NICCOLÒ MACHIAVELLI TRA LA FILOSOFIA ARISTOTELICA E LA RAGION PRATICA MODERNA

Di Simone Crispino

L’uomo è, per natura, buono o cattivo? Una domanda attualissima ma vecchia quanto il mondo!
Per Machiavelli, in rotta di collisione con la tradizione filosofica classica, gli uomini sono tutti cattivi. Ma cosa rappresenta la politica per Machiavelli e cosa invece era per Aristotele, padre della filosofia classica?
Per lo scrittore rinascimentale, la politica è funzionale ad ottenere il potere ed a mantenerlo il più a lungo possibile, per Aristotele, invece, la scienza politica è strumentale a perseguire il bene della polis e della comunità consistente nella realizzazione piena ed armonica dei fini connaturati all’essenza umana.
Sulla scia di Aristotele, Machiavelli considera la repubblica la forma prediletta di governo.
Entrambi censurano ogni intento morale: la politica è governo della “res pubblica” con il fine di tutelare l’interesse collettivo. Tuttavia, la morale e la politica del filosofo di Stagira erano basate sulla fondamentale distinzione tra la natura umana come è e come dovrebbe essere. Un discrimen, questo, che non interessa assolutamente all’autore fiorentino, interessato solo alla natura umana così com’è.
Al Segretario fiorentino interessa, in particolare, indicare la strada, il percorso per conquistare e soprattutto mantenere il potere, così come è palese dalla lettura del suo Principe.
Machiavelli definisce “virtù” la capacità di operare nell’insidioso campo della politica, virtù intesa, a dispetto della tradizione, mera competenza tecnica di vita e non competenza pratica di vita, alla maniera di Aristotele e della tradizione da lui derivante.
Dalla conoscenza dei comportamenti degli uomini nel passato e degli effetti scaturiti proprio da essi, si possono desumere, secondo Machiavelli, le decisioni più opportune da indicare ai governanti del presente per mantenere il proprio potere. Insomma, è il caso di dire che per Machiavelli la storia sia da intendersi “magistra vitae”. Di qui nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio l’esempio paradigmatico della Roma repubblicana, fatta di coraggio militare, amore per la libertà, attaccamento al bene comune e moralità dei costumi. Insomma, l’anelito all’imitazione dell’antica Roma e delle virtù repubblicane in tempi decisamente più moderni.
Il ruolo delle leggi e degli ordinamenti, nell’opera dello scrittore fiorentino, è quello di correggere eventualmente comportamenti umani egoistici e personali, oltre che di frenare eventuali “appetiti” individuali, ben lontani dal bene comune. La politica, invero, deve trovare, pertanto, le condizioni per un ordine che per natura l’uomo rifugge, essendo incline e propenso al conflitto, più avvezzo al male che al bene.

Simone Crispino

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