoroso al Cibali!” richiama lo stadio di Catania, il “Cibali” appunto, quando il 4 giugno 1961, i rossoblù etnei sconfissero imprevedibilmente l’Inter per 2 a 0, perdendo lo scudetto. Quello che invece accadde all’Inter quasi quattro anni dopo, allo stadio “Pino Zaccheria” di Foggia, in realtà, fu molto più “clamoroso” di quanto accadde in terra etnea. Protagonisti di quella incredibile domenica furono il Foggia e l’Inter, “Campione del Mondo” in carica. A quella indimenticabile partita tra i rossoneri di Puglia ed i nerazzurri, si lega una ineguagliabile singolarità. Fu l’unica partita, nella storia del calcio italiano ed in quella di tutti i tempi, ad essersi disputata sotto i riflettori di una duplice profezia espressa dal Santo più conosciuto al mondo: Padre Pio da Pietrelcina. Il primo sacerdote stigmatizzato della storia del Cristianesimo. Con Giuseppe Zingarelli, storico, ricercatore e studioso di Padre Pio, cerchiamo di riconsiderare e riattualizzare quegli eventi che ci riportano a quasi 60 anni fa. Una pagina di storia decisamente affascinante della storia del calcio italiano. Perché quel Foggia-Inter è entrato nella storia e nel patrimonio storico del calcio italiano. Due città, due società, due storie calcistiche. Milano e Foggia. Il Foggia e l’Inter. Due storici sodalizi calcistici accomunati da una duplice profezia di Padre Pio, consegnata alla storia. Una duplice profezia che confermò la straordinaria preveggenza del Santo frate del Gargano. Il quale, con estrema facilità, era in grado di leggere come in uno specchio, gli accadimenti futuri. Analizziamo gli eventi di quel Foggia-Inter 3 a 2, concedendo ampi spazi all’approfondimento e alla riflessione. 

1) Il Foggia, una piccola squadra di provincia, approdato per la prima volta nella sua storia in Serie A, nel 1965, riuscì a sconfiggere la “Grande Inter” di Angelo Moratti, allenata dal famoso Helenio Herrera. Sembra una favola.

Sembra una favola ma non lo è. Chissà quante volte questa favola, più di qualche genitore, l’avrà raccontata ai propri figli. Pensando a quando i bambini, la sera, stanchi, andando a letto, stentano ad addormentarsi dopo aver speso tante energie nelle loro movimentate e giocose giornate. In effetti questa partita sembra uscita da una favola. Una di quelle favole immortali che spesso ci raccontavano i nostri genitori nei giorni della nostra infanzia. Ma non è una favola. O se vogliamo dirla in altro modo, è una favola vera.

2) Ripercorriamo la storia di questa epica partita del Foggia contro l’Inter. Preceduta dall’incontro tra l’Inter e Padre Pio a San Giovanni Rotondo.

Direi a questo punto di partire dall’inizio. Ancora prima degli eventi che lei ha prospettato. Molte volte pensiamo che le partite iniziano in campo soltanto quando l’arbitro fischia l’avvio di un incontro di calcio. In realtà le gare iniziano con molto anticipo. Come la favola che vide protagonisti il Foggia e l’Inter. Bisogna precisare subito una cosa. Non soltanto il Foggia, ma anche l’Inter fu la grande protagonista di quell’evento. L’Inter scese a Foggia per vincere la gara. Dal punto di vista tecnico, i nerazzurri, rispetto al Foggia, avevano calciatori talmente superiori dal punto di vista tecnico, da rendere improponibile il confronto. L’Inter aveva calciatori mondiali. L’allora presidente del Foggia, Domenico Rosa Rosa, un piccolo imprenditore del legno di origine napoletana, aveva costruito quella formazione con poche risorse finanziarie. In prospettiva, il ritorno in Serie B, per il neopromosso Foggia, al suo primo campionato di Serie A, sembrava essere cosa quasi scontata. Il 31 gennaio 1965, allo stadio “Pino Zaccheria”, l’Inter giocò contro il Foggia una delle più belle e combattute partite di quel suo campionato. Non lo dico io, ma lo racconta la storia. L’Inter giocò a Foggia la migliore partita di quella sua stagione. Lo confermarono le cronache di tutti i quotidiani sportivi dell’epoca. Lo affermarono i calciatori nerazzurri. Lo confermò Herrera e lo confermò anche il presidente Angelo Moratti: “L’Inter a Foggia giocò indiscutibilmente la più bella partita di quel campionato.”. Moratti ed Herrera non seppero mai spiegarsi i motivi di quella incredibile sconfitta. Altrettanto singolare fu che l’Inter, in quella stessa stagione, venne sconfitta soltanto da un’altra squadra. Anche questa avente i colori rossoneri. Il Milan. Quel “Derby della Madonnina” terminò con un sonoro 3 a 0 per i “rossoneri” allenati da Nils Liedholm. La verità fu che a Foggia, qualcosa di incomprensibile e di inspiegabile si sarebbe profilato all’orizzonte per l’Inter.

3) Foggia-Inter. L’epica ed indimenticabile partita di calcio che riemerge costantemente dalla storia e che da oltre mezzo secolo, non smette di affascinare generazioni di tifosi del Foggia, ammaliando anche i tifosi interisti.

Indubbiamente. Quel Foggia-Inter del 1965 è una partita che affascina a distanza di quasi 60 anni, perché è una partita di calcio che va oltre il calcio. È il 29 gennaio 1965. Alle ore 22 circa, un autobus si ferma davanti alla stazione centrale di Milano. Una delegazione composta da 25 uomini, di cui 17 calciatori, scende ordinatamente da quel pullman e si dirige all’interno del plesso ferroviario del capoluogo lombardo. Sono vestiti in modo impeccabile. Indossano tutti un cappotto scuro e vestito grigio, ognuno porta con sé un borsone. A quell’ora, a Milano, più di qualcuno alla stazione era in attesa del treno per recarsi al lavoro. Per giunta la serata era anche molto fredda. Un ferroviere in servizio, al passaggio della comitiva, si volta: “Ma io quelli là, li conosco tutti: Burgnich, Facchetti, Peirò, Domenghini, Corso, Suarez, Mazzola”. Gli risponde il collega: “Caspita! Si, adesso li riconosco anch’ io, ma dove vanno a quest’ora?”. Risponde il collega. “Scendono giù in treno. Domenica l’Inter gioca contro il Foggia”. Alla guida di quel nutrito gruppo di persone eleganti e longilinee, un personaggio carismatico. Uno che sembra abituato a dare ordini e a farsi ascoltare da tutti. Uno cui tutti obbediscono. Il carismatico uomo in testa al gruppo, ad un certo punto dice: “E’ ora di salire sul treno. Andiamo”. Quell’uomo è Helenio Herrera. Quella delegazione è la delegazione della “Grande Inter” Campione del Mondo. E quella fredda serata del 29 gennaio 1965, in realtà, segnerà l’inizio di una indimenticabile trasferta nerazzurra, che entrerà nella storia della società più vincente al mondo in quegli anni.

4) L’Inter scese in treno a Foggia?

