GIOVANNI LODETTI. UNA VITA DA “CENTROMEDIANO”. IL CAMPIONE DEVOTO DI PADRE PIO. È SCOMPARSO IL 22 SETTEMBRE SCORSO

L’instancabile maratoneta del Milan di Cesare Maldini, Giovanni Trapattoni, Bruno Mora, Dino Sani, Roberto Rosato, Amarildo, Karl Heinz Schnellinger, Pierino Prati e del “Golden Boy” del calcio italiano, Gianni Rivera, si è spento a Milano il 22 settembre scorso. Si scrisse di Lodetti, che era “quello che correva e giocava” solo per Rivera. 17 volte Nazionale, polmoni d’acciaio, per nove stagioni consecutive “Giuanin” Lodetti fu il “motore” indiscusso del Milan di Nils Liedholm, di Arturo Silvestri e di Nereo Rocco. Il trasferimento alla Sampdoria. Nella “terra adottiva” di Padre Pio da Pietrelcina, trascorse due “anni meravigliosi” della sua vita, vincendo il campionato cadetto con il Foggia allenato da Roberto Balestri, vice di Cesare Maldini. Chiuse la carriera alla “corte” di Giovanni Udovicich, giocando per altri due anni con il Novara del presidente Sabino Tarantola. Nel 1978, a 36 anni, si ritirò dal calcio giocato. Le sue vittorie: 2 Scudetti tricolore, 2 Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Coppa delle Coppe e una Coppa Italia con il Milan. Un Campionato di Serie B con il Foggia. Con la Nazionale fu Campione d’Europa nel 1968. Fu commentatore e opinionista TV. Il suo ricordo nell’intervista a Giuseppe Zingarelli, storico e ricercatore di Padre Pio.

Giovanni Lodetti, straordinario “motore” del Milan anni ’60, è stato un indiscusso protagonista che ha scritto vivide ed indimenticabili pagine della storia del Milan. In campo raramente lo si vedeva camminare. Correva come il vento. Qualche cronista della stampa sportiva affermò che Lodetti non era un calciatore normale, perchè correva come se avesse in corpo “quattro polmoni”. Altri cronisti scrissero che i polmoni di Lodetti erano d’acciaio, altri che “Giuan” fosse il terzo polmone del “Golden Boy” del calcio italiano, altri che “Giuanin” era semplicemente il “gregario” di Gianni Rivera, “quello che giocava e che correva” per Rivera. In effetti, Lodetti, da Caselle Lurati, non si fermava mai anche quando da ragazzino giocava nel campetto in terra del suo paesino nativo. Aveva in campo un incredibile senso della posizione. Il suo innato talento: marcare, contrastare e rubare palla agli avversari per “smistarla” a Rivera, “luce” delle manovre milaniste. Il ricercatore di Padre Pio da Pietrelcina, Giuseppe Zingarelli, ha contattato molte volte telefonicamente l’ex pluridecorato “Campione del Milan” e della Nazionale azzurra, per parlare con lui del “Santo di Pietrelcina” e della sua carriera calcistica, zeppa di prestigiosi titoli nazionali ed internazionali.  

1- Sappiamo che lei ha contattato molte volte, telefonicamente, l’ex Campione del Milan e della Nazionale. Chi era Giovanni Lodetti?

Lodetti calciatore è stato in campo il calciatore che tutti abbiamo sempre conosciuto ed ammirato: instancabile, generoso, al servizio del collettivo. Un “motore” che in campo macinava chilometri, al servizio di ogni squadra in cui ha militato. Un artefice delle prestigiose e memorabili vittorie del Milan anni ’60, che ai tempi della presidenza Carraro, portarono il Milan ai vertici del calcio mondiale. Come persona era una persona cortese, estremamente cordiale, educata, disponibile ed estroversa. Parlare con lui di Padre Pio, di calcio, della sua carriera e di molte altre cose è stato per me un onore e un privilegio. In sostanza Lodetti è stato un campione nella vita: come uomo e come calciatore.

2- Cosa l’ha colpita di Lodetti?

