In libreria “Libere dall’inferno. Testimonianze, percorsi, linguaggi e orizzonti per contrastare la violenza sulle donne”, opera di Chiara Vergani, pedagogista e criminologa.

“La violenza di genere, gli abusi contro i corpi, la personalità e i diritti di libertà delle donne, costituiscono un fenomeno in costante, agghiacciante, crescita tanto da assumere la connotazione di una vera e propria emergenza sociale.
E’ certamente innegabile che sia maturata nel corso degli anni una più ampia consapevolezza e una maggiore sensibilità, da parte della società, rispetto alla violenza contro le donne. Il sistema dell’informazione, i mass media, hanno assolto ad un ruolo per molti aspetti decisivo nell’accendere i riflettori su ogni episodio della cronaca che raccontava (e ancora purtroppo racconta) di donne vittime di abusi e di femminicidio.
Il racconto dei terribili fatti, che letti in sequenza giustificano la definizione di “strage silenziosa delle donne”, ha agito come un allert rivolto alla società. Ma la cronaca vive e si consuma nel tempo breve. Espone solo il sintomo di una patologia sociale che impone azioni costanti e profonde per essere bloccata e sanata attraverso un lavoro innanzitutto culturale e di cambio di mentalità collettive. E’ su questo terreno che si pone e va combattuta la sfida perché ancora troppo radicati e condizionanti sono certi aberranti stereotipi.
Colpiscono, a questo riguardo, le dichiarazioni che testimoni non oculari (in genere vicini di casa) rilasciano, ad esempio, sulla scena dell’orrore di un femminicidio a cronisti voraci di apprendere informazioni. Sorpresa, stupore, meraviglia prende i testimoni di fronte all’irrompere della violenza. Fateci caso: l’emozione largamente manifestata è appunto quella della incredulità difronte ad una vicenda che coinvolge – così la definiscono – una “coppia normale”. Possibile? Possibile che l’efferatezza raccontata dalla scena del delitto non abbia avuto segnali pregressi intercettati da quelli che manifestano dolore in favore di telecamera? No, ragionevolmente non è possibile. E quelle parole sono solo il modo con il quale viene completata una rimozione, un allontanamento del problema tornando a rinchiuderlo tra le mura di un inferno, certo, ma privato.
Il punto di fondo è che troppo spesso la coscienza collettiva ondeggia tra emozione e acquiescenza facendo propria, a livello inconscio, quella che gli studiosi di diritto definiscono “vittimizzazione secondaria della donna”. Vittima due volte: per il fatto di avere subito violenza e per una ancestrale “colpa” che avrebbe scatenato la spirale della sua messa a morte. Sembrerebbero argomentazioni risalienti a tempi di oscurantismo vessatorio. Basterebbe invece leggere i testi degli interrogatori (alcuni citati anche nel libro) resi da donne che hanno denunciato violenze o persino motivazioni di sentenze per rendersi conto di come la cosiddetta “cultura dello stupro” circoli laddove dovrebbe invece essere bandita.
Questa perversa e magmatica complessità è ben nota a Chiara Vergani che, in questa sua eccellente pubblicazione, mobilita conoscenze, capacità di analisi, verifiche sul campo ed ascolto delle vittime di violenza nella dichiarata volontà di tenere insieme riflessione e azioni concrete di intervento. L’autrice sviluppa questo percorso con nitore argomentativo nella individuazione dei concreti approdi risolutivi. In queste dense pagine si riflette la studiosa e l’operatrice sociale, alla quale sta a cuore trasformare competenze scientifiche, giuridiche e politiche in strumenti efficaci di difesa e, soprattutto, autodifesa delle donne. “
MARIANO RAGUSA