Si. Il viaggio in vagone letto sarà lungo. Ci sarà da attraversare buona parte dello Stivale e ci sarà da viaggiare per oltre dieci ore. In realtà, l’Inter, in quel periodo, a cavallo tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 1965, doveva affrontare una doppia trasferta nel Meridione d’Italia. Dopo Foggia, infatti, i nerazzurri sarebbero stati di scena in Sicilia, per disputare la terza giornata di ritorno: Messina-Inter. I quotidiani sportivi di tutto il mondo seguivano le imprese calcistiche degli euro mondiali milanesi. L’Inter era in quel periodo la squadra dei sogni: Campioni d’ Europa e Campioni del Mondo per Club. Campioni d’Europa, perché il 27 maggio 1964, i nerazzurri avevano vinto la Coppa dei Campioni battendo in finale, a Vienna, il glorioso Real Madrid per 3 a 1. Campioni del Mondo, perché nella finale di ritorno, giocata in casa a “San Siro” il 23 settembre 1964, avevano sconfitto per 2 a 0 gli argentini dell’Independiente. Vincitori della “Coppa Libertadores” nel loro paese, che è in Europa, l’equivalente della Coppa dei Campioni. Detto in breve, l’Inter era la squadra sul tetto del mondo, la squadra che ammaliava i tifosi italiani e i tifosi di tutti i continenti. Le fortune nazionali, europee ed intercontinentali della squadra meneghina, in realtà, furono abili programmazioni ben congegnate della dirigenza nerazzurra. Una miscela ideata dal genio imprenditoriale di Angelo Moratti, affidato alla formidabile e spregiudicata visione tecnica del “mago” argentino, Helenio Herrera. Il tutto era mediato, da colui il quale permise che le richieste del tecnico argentino, fossero sempre accolte positivamente dalla presidenza interista, senza generare quasi mai contrasti e polemiche. Parliamo dell’uomo che agli inizi degli anni ’60, iniziò a costruire quella grande squadra. E cioè del direttore tecnico, Italo Allodi. Fu proprio Allodi ad iniziare, mediante abili strategie di mercato, la paziente e metodica costruzione di quella che in campo, sarebbe poi diventata per tutti, la “Grande Inter”. Allodi, sapientemente, individuò i calciatori che avrebbero di fatto costituito la ossatura portante di quella squadra che riuscì a raggiungere i vertici del calcio mondiale

5) Quando si dice Moratti è inevitabile pensare all’ Inter. La storia della famiglia Moratti è parte della storia dell’Inter. Scudetti e coppe conquistate dall’Inter recano il sigillo dei Moratti. Una famiglia con il “vizio” di vincere.

Indubbiamente. I Moratti sono parte della storia dell’Inter. Emerge un particolare non di poco conto. Prima ancora di Angelo Moratti, storicamente, all’interno della società del biscione, i vertici societari succedutisi nel tempo, furono tutti ossequiosi di una specie di accordo interno, che in un certo senso, accompagnò il sorgere della società nerazzurra fin dai suoi albori. La prima società calcistica ad essere stata fondata a Milano, fu il Milan. Herbert Kilpin, lo fondò il 16 dicembre 1899. Nel tempo, all’interno della società rossonera, sorsero dei dissapori di carattere dirigenziale. Un gruppo della società meneghina avrebbe voluto un diverso tipo di gestione, differente da quella in atto all’epoca. Questi dissapori, questi contrasti interni, con il tempo, si acuirono. Così accadde che i dissidenti ribelli, dissociandosi definitivamente, il 9 marzo 1908, fondarono un’altra società. Cioè L’Associazione Sportiva Ambrosiana. Divenuta successivamente, a partire dagli anni ’30, l’Ambrosiana-Internazionale. Quella che oggi, comunemente, per tutti è l’“Inter”.

6) Che cosa si verificò in seguito a questa scissione?

L’ Associazione Sportiva Ambrosiana, nata dalla costola del Milano, poi denominato Milan, si conformò con il passare del tempo ad una specie di accordo interno. Questo accordo, chiamiamolo così, non scritto, statuì che la dirigenza della “Associazione Sportiva Ambrosiana”, avrebbe dovuto essere sempre costituita da esponenti del mondo dell’imprenditoria di Milano. In sostanza, i vertici della società nerazzurra, in base a questa specie di pattuizione concordata in seno alla società, dovevano essere degli imprenditori. Beninteso. Non fu, ripeto, una norma scritta. Fu una specie di consuetudine tramandata nel tempo. Di fatto, se osserviamo i presidenti che si avvicendarono nel tempo ai vertici della società interista, notiamo che furono quasi tutti degli affermati imprenditori, detentori di patrimoni finanziari considerevoli. Questo dato oggettivo è avallato dalla storia delle presidenze interiste. Forse perché, quando nacque l’Ambrosiana, questo accordo non scritto, venne adottato e tramandato per assicurare al Club anche una certa solidità finanziaria, che avrebbe garantito all’Ambrosiana, nel tempo, di consolidare il suo assetto societario. Angelo Moratti legò il suo nome all’Inter, in un certo senso, in armonico accordo con quella storica e concordata pattuizione. A riguardo dello storico presidente nerazzurro, vi sono da fare alcune considerazioni.

7) Quali?

La più importante è che Angelo Moratti non fu l’erede di un impero finanziario. Bensì fu il fondatore di un impero finanziario. Il padre di Angelo Moratti, Albino Moratti, era farmacista. Voleva che tutti i suoi figli studiassero e si laureassero. Nella vita del presidente Moratti ci fu un evento doloroso. Rimase orfano della madre, la signora Gilda. Il padre, Albino, poi si risposò, ma i rapporti tra il futuro presidente dell’Inter e la matrigna, non furono dei migliori. In aperto contrasto con lei, Moratti, soffrì molto la scomparsa della madre, e minacciò spesso di andar via di casa. Cosa che avvenne nel volgere di breve tempo. Angelo Moratti fu l’eccezione della famiglia Moratti. Infatti, non si laureò. Fu però l’indiscusso protagonista di un miracolo imprenditoriale, che lo vide creare dal nulla, un piccolo impero economico che, attraverso oculate e ponderate gestioni, si espanse fino a divenire, negli anni ’50, un autentico colosso finanziario. La società petrolifera creata da Moratti, lo consacrò in tempi brevi alla notorietà. Collocandolo ai vertici del mondo imprenditoriale e della finanza italiana. Altrettanto ricca di fascino è la sua affermazione. Con una forza d’animo quasi sovrumana, e con una determinazione impressionante, riuscì in poco tempo, a bruciare le tappe di un successo imprenditoriale che lo consegnò oltremodo, in soli due anni, anche alla notorietà internazionale. Una sera, una ragazza tifosa dell’Inter, è ben lontana dall’ immaginare che, di lì a poco, una sua amica le avrebbe fatto conoscere Moratti. L’incontro tra i due è un colpo di fulmine. Si piacciono e tra i due nasce l’amore. Un grande amore. Quella ragazza fu l’unico grande amore della sua vita: Erminia Cremonesi. La donna che sposerà qualche tempo dopo e che gli darà ben 6 figli. La signora Erminia, “tifosissima” dell’Inter, fu la donna che convincerà Moratti a vincere tentennamenti, dubbi e perplessità nell’assumere la presidenza della società nerazzurra. Senza di lei, Moratti, molto probabilmente, non sarebbe mai diventato il presidente deli ‘Inter. A volte le situazioni della vita, come si suol dire, si spiegano fino ad un certo punto. Fatto sta che nel 1955, Moratti, rileva l’Inter. Prima di lui, il presidente della società nerazzurra, era stato Carlo Masseroni. Guarda caso, anche lui, noto industriale milanese, fondatore di una società, “la Ursus Gomma”. Questa società industriale produceva con successo calzature in gomma, unitamente ad un vasto indotto tecnico, realizzato con impasti e stampi gommosi. Masseroni guidò l’Inter per ben 13 anni. A conferma di quello storico patto, o accordo, di cui riferivo in precedenza. Alla presidenza dell’Inter, infatti, dovevano avvicendarsi nel tempo soltanto affermati imprenditori. La presidenza Masseroni consegnò alla sua Inter, allenata da Alfredo Foni, ben due scudetti consecutivi.