L’estrema gentilezza, la grande la modestia, l’umiltà. Era l’amico della porta accanto. Mi ha sempre messo a mio agio nei colloqui telefonici. Nelle molte volte che ho conversato con lui, ricordo la sua voce, sempre estremamente gentile: “Giuseppe, tu chiamami sempre verso le 4 del pomeriggio. Ormai sono in pensione. Faccio il pensionato. Se dovessi avere qualche incombenza da sbrigare, ti dirò io quando potremo risentirci”.  

3- Nella vostra prima telefonata di cosa avete parlato?

Dei suoi due anni trascorsi a Foggia e di Padre Pio da Pietrelcina.

4- Può raccontarcela?

Può sembrare decisamente strano o quantomeno innaturale chiedere subito ad un “Campione” che ha giocato per nove anni nel Milan e che con il Milan ha vinto tutto quello che c’era da vincere, peraltro al fianco di una leggenda del calcio nazionale ed internazionale come Gianni Rivera ed al fianco di molti altri campioni, quali Altafini, Cesare Maldini, Trapattoni, giusto per citarne alcuni, di parlare subito di quei due anni trascorsi nel Foggia e poi di Padre Pio e del suo rapporto con il “frate dei miracoli”. Di prassi, si dà precedenza a tante altre cose. Ma con Lodetti è andata così. Sarei bugiardo se affermassi il contrario.

5- Cosa le disse Lodetti? 

Di essere stato molto contento di parlare subito di quei due anni trascorsi nel Foggia. Fu contentissimo di parlare di Padre Pio e di aver vissuto per due anni a Foggia, nella città dove anche il “Santo Frate” del Gargano, nel 1916, visse per quasi sette mesi, nel convento di Sant’Anna, prima di quella lunga missione terrena compiuta a San Giovanni Rotondo per la salvezza delle anime. Foggia e la sua provincia sostanzialmente rappresentano la terra adottiva del “Santo” sannita. Lodetti mi disse che dopo aver militato consecutivamente per 13 anni in Serie A, nove anni con il Milan e quattro anni con la Sampdoria, l’essere stato contattato dalla dirigenza del Foggia per giocare in Serie B non lo convinceva. Era titubante. Sulle prime quasi escluse di trasferirsi nel capoluogo dauno.

6- Avrebbe voluto continuare a giocare in Serie A?

Si. sarebbe stato quello il suo desiderio. Però, dopo aver vinto qualche tentennamento e qualche legittima esitazione iniziale, alla fine accettò con entusiasmo di indossare la maglia del Foggia, sostanzialmente identica alla maglia del Milan. Quel Milan che gli aveva procurato in passato tantissime soddisfazioni umane e professionali, unitamente alla notorietà internazionale, acquisita dopo aver conquistato sul campo una serie di prestigiosi successi internazionali.

7- Che cosa le raccontò a riguardo il “motore” del Milan?

Mi raccontò, con l’entusiasmo di un ragazzino, di quei due anni trascorsi nella città del “Tavoliere”. Era davvero felice di narrarmi con grande trasporto quel periodo della sua vita e della sua carriera. Furono per lui due anni, cito le sue parole, “letteralmente meravigliosi”, “anni Indimenticabili”. Il calore del pubblico, la vicinanza della città a San Giovanni Rotondo ed a Padre Pio, di cui era molto devoto, il clima, la grande disponibilità del presidente del sodalizio “rossonero” Antonio Fesce, i compagni di squadra con i quali trovò subito un ottimo affiatamento, una grande intesa e amicizia, diedero a Lodetti lo stimolo giusto per esprimersi ai massimi livelli con i “rossoneri” pugliesi. “Ho vissuto a Foggia due anni felici della mia vita”. Questo mi ripeté più volte Lodetti, ricordando anche la figura del presidente Fesce, sempre cordialissimo nei suoi confronti. Inoltre, la cosa di cui mi parlò con altrettanto entusiasmo, fu la grande caparbietà dei dirigenti foggiani nel voler riportare la squadra rossonera in Serie A. Lodetti fu talmente coinvolto da quell’ambizioso progetto, al punto tale che ogni volta che in campo non giocava come avrebbe voluto, quasi se ne faceva un problema. Dopo un campionato di transizione, Lodetti mi parlò del campionato che vide il ritorno del Foggia nel calcio “che conta”. Soffermandosi su quella vittoria della squadra, della società e della intera città. Mi parlò anche di qualche sua tensione, ben celata, alla vigilia di quella vittoria in campionato.