8) Una consolidata tradizione vede avvicendarsi alla presidenza dell’Inter affermati imprenditori. Riflettendoci, potrebbe non essere una casualità. Angelo Moratti confermò questa tradizione. Come lo spiega?

Ci sono delle coincidenze straordinarie nella storia delle presidenze dell’Inter. Angelo Moratti, convinto dalla consorte, divenne il presidente dell’Inter che farà le ulteriori fortune della squadra. Fu la signora Erminia Cremonesi, la “first lady” nerazzurra che con l’intuizione tipica delle donne, indirettamente, diede inizio ad una nuova riprogrammazione degli assetti societari dell’Inter, avviando al contempo, quel ciclo vincente. La nuova gestione Moratti proietterà la società interista verso conquiste impensabili fino a qualche tempo prima. C è un’altra particolarità, di non poco conto. La signora Erminia Cremonesi fu una grande devota di Padre Pio da Pietrelcina. E, devoto del Santo di Pietrelcina lo divenne, successivamente, anche il presidente Moratti. I coniugi Moratti divennero nel tempo anche generosi finanziatori dell’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”, tanto caro a Padre Pio. C è una incredibile coincidenza. Angelo Moratti fu per 13 anni al vertice della società. Lasciò l’Inter nel 1968, l’anno della scomparsa di Padre Pio. Anche il suo predecessore, il presidente Carlo Massaroni, cedette la presidenza ad Angelo Moratti dopo 13 anni di gestione. Durante la presidenza Masseroni, fu il calciatore Benito Lorenzi, detto “Veleno”, il primo calciatore della storia interista a recarsi a San Giovanni Rotondo in visita da Padre Pio. Dopo Angelo Moratti, altra coincidenza, la presidenza dell’Inter fu rilevata da Ivanoe Fraizzoli. Un altro affermato imprenditore di Milano. La moglie del presidente Fraizzoli, la signora Renata, come la moglie del presidente Moratti, era anch’ella “tifosissima” dell’Inter. Renata Fraizzoli era denominata anche “la presidentessa dell’Inter”. Scherzosamente i giornalisti milanesi la chiamavano, Lady Renata “Nostra Signora di San Siro”. Altra coincidenza. Come avvenne per il presidente Moratti, fu “Lady Renata” a convincere il marito, Ivanoe Fraizzoli, ad assumere la presidenza dell’Inter.

9) In che modo Angelo Moratti riuscì a plasmare quella leggendaria formazione nerazzurra scesa in campo a Foggia il 31 gennaio 1965?

Come il predecessore Masseroni, Moratti nutriva sogni di gloria. Ma non riusciva ad affermarsi come avrebbe desiderato. Nei primi anni fa fatica a vincere. I tifosi interisti rumoreggiano, lo criticano. Moratti un po’ se la prende. Si arrabbia con sé stesso. Nel 1957, il presidente interista riesce a portare a Milano un attaccante argentino. Un centravanti di razza. Antonio Angelillo. Sembra l’inizio di un ciclo vincente. Angelillo segnerà 33 gol. Tuttora, i 33 gol di Angelillo, costituiscono un record nei campionati a 18 squadre. Stranamente, la punta argentina verrà mandata a casa dall’Inter. Avvenne a causa di una donna. Herrera e Angelillo furono al centro di una polemica nel 1961. Angelillo si era innamorato perdutamente di una cantante, conosciuta in un night club di Milano. Attilia Tironi, in arte “Ilia Lopez”. Herrera, giunto all’Inter dalla Spagna nel 1960, accusò Angelillo di scarso rendimento. L’allenatore interista attribuì le colpe dello scarso rendimento di Angelillo, alla cantante milanese, all’ epoca fidanzata con Angelillo. Un giorno Herrera ordinò perentoriamente ad Angelillo di lasciarla. Angelillo non diede ascolto ad Herrera e il “mago” lo fece esonerare. A quel punto occorreva pensare a qualche calciatore che riuscisse a sostituire degnamente Angelillo. Moratti e il suo staff societario erano in evidente difficoltà. Italo Allodi, allora, iniziò a comprendere che si doveva pensare a qualche nome prestigioso. Tentò di portare all’Inter, quello che all’epoca chiamavano il “Quinto Beatles”. Cioè George Best, l’asso irlandese del Manchester United, ma ben presto dovette arrendersi, constatando che la società inglese lo considerava incedibile. Successivamente Allodi bussò alla porta del Barcellona. Disse a Moratti di prendere Luisito Suarez, l’architrave portante della squadra basca. Il costo dell’operazione fu di 300 milioni. Una cifra ragguardevole per quei tempi. L’Inter, con Suarez, prese un calciatore fondamentale per lo scacchiere del suo centrocampo. Con i soldi pagati dall’Inter per Suarez, il Barcellona ristrutturò all’epoca il suo stadio, il mitico “Camp Nou”. Dopo Suarez, Italo Allodi propose segretamente ad Angelo Moratti, un acquisto che, se fosse andato in porto, avrebbe mutato non solo i destini dell’Inter, bensì al tempo stesso, l’immagine della Milano di quegli anni, già indiscussa Capitale della economia e della finanza italiana. Soltanto Allodi e Moratti conoscevano questo segreto. Herrera non doveva conoscerlo.

10) Quale fu il grande “segreto” tra Italo Allodi e il presidente Angelo Moratti?  

Comprare il giocatore più forte del mondo. Nel 1963 l’Inter aveva un piano per comprare la “Perla Nera” del calcio mondiale. Parliamo di Pelè. Furono avviate segrete trattative con il Santos, squadra nella quale il calciatore più forte della storia del calcio, militò ininterrottamente in tutta la sua carriera, prima di trasferirsi negli Stati Uniti, per giocare con i Cosmos di New York. Allodi fece comprendere a Moratti che Pelè sarebbe stato doppiamente vincente. Non solo perché avrebbe tecnicamente continuato a mantenere l’Inter ai vertici del calcio mondiale, ma anche perché al contempo, avrebbe rilanciato una immagine ancor più vincente e prestigiosa dell’Inter e della città di Milano. La Milano nerazzurra, con Pelè, si sarebbe assicurata i riflettori del mondo calcistico e non solo calcistico. 

11) Perché Helenio Herrera non avrebbe dovuto conoscere questa trattativa segreta? Era il carismatico allenatore dell’inter.    

È molto semplice. Sarebbe stato inutile chiedere ad Herrera la sua consulenza e il suo avallo per l’acquisto di Pelè. Quale allenatore non avrebbe voluto avere nella sua squadra Pelè? Nessun allenatore al mondo si sarebbe opposto al suo acquisto. Pelè è stato il calciatore più forte della storia del calcio. Moratti ed Allodi decisero di non far sapere niente al “mago” di Buenos Aires. Per giunta è molto probabile che i due volessero fare una grande sorpresa all’allenatore, all’Inter e ai suoi tifosi. Portare Pelè a Milano, avrebbe portato Milano e l’Inter al centro del mondo del calcio e non solo del calcio. Fu la stessa programmazione effettuata da Italo Allodi a Napoli per Maradona. Non dimentichiamo che fu lo stesso Italo Allodi a portare Maradona a Napoli, all’epoca della presidenza Ferlaino. Allodi e Moratti convennero di mettere sul piatto una cifra astronomica per quell’epoca. Un milione di dollari. Oltre 1 miliardo di lire, nel 1963. Sapendo che il Santos, proprietaria del cartellino del calciatore, avrebbe potuto non cedere alla tentazione di vendere Pelè, Moratti era pronto nel rilanciare economicamente. L’accordo prevedeva di far firmare a Pelè un contratto triennale, corrispondendogli 300 milioni di lire nette a stagione, e in più, corrispondergli ulteriori compensi. Quelli che oggi, sono denominati in gergo calcistico, “premi partita”. La trattativa però sfumò.

12) Per quale ragione?   

La cessione di Pelè all’Inter non avvenne affatto per un disaccordo economico. L’accordo era stato già raggiunto tra l’Inter e il Santos. Pelè era entusiasta di accettare il trasferimento in Italia. Gli era gradita l’Inter e gli era gradita anche la città di Milano. Pelè aveva apertamente affermato che l’Italia, sarebbe stata per lui, una destinazione molto gradita. Come anche il calcio italiano. La verità fu un’altra. Il governo brasiliano non volle che Pelè lasciasse il Brasile. In quanto il calciatore più forte di tutti i tempi rappresentava e veicolava straordinariamente l’immagine del Brasile nel mondo. Il Presidente del governo brasiliano dell’epoca, Joao Belchior Marques Goulart, conosceva bene questa situazione. I servizi segreti brasiliani evitarono che Pelè lasciasse il Brasile. Il Santos, sua squadra di appartenenza, aveva già accettato la somma che l’Inter avrebbe dovuto corrispondere alla società brasiliana. Per non far affiorare la verità, al Santos venne imposto di raddoppiare la richiesta per portare a termine la trattativa con l’Inter, chiedendo all’Inter ben due milioni di dollari. Oltre due miliardi di lire, l’Inter non li poteva spendere per Pelè. A quel punto, infatti, Moratti ed Allodi, per non compromettere i bilanci societari, dovettero desistere dall’ambizioso proposito. Nel 1966, Allodi e Moratti, ci riprovarono per portare all’Inter, il libero della nazionale tedesca, Franz Beckenbauer e l’asso portoghese del Benfica, Eusebio. Beckenbauer aveva già firmato con l’Inter un precontratto da 900mila marchi tedeschi, mentre Eusebio, aveva già firmato con i nerazzurri un accordo triennale da 500 milioni di lire. Di questi 500 milioni, 250 milioni sarebbero andati netti al calciatore, e altri 250 milioni sarebbero stati versati nella cassa del Benfica. Gli accordi questa volta sfumarono a causa della sconfitta della nazionale italiana ad opera della Corea del Nord. Accadde ai Campionati Mondiali del 1966, che si disputarono in Inghilterra. L’Italia perse contro i coreani del Nord per 1 a 0. L’incredibile sconfitta degli azzurri in quel mondiale, indusse la Federazione Italiana a decidere la chiusura delle frontiere agli stranieri, e questo precluse nuovamente all’Inter, la possibilità di rinforzare il collettivo.

13) Pelè all’Inter. Successo di immagine e certezza di ulteriori vittorie per i nerazzurri.            

indubbiamente. Ripeto. Il trasferimento di Pelè all’Inter non avvenne per una decisione politica. Il Santos fu avvisato dai servizi segreti brasiliani di non vendere Pelè. Non solo. Fu trovato anche un efficace espediente per veicolare l’immagine di Pelè nel mondo. Il Santos poteva organizzare, quando lo reputava opportuno, delle esibizioni amichevoli in tutto il mondo, che consentissero di ammirare il simbolo calcistico, patrimonio dell’umanità, del Brasile. Pelè non avrebbe mai potuto lasciare il Brasile. Per comprendere meglio questa questione, dobbiamo legittimare un’ipotetica equazione. Per Pelè, in caso di trasferimento dal Brasile, sarebbe accaduta la stessa cosa che si sarebbe verificata a San Giovanni Rotondo, se Padre Pio fosse stato trasferito dal convento del noto paesello garganico. Questo si sarebbe potuto verificare allorquando, nell’ agosto del 1923, il Vaticano, segretamente aveva in progetto di trasferirlo, per le note vicende di avversione nei suoi confronti, ad Ancona, o dovendo scegliere un paese estero, in Spagna, passando attraverso Ancona. Proviamo ad immaginare cosa sarebbe accaduto. Del resto, Pelè fu poi nominato dal governo brasiliano, a fine carriera, anche Ministro dello Sport. La sua immagine e la sua fama si estesero ben oltre il calcio.  

14) L’Inter giunse alla stazione ferroviaria di Foggia. Ripartì subito per San Giovanni Rotondo a far visita a Padre Pio?

No. L’Inter giunse alla stazione di Foggia in tarda mattinata, verso le ore 10 e30. Poi in pullman si diresse allo stadio “Zaccheria”. I nerazzurri avevano in programma lo svolgimento di una seduta di allenamento, o di rifinitura che dir si voglia. L’ allenatore Oronzo Pugliese, accompagnato da alcuni dirigenti, salutò Herrera in occasione di quella seduta di rifinitura. Fu un saluto alquanto sarcastico. Era un saluto di manifesta sfida all’allenatore interista per dargli appuntamento sul campo di gioco il giorno seguente. Pugliese voleva ricordare due cose ad Herrera, in riferimento alla partita di andata, Inter-Foggia, giocata a Milano, nel settembre del 1964. In quella partita, all’Inter l’arbitro concesse un rigore giudicato dubbio dal Foggia. Un rigore che venne poi realizzato da Suarez. Nel prosieguo dell’incontro, ai rossoneri di Capitanata venne annullata una rete regolare di Lazzotti. Successivamente, vennero espulsi due calciatori Rossoneri. Il secondo particolare che non andò giù ad Oronzo Pugliese fu che Herrera, con una sua “magia”, riuscì a far assegnare al Foggia la panchina di solito riservata alla squadra di casa, in questo caso l’Inter, posta all’epoca sul lato della gradinata di “San Siro”. Il sole, caldissimo in quell’afoso e torrido pomeriggio milanese, arrecò disturbo a Pugliese nel seguire visivamente la gara, provocando una mezza insolazione agli uomini della panchina foggiana. L’Inter, al termine di quell’allenamento, dallo stadio, verso mezzogiorno, partì alla volta di San Giovanni Rotondo. La delegazione nerazzurra alloggiò nell’ albergo “Santa Maria delle Grazie”.

15) Perché l’Inter non alloggiò in albergo a Foggia?