8- Come Lodetti ricordò quel momento?

Quando il Foggia riapprodò in Serie A, quel momento lo ricordò come una specie di liberazione dalle tensioni che generalmente vivono i calciatori nella loro vita professionale quando avvertono di essere vicini al raggiungimento di un traguardo importante. Mi disse: “Quando senti che sei con un piede in Serie A, ma con l’altro ancora no, non è che ci dormi tanto la notte. Ci pensi e le responsabilità nei confronti della società e dei tifosi le senti, caspita che le senti. A noi accadde contro in Novara, quando all’ultima giornata, vincendo per 1 a 0, agganciammo la Serie A”.

9- Detto da Lodetti fa notizia.

Sicuramente sì. Se pensiamo ai nove anni di Giovanni Lodetti trascorsi al Milan, a quello che ha vinto con il Milan e, in modo particolare, alle molte vigilie delle gare importantissime che, verso la fine degli anni ’60, proiettarono in modo superlativo il Milan sulla vetta solitaria del calcio mondiale, vincendo sostanzialmente tutto quello che c’era da vincere a livello di club, Lodetti alle tensioni, avrebbe dovuto, mi scusi il gioco di parole, essere molto allenato. Eppure, nonostante ciò, un “calciatore mondiale” come lui, mi rimarcò con l’entusiasmo di un ragazzino che, quando vinse il campionato cadetto con il Foggia, provò le stesse emozioni di quando lui vinceva in Italia gli scudetti, ed in campo internazionale, le “Coppe europee” ed “Intercontinentali” con il Milan. Un campione è fatto così. Lodetti era fatto così. Era un professionista serio, modesto, umile. Era Lodetti. Un campione.  

10- Il campionato cadetto vinto nel 1976 con il Foggia, Lodetti lo considerò come fosse stato uno scudetto vinto quando giocava con il Milan?

Esattamente. Lodetti me lo disse chiaramente.

11- Cosa le disse?

Mi disse: “La gioia, l’intensità delle emozioni che si vivono quando si vince sono le stesse, sia si tratti di uno scudetto, sia si tratti di una Coppa dei Campioni, sia si tratti di una Coppa delle Coppe o di una Coppa Intercontinentale”. Lodetti era una persona semplicissima, estremamente schietta e molto comunicativa. Era di una semplicità disarmante. In una nostra conversazione telefonica, una volta mi disse: “Io parlo con tutti. Nessuno escluso. Se un giornalista vuol parlare con me, io sono a sua disposizione. Se un tifoso vuol parlare con me, io sono a sua disposizione. Se per strada, quando passeggio, qualcuno vuol parlare con me, io sono a disposizione. L’importante è che durante il dialogo ci sia il rispetto e l’educazione. Se ci sono questi due fattori, non c’ è nessun altro tipo di problema. Possiamo parlare di tutto, senza problema”.  

12- Lodetti, acquistato dal Foggia nell’ ottobre del 1974, in due anni, dopo aver disputato 61 gare con la maglia del rossonera, conquistò la promozione in Serie A.

Esattamente. Era il 20 giugno 1976, quando il Foggia, allenato da Balestri, riapprodò per la sesta volta nella sua storia sul massimo palcoscenico calcistico nazionale, insieme al Genoa e al Catanzaro.

13- Lodetti e Padre Pio. Chi era Padre Pio per Giovanni Lodetti?

Un Santo conosciuto in tutto il mondo, al quale spesso lui si rivolgeva e che pregava con frequenza. Nel suo periodo di permanenza nel Foggia conobbe meglio Padre Pio, avvertendone la vicinanza.

14- Chi fu il calciatore che impressionò più di tutti Giovanni Lodetti?