In realtà la trasferta dell’Inter a San Giovanni Rotondo ha una sua storia. Non fu affatto una trasferta casuale. La visita dell’Inter a Padre Pio, in realtà, era già stata prevista e programmata tempo addietro. La moglie del presidente Angelo Moratti, la signora Erminia Cremonesi, era molto devota a Padre Pio. Per sua espressa volontà, la squadra nerazzurra si recò in visita da Padre Pio, affinché il santo impartisse la sua benedizione alla squadra e all’intera delegazione. Il presidente Angelo Moratti, non appena la moglie espresse questo suo intento, acconsentì prontamente. La trasferta di Foggia era l’occasione propizia per portare l’Inter al cospetto del Santo. Verso la fine del mese di ottobre del 1964, la signora Cremonesi, diretta spiritualmente da un sacerdote milanese, dopo essersi confessata da lui, gli espresse questo suo segreto desiderio. Portare l’Inter da Padre Pio. Monsignor Ernesto Pisoni, riferì alla signora Erminia, che sarebbe stata una cosa bellissima portare l’Inter a San Giovanni Rotondo, per essere “benedetta” da Padre Pio. Monsignor Pisoni, era anche un grande tifoso dell’Inter e non di rado, scriveva articoli sui nerazzurri, perché era anche un giornalista. Il religioso e la signora Cremonesi furono, in un certo senso, gli organizzatori della trasferta dei Campioni del Mondo nel paesino garganico. Moratti, grazie alla consorte, aveva appreso molte cose riguardanti Padre Pio. Sapeva che al Santo frate di Pietrelcina stava molto a cuore l’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”. Così, pensò fin da subito, di inviare al santo un’offerta in denaro, da consegnarsi in una busta, nel momento in cui la squadra sarebbe giunta da Padre Pio. Nel 1960, Angelo Moratti aveva chiamato dalla Spagna, alla guida dell’Inter, Helenio Herrera. Nel 1957, Herrera aveva già sentito parlare di Padre Pio. In Spagna il Frate stigmatizzato era molto conosciuto fin dal 1919, quando esplose nel paese iberico la notizia di un monaco che, in uno sperduto paese in provincia di Foggia, faceva miracoli. La notizia in Spagna diventò virale. Fu ripresa da un articolo pubblicato sul quotidiano di Napoli, “Il Mattino”. Il 20 giugno 1919, il giornalista Renato Trevisani, riferì del miracolo di un cancelliere della Pretura di Napoli, che giunto a San Giovanni Rotondo zoppo e claudicante, appoggiato ad un bastone, se ne ritornò a casa guarito, in quanto Padre Pio gli ripeté per 3 volte: “Getta via il bastone.”. Pasquale Di Chiara, gettò via il bastone e tornò a casa che camminava normalmente, miracolosamente guarito dal Santo. Dal giorno della pubblicazione di quell’articolo, Padre Pio non ebbe più un momento libero. Milioni di persone andarono da lui. Iniziò un flusso interminabile di umanità, che per 52 anni ininterrotti, salì a San Giovanni Rotondo, dal frate di Pietrelcina per chiedere aiuti e conforti, materiali e spirituali. Herrera, prima di giungere in Italia, aveva una personalità complessa. Era molto attratto dalle filosofie orientali. Si era invaghito di curiosi riti scaramantici. In realtà, Padre Pio stava attendendo Herrera a San Giovanni Rotondo.

16) Perché?. Che cosa glielo fa supporre?

Nel 1958, i medici decisero di dover operare Herrera in seguito ad una frattura scomposta alla gamba sinistra. Herrera aveva sposato in prime nozze Lucienne Leonard, dalla quale aveva avuto 4 figli. Poi si era separato da lei. Successivamente convisse con una donna spagnola, Maria Morilla, dalla quale ebbe 2 figli. La sua vita sentimentale era instabile. Qualche tempo dopo, si innamorò perdutamente della giornalista Flora Gandolfi, dalla cui relazione ebbe ancora un altro figlio. La Gandolfi, di recente, sostenne a sua volta una dura battaglia legale, contro la figlia di Herrera, Maria Susanna Pimentel-Herrera, avente ad oggetto l’eredità dell’allenatore argentino. La Gandolfi sostenne che Maria Susanna, in realtà non era la figlia di Helenio, ma l’ulteriore frutto di un’altra avventura amorosa del tecnico. La instabilità affettiva di Herrera, a volte, si manifestava anche nel suo strano atteggiamento caratteriale. Che si ripercuoteva anche, di riflesso, nella sua vita interiore. Herrera era affascinato dalle teorie e dalle religioni orientali. Grande fascino esercitava su di lui l’esoterico mondo della magia, associata a curiosi e strani riti scaramantici. Era oltremodo molto superstizioso. Nell’ospedale di Barcellona, dove era giunto per essere operato, mentre stava riassettando il comodino vicino al suo letto, aprì il ‘tiretto’ del mobiletto e a sorpresa, vi trovò un piccolo libriccino. Probabilmente dimenticato da qualcuno. O forse donatogli dalla Provvidenza. Incuriosito da quel libretto, Herrera lo prese e iniziò a leggerlo. Curiosamente, nei giorni di degenza ospedaliera, pregò molto, non riuscendo più a staccarsi da quell’opuscoletto.  

17) Di che libretto si trattava?

Era un piccolo libriccino di preghiere, scritto da Sant’ Ignazio di Loyola. Il fondatore, nel 1534, dell’Ordine religioso della “Compagnia di Gesù”. Coincidenza volle che, qualche mese prima del ricovero, Herrera avesse letto un altro piccolo libretto riguardante Padre Pio. Si trattava di un piccolo opuscoletto di circa 60 pagine, scritto in lingua spagnola, contenente note biografiche aggiunte su Padre Pio. Il libretto, molto probabilmente, era la ristampa anastatica di un libretto edito in Spagna nel 1921, stampato a Porto Alegre. Il titolo in lingua ispanica di quel libricino era: “Los Milagros del siglo XX. Narracion veridica de la vida y hechs portentos del Reverendo Padre Capuchino, F. Pio Pietralcina, tomada de un testigo de vista”. L’autore di questo piccolo libretto era un sacerdote iberico, e cioè don Demetrio Ramirez Diaz. È molto probabile che nel 1923, in Spagna venissero stampati e diffusi altri opuscoletti riguardanti Padre Pio. Forse ulteriori ristampe di libretti editi agli inizi degli anni ’20. Probabile che nel capoluogo basco, venissero stampati altri piccoli opuscoli, contenenti anche le fotografie del Santo frate. Infatti, a Barcellona, come ho affermato,. Padre Pio era già molto conosciuto grazie a Renato Trevisani, che nel suo articolo pubblicato sul “Mattino” di Napoli, parlò lungamente del Frate, testimoniando quella guarigione. Dalla Spagna si ha certezza che questi piccolissimi stampati, ulteriormente sintetizzati, giungessero poi anche in altri paesi, e cioè in Francia, in Irlanda, in Inghilterra e anche in Brasile e in Argentina, per essere pubblicati su alcuni quotidiani o settimanali locali di quei paesi. Fu quindi dalla Spagna che ebbe inizio la diffusione di notizie contemplanti gli eventi miracolosi riguardanti il Santo del Gargano. In Italia, invece, circolava solo un opuscolo di 16 pagine, recante la firma dall’avvocato Gaetano D’Errico, probabilmente edito nel 1922. A Barcellona, Herrera collegò la lettura del libretto concernente Padre Pio, avvenuta prima che egli entrasse in ospedale per essere operato, alla lettura di quel libriccino di Sant’Ignazio di Loyola, e lo interpretò come un segno premonitore del cambiamento interiore che effettivamente stava avvertendo in sé stesso. Non proprio una conversione, diciamo così, ma comunque un cambiamento. Dal verificarsi di quell’episodio, Herrera si allontanò dalle filosofie orientali. Iniziò ad avvicinarsi alla preghiera e alla lettura del Vangelo.   

18) Come si svolse la visita dell’Inter a Padre Pio?