Mi parlò di sei calciatori. Nel Milan, i calciatori che maggiormente lo impressionarono furono l’ex centrocampista brasiliano, Dino Sani e il “Campionissimo” di sempre, Gianni Rivera, nei confronti del quale ebbe sempre una grandissima ammirazione: “Era di un altro pianeta. Aveva un talento naturale. Una visione di gioco straordinaria. Quando aveva il pallone tra i piedi, inventava quello che difficilmente qualcuno sapeva inventare. Era semplicemente Gianni Rivera”. Nella Sampdoria, non ebbe dubbi nell’indicare Luisito Suarez il calciatore maggiormente dotato tecnicamente. Un calciatore con il quale aveva conservato una bellissima amicizia fin dai tempi dei “Derby della Madonnina”. Nel Foggia mi parlò sempre dell’ottima amicizia con lo storico capitano rossonero, Gianni Pirazzini, con il quale spesso si sentivano al telefono. Un altro calciatore del Foggia, che nel periodo di permanenza in maglia rossonera lo aveva molto impressionato, era Claudio Turella, del quale mi disse: “Sembrava in campo non ci fosse, ma quando arpionava la palla ti faceva giocate incredibili”. Il biennio di militanza nel Novara, lo vide giocare con un calciatore ritenuto da Lodetti altrettanto talentuoso, al pari di Pirazzini: parlo di Giovanni Udovicich. Altra storica bandiera della squadra piemontese. A riguardo di Udovicich, Lodetti disse: “Tutti i palloni di testa erano suoi. Era molto presente nelle azioni importanti. Una persona sempre pronta alla battuta e di grande umorismo”. A livello internazionale non ebbe dubbi. Per Lodetti il più grande di tutti fu Pelè. Per Lodetti, “O Rey”, era semplicemente il calcio con la “c” maiuscola. Pelè era al primo posto. Poi seguiva Gianni Rivera.

15- Che concezione aveva Lodetti del calcio?

Una persona semplice come “Giuan” Lodetti, non poteva che avere una concezione molto semplice, non solo del calcio, ma più in generale, anche della vita. Mi disse: “Se quando giochi a calcio, almeno un po’ non ti diverti, poi finisce che né ti diverti un po’ tu e neanche diverti chi ti sta a guardare mentre giochi. Nella vita è la stessa cosa: se un po’ non sorridi, non puoi far sorridere neanche quelli che sono vicino a te!”. Questa sua affermazione innestò una anche una sua ulteriore riflessione sul calcio.

16- Può riferircela?

Certo. Mi disse: “Io appartengo ad un calcio che non esiste più. Ai miei tempi giocavamo un calcio molto più libero e meno schematico rispetto al calcio attuale. Forse perché, quando ero nelle giovanili del Milan, il mio allenatore che si chiamava Mario Malatesta, ci insegnava a giocare liberi e ci diceva sempre di divertirci, di correre, di giocare come sapevamo giocare e basta, senza imposizioni di sorta. Siamo cresciuti un po’ con questa concezione, con questo sano principio agonistico. Certo, poi quando sono diventato un professionista, anche io ho dovuto apprendere schemi e tattiche di gioco nel corso degli allenamenti. Oggi nel calcio tutto è cambiato. Non è più il calcio di quando giocavamo noi. C è troppa frenesia, troppo nervosismo. Troppo attaccamento agli schemi. Si va in campo con molte tensioni addosso. Quando inizia una partita, dal primo all’ultimo istante di gioco, gli allenatori non si siedono più in panchina. Stanno sempre in piedi a dare continue indicazioni e direttive. Ai miei tempi le panchine servivano per sedersi. Durante gli allenamenti, si spiegava ai giocatori gli schemi e le tattiche del gioco del calcio e i calciatori, pian piano le apprendevano. Oggi si insegna poco ai calciatori a pensare in campo. I calciatori dovrebbero essere lasciati più liberi di pensare. Di esprimere le loro qualità ed il loro potenziale tecnico con maggiore libertà”. Un’altra cosa Lodetti me la riferì a proposito degli stadi.

17- Cosa le riferì?