Come le dicevo innanzi, monsignor Pisoni, in accordo con la consorte del presidente Moratti, organizzò la trasferta dell’Inter a San Giovanni Rotondo. L’ingegnere Luigi Ghisleri, di Milano, era titolare di un’impresa di costruzioni che aveva collaborato in precedenza con Padre Pio, nella ultimazione del plesso ospedaliero di “Casa Sollievo della Sofferenza”. La figlia dell’ingegner Ghisleri, Anna Maria Ghisleri, aveva sposato un medico brianzolo, il dottor Giuseppe Sala. Giuseppe Sala ed Anna Maria Ghisleri decisero di trasferirsi da Milano a San Giovanni Rotondo, per stare al fianco di Padre Pio. Il dottor Sala fu un medico di “Casa Sollievo”, divenendo successivamente il medico personale di Padre Pio. Per essere precisi, Giuseppe Sala fu l’ultimo medico a curare Padre Pio, prima della scomparsa del Santo avvenuta nel settembre del 1968. Prima di lui, si avvicendarono nelle cure al Frate, il dottor Cardone, il dottor Merla, il dottor Sanguinetti. Monsignor Pisoni, disse al presidente Moratti e a Herrera, di telefonare a San Giovanni Rotondo, e di contattare la consorte del dottor Sala. cioè Anna Maria Ghisleri. Affinché ella prenotasse un albergo per l’intera delegazione interista. L’albergo che accettò la prenotazione fu l’albergo di “Santa Maria delle Grazie”. Dopo essere giunta da Foggia in questo albergo, l’Inter pranzò. Verso le quattro del pomeriggio, l’intera delegazione dell’Inter giunse in convento. Padre Silvano Monopoli, che oggi ha 87 anni, all’epoca sacrista della fraternità cappuccina, riconobbe subito i “campionissimi nerazzurri” e corse ad avvisare Padre Pio. Il frate, sbucando da una porticina, giunse in sacrestia. Erano le ore 16.30 circa del 30 gennaio 1965. In quel preciso momento, la squadra di calcio all’epoca più famosa e vincente del mondo, si trovò al cospetto del religioso più conosciuto al mondo. Tutti, dirigenti, calciatori e allenatore, ricordarono quell’evento con grande emozione. Herrera e il capitano Armando Picchi, porsero i loro saluti a Padre Pio, in rappresentanza di tutta la famosissima comitiva.  Herrera e Armando Picchi, in rappresentanza di tutta la società interista, gli consegnarono quella famosa busta, già pensata in precedenza da Angelo Moratti, contenente un’offerta in denaro e destinata all’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”. Il Santo, ringraziando per quell’offerta, scherzosamente si volse verso il confratello che gli era accanto e gli bisbigliò: “E questi adesso che cosa credono? Che perché ci fanno l’elemosina li facciamo vincere?”. Con la tipica inflessione dialettale pietrelcinese, Padre Pio, ricambiando il saluto di Herrera e di Picchi, chiese poi ad Herrera: “Beh, che intenzioni avete per domani a Foggia?”. Herrera con prontezza e sincerità, rispose al Santo: “Padre, noi a Foggia siamo venuti per vincere la partita”. Padre Pio gli replicò: “Meh, sicché volete venire a vincere in casa nostra? Eh, e sto’ fatto non sta bene.”. Con quella affermazione, il Frate fece comprendere fin da subito ad Herrera, che contro il Foggia, l’Inter avrebbe perso la gara di campionato in programma il giorno seguente. Tuttavia, molti calciatori nerazzurri non compresero subito quell’affermazione.  Per il profondo senso di rispetto che Padre Pio aveva verso i famosi visitatori, non rivelò apertamente come sarebbe finita la partita. Pur sapendo perfettamente che il Foggia avrebbe vinto la partita. La sua incredibile chiaroveggenza aveva già scrutato l’esito dell’incontro, sfavorevole per l’Inter. Il Santo comprese subito che molti calciatori nerazzurri, ricchi e famosi, erano parecchio frastornati dai riflettori del successo e della celebrità. Tra questi figurava anche Herrera. In realtà Padre Pio, con il suo straordinario talento donatogli da Dio, cioè la preveggenza, aveva visto un certo ravvedimento spirituale dell’allenatore. Allo stesso tempo, gli occhi di Padre Pio scrutarono in modo penetrante i componenti dell’intera comitiva milanese. Molti calciatori, incrociando lo sguardo del Santo, provarono una profonda emozione e si commossero. Poi, Padre Pio soggiunse che l’Inter avrebbe vinto lo scudetto, invitando l’intera delegazione della “Beneamata” ad ascoltare la Messa del pomeriggio.       

19) L’Inter a Foggia, avrebbe quindi perso l’incontro e vinto il Campionato 1964-65?

Precisamente. Padre Pio profetizzò che la partita dello “Zaccheria”, del 31 gennaio 1965, diciannovesima giornata di quel campionato, l’Inter l’avrebbe persa contro il Foggia. Però alla fine del campionato i nerazzurri avrebbero vinto lo scudetto. E così, di fatto, avvenne. In quel famoso pomeriggio di quella incredibile domenica, il Foggia sconfisse l’Inter con il risultato di 3 a 2.  E l’Inter alla fine del campionato vinse il nono scudetto della sua storia. Fu l’unica partita di calcio, che nella storia del calcio di tutti i tempi, sia in Italia sia nel mondo, si giocò sotto i riflettori della doppia profezia di un Santo. Per di più, un Santo universalmente conosciuto in ogni continente del mondo.

20) Che partita fu in campo quel Foggia-Inter?

Le cronache del tempo narrano di una partita bellissima. Fu una gara accesa, vibrante, grintosa, combattuta sorprendentemente dal Foggia che non si fece intimorire dalla fama mondiale dei nerazzurri. Un atteggiamento guardingo, da parte delle due formazioni, caratterizzò l’iniziale avvio dell’incontro. Poi cessata la fase di studio e probabilmente anche di reciproco timore reverenziale, gli oltre 25mila spettatori che assistettero a quel famoso incontro, non rimpiansero il prezzo del biglietto, che aveva un costo non indifferente per quel periodo. Un biglietto per accedere nel settore della tribuna costava circa 8mila lire. Un biglietto di gradinata costava oltre 4mila lire. Un biglietto di curva, 2mila lire. Fu un incasso record per lo stadio di Foggia. Circa 32milioni di lire. Ogni settore dello stadio era completamente gremito in ordine di posti. Il primo tempo, giocato all’attacco dall’Inter, si concluse in parità: 0 a 0. La ripresa fu ancora più spettacolare. In 28 minuti furono realizzate 5 reti. Il Foggia, dopo un avvio all’attacco, conseguì inaspettatamente un doppio vantaggio. L’Inter reagì da par suo e raggiunse il pareggio. Nonostante ciò, i nerazzurri continuarono ad attaccare. Fu il portiere Giuseppe Moschioni, a impedire con le sue autentiche prodezze, il vantaggio interista. Herrera disse la verità a Padre Pio: “Padre, noi a Foggia siamo venuti per vincere la partita”. Mentre le giocate degli uomini di Herrera si susseguivano, in modo ancora inatteso, ci fu il terzo gol del Foggia con Nocera. Fu un tiro all’incrocio dei pali. Di Vincenzo si distese e si inarcò più che potette, ma il pallone, imparabile, centrò l’incrocio dei pali. Fu un gol da cineteca. Il portiere interista non ebbe colpe. L’Inter non si diede per vinta. In una ulteriore occasione, i campioni del mondo nerazzurri ebbero l’occasione per pareggiare. Moschioni si superò, effettuando un eccezionale intervento. Finché si giunse ad un minuto dalla fine. Mario Corso, su passaggio di Sandro Mazzola, si presentò da solo, a 2 metri dalla porta, davanti al portiere Moschioni. Corso calciò, come si dice in gergo calcistico, a botta sicura. Moschioni clamorosamente, quando ormai la palla stava per entrare in porta, respinse il tiro con una parata sbalorditiva. Sarebbe stato il pareggio dell’Inter. Poi l’arbitro Francescon decretò la fine delle ostilità. Un boato si levò dagli spalti. Il Foggia prevalse. La gara fu decisamente entusiasmante, giocata a viso aperto. Quel 31 gennaio 1965, entrambe le due formazioni disputarono la loro migliore partita di quella stagione calcistica. La correttezza in campo tra i calciatori fu esemplare. Non ci furono proteste. Come aveva predetto Padre Pio, l’Inter fu sconfitta, pur avendo giocato contro il Foggia, come narrano le cronache, la miglior partita del suo campionato. Un particolare emerge. Quella vittoria del Foggia continua ad essere l’unica vittoria della sua storia, ottenuta contro i blasonati nerazzurri. 