Che gli stadi sono patrimonio delle città. Vanno adeguati e messi in sicurezza. Però gli impianti storici andrebbero preservati. Parlando dell’impianto di “San Siro”, mi disse più volte di essere contrario alla chiusura dell’impianto: “Se l’Inter e il Milan decideranno un giorno di costruirsi un loro impianto, dovranno fare i conti con quello che è stato e che continua ad essere ed a rappresentare “San Siro”, per Milano e per il calcio milanese”.

18- Quale era l’opinione personale di Lodetti su “San Siro”?   

Mi riferì queste testuali parole: “San Siro è la casa del calcio milanese ed è la storia del calcio milanese. Milan ed Inter sono società che hanno scritto pagine importanti nel calcio nazionale ed internazionale. Se “San Siro” era e continua ad essere denominata la “Scala del calcio”, un motivo ci sarà pure. Milan ed Inter hanno giocato partite epiche in quello stadio, che è uno degli stadi più famosi al mondo. Milano è una delle capitali mondiali del calcio. Considerando quello che le due squadre, Milan e Inter, hanno vinto nella loro storia io non chiuderei mai uno stadio del genere. Se un giorno il Milan e l’Inter, dovessero decidere di costruirsi uno stadio autonomo, molto probabilmente quello sarà un brutto giorno per “San Siro” e per Milano, perché Milano diventerà come una città zoppa, alla quale verrà cancellata una parte significativa della sua identità”.

19- Parlando invece del Milan, Club con il quale Lodetti vinse tutto, cosa può riferirci?

Con il Milan, Lodetti calcisticamente parlando, toccò il cielo con un dito. Fu la sua squadra. Quella per la quale tifava fin da bambino. Da Caselle Lurani, all’epoca un paesino microscopico facente parte della cintura metropolitana del capoluogo lombardo, partito dall’oratorio a tirar calci ad un pallone, entrò nelle giovanili del Milan. La sua carriera è stata il riflesso di quel ragazzino, che entrando nelle giovanili del Milan, riuscì poi, con grande impegno e sacrificio, ad esordire in prima squadra. Mi disse: “Da ragazzino mi impegnavo sempre. Correvo in campo inseguendo un pallone e questo mi dava un senso di libertà e di felicità. Ci tenevo a diventare un calciatore e ce la mettevo tutta per riuscirci!”. Mi raccontò che la giornata, tra allenamenti e lavoro, non era affatto agevole da affrontare perché, quando aveva circa 14 anni, aveva iniziato a lavorare in una azienda e doveva impegnarsi anche nel lavoro, altrimenti il titolare avrebbe avuto da ridire e, sia pur trovandosi ancora in una fase di iniziale apprendistato, avrebbe rischiato il licenziamento. “La mia era una famiglia operaia, il mio papà era falegname, e io dovevo pur iniziare a lavorare e guadagnarmi da vivere per campare.”.   

20- Possiamo dire che Lodetti riuscì in pieno a realizzarsi calcisticamente.

Ci è riuscito non solo in pieno, ma anche alla “grande”. Ricordo un particolare a riguardo.

21- Quale?

Quando mi parlava del suo esordio nel Milan, mi disse sorridendo e con grande senso dell’umorismo: “Il mio primo stipendio al Milan ammontava a circa 140mila lire e mi fu corrisposto in tagli da diecimila lire. Avevo paura che me lo rubassero sul bus e rientrai a casa a piedi. Consegnai i soldi a mio padre e che si congratulò con me per aver guadagnato tutti quei soldi. Mio padre, in vita sua, non aveva mai visto tanti soldi in una sola volta. Se li prese tutti ed io gli dissi di lasciarmi almeno un biglietto da diecimila lire, ma lui non mi lasciò neanche il becco di uno “spiccioletto”, se li intascò tutti e buonanotte ai suonatori!”. Ricordo mi raccontò un altro particolare.

22- Cosa ancora le disse?

Mi raccontò un episodio: “Quando feci l’esordio con il Milan, il 15 aprile 1962, affrontammo la Spal ed a Ferrara vincemmo per 3 a 0. Quando venni a giocare a Foggia, che ha la maglia uguale a quella del Milan, mi sembrò di rivivere quell’esordio di tanti anni fa a Ferrara, perché la prima partita che giocai con la maglia del Foggia fu, neanche a farlo apposta, proprio contro la Spal e anche se giocammo in casa, per poco il risultato non fu simile a quello del mio primissimo esordio in rossonero milanista. Vincemmo per 2 a 0!”.