21) A distanza di quasi 60 anni, l’incontro tra l’Inter e Padre Pio, e tra il Foggia e L’Inter, continua ad essere suggestivo, affascinante e inspiegabile. Quella storica vittoria dei rossoneri di Puglia fa ancora notizia. 

I riflettori della storia su questa partita sembrano proprio non volersi spegnere. Uno dei calciatori dell’Inter più impressionato da quell’incontro con Padre Pio fu l’allora portiere titolare dell’Inter e della nazionale, Giuliano Sarti. Il quale non disputò quell’incontro. Sarti si commosse quando ricordava il sorriso semplice ed umile di Padre Pio e lo sguardo profondo, quasi magnetico del santo. Ricordò sempre quel che il frate sannita ricordò ai calciatori interisti: “Avete già molto, se non tutto. Che cosa volete di più?”. Poi aggiunse: “Ragazzi, auguro a voi che possiate avere tutto quello che in questo momento desiderate. Però ricordatevi che il dolore dà senso e valore alla vita, anche se al momento voi siete giovani e il mondo vi sorride alla vostra età.”. La stessa cosa riferì uno dei calciatori più rappresentativi di quella stratosferica Inter. Sandro Mazzola. La storica mezz’ala destra dell’Inter ricordò più volte di essersi allontanato di nascosto, nella notte tra il 30 e il 31 gennaio 1965, dall’albergo dove alloggiavano i “campionissimi”, perché voleva confessarsi da Padre Pio e chiedere al Santo perché il sacerdote del suo paese, che si chiamava Don Giordano, non lo assolvesse da un suo “peccato”. Mazzola un giorno rivolgendosi a Gesù, quando era bambino, gli chiese di farlo diventare bravo come suo padre, Valentino Mazzola, il famoso centrocampista del Torino, scomparso in seguito alla tragedia di Superga. Poi, se fosse stata volontà del Signore, Mazzola aveva chiesto di morire alla stessa età del padre Valentino. Don Giordano, disse a Mazzola, quando era all’epoca ancora un ragazzino, che chiedere questo al Signore era un sacrilegio e non gli poteva dare la Comunione. Padre Silvano Monopoli, all’epoca sacrista della fraternità, spianò la strada a Mazzola per consentirgli di confessarsi da Padre Pio. Insieme a Mazzola volle confessarsi dal Santo anche il capitano interista Armando Picchi, in quanto voleva chiedere a Padre Pio notizie di un suo fratello, partito per la guerra e non più tornato dalla Russia. Picchi non sapeva se il fratello fosse morto o disperso. Padre Pio, ascoltato il racconto di Sandro Mazzola, sorrise e lo assolse. Probabilmente a Picchi, in confessione, Padre Pio confermò la morte del fratello. Tutta la delegazione dell’Inter ricordò con toccante commozione e grande emozione l’incontro di grande spiritualità vissuto da Padre Pio.    

22) Riemergono alcuni interrogativi. Il Foggia giocò contro l’Inter una partita superlativa. Al contempo, anche l’Inter giocò a Foggia la migliore partita del suo campionato. A suo giudizio, perché il Foggia vinse la partita e perché l’Inter ne uscì sconfitta?

Il Foggia giocò con grande agonismo una partita superiore alle sue effettive qualità tecniche. Oggi, in gergo sportivo si direbbe, giocò la partita perfetta. Colpì anche tre pali. Però anche l’Inter giocò a Foggia una delle migliori partite di quel suo incredibile campionato, vinto quasi cinque mesi dopo, con una rimonta incredibile sul Milan. Sono due verità storiche incontrovertibili, incontestabili. Due verità storiche che riemergono dalle cronache dei quotidiani sportivi dell’epoca. Padre Pio profetò all’Inter, cioè, rivelò ai nerazzurri, che avrebbero perso, e poi vinto il campionato. Probabilmente nessun calciatore dell’Inter, in realtà, credeva inizialmente a queste due rivelazioni. Né alla sconfitta, né alla vittoria in campionato. L’Inter a Foggia giocò all’altezza della sua fama mondiale. Rispose colpo su colpo agli schemi attuati dagli avversari.  Poteva vincere, allo stesso modo, in cui vinse il Foggia. Ripercorrendo la cronistoria della partita, ci si accorge che l’Inter scaricò addosso al portiere Giuseppe Moschioni, ben cinque micidiali bordate, alle quali Moschioni si oppose da campione. Herrera affermò che Moschioni fu fenomenale nelle sue parate, facendo chiaramente intendere che l’estremo difensore rossonero fu uno dei protagonisti in campo, se non il protagonista in campo. Dimentichiamo un altro dato oggettivo. I calciatori del Foggia ignoravano del tutto quel che Padre Pio rivelò ai nerazzurri a San Giovanni Rotondo. La partita si svolse sotto i riflettori di una rivelazione soprannaturale del Santo. Padre Pio fece comprendere ad Herrera che sarebbero stati sconfitti. La partita dei locali fu tatticamente lodevole. I rossoneri, con il centrocampista Giorgio Maioli, riuscirono ad infiltrarsi per ben tre volte nella retroguardia interista, sull’asse Guarneri, Malatrasi, Picchi. I tre gol nacquero così, ma l’Inter non stette a guardare gli avversari. L’attaccante Vittorio Cosimo Nocera, figlio spirituale di Padre Pio, fu autore di due reti di pregevole fattura, di cui una all’incrocio dei pali. L’incolpevole Di Vincenzo, non poteva farci nulla sui tre gol del Foggia. Tanto meno sul tiro impossibile di Nocera. Una traiettoria che lo vide volare ma non riuscire a deviare il pallone. Il portiere interista, colpevolizzato ingiustamente dalla stampa sportiva per quella sconfitta, maledisse la scelta di Herrera di schierarlo quel giorno tra i pali, al posto del titolare Giuliano Sarti. Eppure, Rosario Di Vincenzo, a distanza di quasi 60 anni, nel rivedere i filmati di quella partita, appare ancora più incolpevole per quei tre gol subiti. Dobbiamo concentrare la riflessione sul portiere Giuseppe Moschioni. Perché è la strepitosa giornata del portiere del Foggia, che spiega la prestigiosa vittoria rossonera.

23) Lei ritiene siano state le parate del portiere Moschioni, e in particolare l’ultimo suo strepitoso intervento, ad assicurare la vittoria al Foggia contro i galattici interisti?.