23- Cosa le riferì Lodetti dei suoi grandi successi al Milan?

Che il calcio, il Milan e le squadre in cui giocò sono stati la sua vita. Ma anche lui al calcio, al Milan e alle squadre in cui ha militato ha dato tutto il suo impegno. Mi disse che lui si reputava un “fortunato della vita”, perché riuscì a giocare nella squadra per la quale aveva sempre tifato fin da bambino, il Milan: “Pochi ci riescono. Sudando, sacrificandomi lavorando duramente, ci sono riuscito. Sono contentissimo per questo risultato raggiunto”.   Dei successi del Milan, disse: “I trionfi degli anni della presidenza Carraro, furono dei “grandi” successi, perché il Milan di quegli anni era una grande squadra, un Milan da favola, un collettivo vincente”. Si meravigliava che la stampa non avesse definito “Grande” anche il Milan, dal momento che aveva vinto praticamente tutto quello che c’era da vincere, allo stesso modo dell’ l’Inter di Herrera, che soltanto qualche anno prima, aveva fatto man bassa in campo internazionale. Diceva: “A volte la stampa è fatta così. Ma bisogna cercare di rispettare tutti e l’opinione di tutti”.

24- Il calcio è stato la vita di Lodetti.

Fu il suo grande amore, insieme alla sua famiglia. Tanto da ritirarsi a 36 anni. Nel 1978, quando Lodetti si ritirò dal calcio giocato, i suoi 36 anni rappresentavano per l’epoca, calcisticamente parlando, un’età inoltrata per appendere gli scarpini al chiodo. A proposito della famiglia, ci intrattenemmo a lungo su questo tema. Mi diceva sempre: “La famiglia è importante. Ti trasmette armonia, forza, stimolo nei momenti non semplici della vita, perché di momenti difficili ce ne sono che ti vengono a bussare alla porta!”. Riferendosi al rapporto calcio-famiglia, si espresse con una semplice riflessione: “Nel calcio di oggi si gioca con una frequenza impressionante. Accendo la televisione e vedo che ci sono troppe partite. E i calciatori di oggi dove lo trovano il tempo per stare con le loro famiglie?”. In un’altra nostra telefonata mi raccontò che, qualche tempo dopo aver terminato la sua carriera agonistica, aveva fatto nuovamente capolino il desiderio di ritornare a giocare a calcio e andò a giocare con dei ragazzini che erano soliti giocare tra loro a Parco Trenno.

25- Lodetti tornò a giocare con dei ragazzini?

Si. Un giorno Lodetti chiese se poteva giocare con loro, ma i ragazzini gli risposero che era troppo vecchio. Continuava ad osservarli mentre giocavano e ad un certo punto, uno dei ragazzini della squadra che in quel momento era nettamente in svantaggio, invitò Lodetti ad entrare in squadra a giocare con loro. Al termine dell’incontro i ragazzini gli dissero: “Sei vecchio, però giochi bene. Vuoi venire anche la prossima volta a giocare con noi?”. E Lodetti non se lo fece ripetere due volte. Giocò con loro per molto tempo. Il giorno, in cui fu invitato dai ragazzini a giocare con loro, Lodetti indossava un “ki-way” con su scritto “Ceramica”, perché era andato a fare un po’ di corsetta al parco per tenersi in allenamento. Da quel momento i ragazzini finirono per chiamarlo “Giovanni Ceramica”. A tal riguardo Lodetti mi disse: “A mia moglie non dicevo nulla che andavo a giocare a calcio. A volte dicevo che andavo a giocare a tennis con un amico, altre volte che andavo a correre al parco, insomma inventavo qualche scusa. Le donne quando sanno che vai a giocare a calcio, si mettono sempre con pensieri e preoccupazioni per la testa. Quando giochi a calcio con i ragazzini, finisci che diventi più ragazzino di loro e ti diverti più di quanto si divertono loro. Ogni sabato mattina avevo preso questa bella abitudine. Poi un signore, che in bicicletta un giorno si fermò a guardarci giocare, mi riconobbe e disse ai ragazzi chi ero, rivelando la mia identità”.