Guardi, di solito si afferma che nel calcio si vince in undici e si perde in undici. Ed è vero. Il calcio è uno sport di squadra. In un collettivo confluisce il contributo di ciascun calciatore. Quella vittoria del Foggia fu il riflesso della sommatoria dei meriti espressi in campo da ciascuno dei calciatori di quella formazione allenata da Oronzo Pugliese. Però, è altrettanto vero che, anche in uno sport di squadra, a volte, emerge la prestazione del singolo rispetto al collettivo. Ragion per la quale, una riflessione si impone. Se il giorno precedente a Foggia-Inter, Padre Pio profetizzò la sconfitta dell’Inter e poi all’ultimo minuto di quello stesso incontro, il portiere del Foggia, Giuseppe Moschioni, effettuò una strepitosa parata su tiro ravvicinato di Mario Corso, allora diventa obbligatorio analizzare non solo quell’ultima parata, ma occorre contestualizzare anche le altre quattro eccezionali parate del portiere del Foggia, effettuate in precedenza. Lo attestano tutte le narrazioni delle cronache storiche di quella partita. Le parate di Moschioni risultarono decisive ai fini del risultato. Insieme ai tre “assist” vincenti di Maioli e alla “doppietta” di Nocera. L’Inter, ha perduto due volte nel corso della partita, l’occasione per vincere. Nella prima parte della gara, i “Campionissimi Nerazzurri” furono assai più pericolosi del Foggia. Nella ripresa, dopo il doppio vantaggio iniziale ad opera del rossonero, la “Beneamata” continuò ad attaccare con grande agonismo ed aggressività. Furono quindi le prodezze di Moschioni a salvare il Foggia. Prescindendo dalla indiscussa bravura del portiere friulano, che per sei stagioni difese con onore la porta rossonera, tanto da essere ricordato ancora oggi da tutti, non soltanto come il primo portiere della Serie A del Foggia, ma anche come forse il suo migliore portiere di sempre, dobbiamo analizzare l’ultima sbalorditiva parata di Giuseppe Moschioni. Perché quella parata, contemporaneamente, consegnò la vittoria al Foggia, evitò all’ l’Inter di pareggiare, sarebbe stato  il 3 a 3,  e decise la sconfitta dei “Campioni del Mondo”. Fu quella parata a rendere celebre il Foggia in campo nazionale. Fu quella parata a realizzare la profezia di Padre Pio, insieme al terzo gol di Nocera, il centravanti figlio spirituale e corregionale del Santo. A Nocera è stata intitolata anche il settore “Tribuna Ovest” dello stadio “Zaccheria” . Personalmente penso che Padre Pio interferì su quell’ultima portentosa parata di Moschioni. Questo a prescindere dalla indiscussa bravura del portiere del Foggia. Il Frate “vegliò” su Moschioni, che impedì a Mario Corso di pareggiare. Mario Corso non sbagliò quel tiro. Sarebbe stato il pareggio dell’Inter. Paradossalmente, Rosario Di Vincenzo, il portiere interista, subì tre reti, ma poi, non compì nessun altro intervento nel corso della partita, se non ordinaria amministrazione. Poi ci fu una seconda verità.

24) Quale fu a sua giudizio?

Padre Pio aiutò entrambe le squadre. Aiutò sia il Foggia che l’Inter. Non lasciava andare a mani vuote nessuno. Il Santo aiutò il Foggia, che spesso si recava in visita a San Giovanni Rotondo a fargli visita. Aiutò il Foggia ad aiutarsi, in quanto i rossoneri di Pugliese, erano al cospetto dello squadrone ospite, tecnicamente inferiori, apparendo come Davide al cospetto di Golia. Il Foggia era al suo primo campionato di Serie A. Il suo scudetto, come del resto lo scudetto di tutte le squadre di provincia, era il cercare di non retrocedere in Serie B. In quel Foggia-Inter, Padre Pio ci mise del suo. Poi il Foggia, in campo, da lui “vegliato”, fece il resto e scrisse la storia di quell’incontro che lo lanciò alla ribalta del calcio nazionale. La squadra di Pugliese quell’anno conquistò uno brillante nono posto in classifica. Fu uno storico risultato per una squadra di provincia, che continuò a disputare altri due campionati consecutivi nella massima divisione calcistica nazionale. Padre Pio, aiutò anche l’Inter, una tra le società più prestigiose al mondo. Padre Pio sapeva che i coniugi Moratti tenevano molto a che impartisse la sua benedizione a tutta la squadra nerazzurra. Quel “perderete…ma vincerete il campionato”, fu il condensato della chiara visione di due precisi accadimenti futuri che si verificarono entrambi inesorabilmente. Infatti, il frate disse all’Inter che avrebbero vinto lo scudetto. Da quella clamorosa sconfitta subita a Foggia, l’Inter operò una incredibile rimonta in classifica che la portò a conseguire una clamorosa vittoria in campionato. Fu il suo straordinario nono scudetto. Che coincide incredibilmente con il sorprendente nono posto del Foggia in classifica. Perché anche il Foggia vinse il suo campionato e il suo scudetto: la salvezza.       

25) Da quel 31 gennaio 1965, l’Italia ebbe un altro “mago”: l’allenatore Oronzo Pugliese.

Da quel giorno Oronzo Pugliese venne denominato il “mago del Sud”, in contrapposizione ad Helenio Herrera che divenne il “mago del Nord”. La verità è che da quella famosa partita di Milano del 19 settembre 1964, cioè Inter-Foggia, terminata con la vittoria dei nerazzurri per 2 a 0, tra Herrera e Pugliese si accese una rivalità sportiva, ovvio in senso buono del termine, che si protrasse a lungo. Anche quando i “due maghi” si ritrovarono faccia a faccia, ad allenare altre formazioni diverse dal Foggia e dall’Inter. Ad Oronzo Pugliese non fu mai gradito quell’appellativo. L’allenatore di Turi avrebbe preferito essere chiamato il “mago dei poveri”, considerata la sua semplicità e spontaneità.

26) Perdendo a Foggia, l’Inter si portò a ben 7 punti di svantaggio sul Milan, che primeggiava indisturbato in classifica. La stampa del tempo scrisse che solo il Milan poteva perdere il campionato.

Si. È così. La stampa nazionale preannunciava un campionato ormai senza più storie. L’avrebbe potuto perdere solo il Milan, ma Padre Pio smentì tutti. Non disse all’Inter che il Milan l’avrebbe perso, ma che l’Inter l’avrebbe vinto. È differente il concetto. Il campionato lo vinse l’Inter. Innestando quella incredibile rimonta. Da quella visita a Padre Pio, molti calciatori dell’Inter iniziarono ad avvertire interiormente una specie di rigenerazione spirituale, frutto di quell’incontro con il Santo. I calciatori interisti si ricompattarono. Padre Pio non li lasciò andare via, dando a tutti loro, un aiuto spirituale. Ecco perché i calciatori interisti trovarono la forza per effettuare quella incredibile rimonta. Raggiungendo il Milan, sorpassandolo ed infliggendogli, al termine del torneo, ben 3 punti di distacco. La partita Foggia-Inter resta una pagina di storia del calcio nazionale. Una partita entrata a far parte del patrimonio storico della città di Foggia. Pensi, la pellicola della partita, per lungo tempo, fu proiettata nelle sale cinematografiche della città. Come fosse un film di grande successo. Non a caso, il giornalista sportivo Gino Palumbo riportò sul “Corriere della Sera”, del 1° febbraio 1965, una sua precisa intuizione: “Fra un anno, fra due, fra tre a Foggia si parlerà ancora di questa partita e di questa vittoria: e lo sguardo di molti si illuminerà ancora di soddisfazione quando, ricordandone e raccontandone gli episodi, potranno dire: io c’ero”. E noi, dopo quasi 60 anni, se ci fa caso, ne stiamo ancora parlando.

Intervista raccolta da Giuseppe Maiello

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