26- Quindi Lodetti per certi aspetti, era ritornato ragazzino, giocando con i ragazzini.

In un certo senso, non lo negò. Anzi ne parlava divertito e con contentezza, ripercorrendo quel periodo della sua vita. Mi parlò anche di alcune partite con il Milan che gli si riaffacciavano maggiormente alla mente. Giocò 288 partite in carriera con il Milan. Mi fece sorridere quando mi disse: “Non avevo dei piedi che erano gran che e non ero un attaccante, però, nonostante ciò, in carriera, qualche gol l’ho segnato anch’io!”. Nella sua carriera segnò oltre una ventina di reti. Sono tante per uno, come diceva lui, parafrasando la canzone di Luciano Ligabue, “Una vita da mediano”, nato senza i piedi buoni, sempre lì, lì nel mezzo a recuperar palloni. Una doppietta lo inorgogliva. Nel “derby” Milan-Inter, giocato il 15 novembre 1965, terminato con una secca vittoria del Milan sui “cugini nerazzurri” per 3 a 0, Lodetti segnò ben due reti. Ricordò quella circostanza, dicendomi ironicamente: “Scrissero sempre che su un mio tiro, fu Suarez, di cui ero molto amico, sia quando giocava nell’Inter che, quando ci ritrovammo insieme a giocare nella Sampdoria, a deviarlo nella sua porta, toccando di un capello il pallone, ma in realtà Suarez non fece nessuna autorete. Cavolo! Una volta che uno che corre sempre e fa una doppietta, dicono che è autorete! Poi nel “derby”! Ma insomma!”. Infatti, con Luisito Suarez ci fu una particolarità.

27- Quale?

Giovanni Lodetti, dopo aver giocato per nove anni consecutivi al Milan e dopo aver vinto tutto con il Milan, venne ceduto dal Presidente rossonero Franco Carraro alla Sampdoria. Luisito Suarez, dopo aver giocato per nove anni consecutivi all’Inter e dopo aver vinto tutto o quasi tutto con l’Inter, venne ceduto dal Presidente Ivanoe Fraizzoli alla Sampdoria. Sostanzialmente, Lodetti e Suarez, i due “pluridecorati” campioni del Milan e dell’Inter, si ritrovarono insieme a giocare con la maglia blucerchiata della Sampdoria, voluti fortemente dal dottor Mario Colantuoni, all’epoca “Presidente” dei doriani. Lodetti e Suarez giocarono insieme nella Sampdoria per tre anni, consolidando la loro amicizia nel tempo. Lodetti mi riferì che fino a qualche tempo fa, con Suarez, si sentivano spesso al telefono e si vedevano anche per qualche passeggiata insieme per le strade di Milano, magari prendendo un caffè o un aperitivo, discutendo di calcio e di altre cose. Stessa amicizia intercorreva anche tra Lodetti e Mario Corso, altro leggendario attaccante della “Grande Inter” di Herrera e Angelo Moratti. Anche Lodetti e Corso in passato si incontravano con frequenza a Milano.     

28- Di quali partite le parlò Lodetti?

Parlammo in generale con lui dei “trionfi” del Milan. Tutti scritti in modo indelebile nella sua mente e nel suo cuore. Li ricordava tutti come fosse ieri. Poi il suo ricordo cadde su due partite. Un Milan-Santos, relativa alla quarta edizione della Coppa Intercontinentale, risalente al novembre 1963. Una storica triplice finale tra i brasiliani del mitico Pelè e i rossoneri meneghini allenati all’epoca da Louis Carniglia. Una finale che entrò nella storia non solo perché il Milan fu la prima squadra italiana a disputare una finale di Coppa Intercontinentale, come del resto lo era stata nel 1958 quando in Coppa dei Campioni affrontò i “Bianchi di Spagna” del Real Madrid, ma principalmente perché si verificarono situazioni “assai discutibili”. Mentre la seconda partita di cui Giovanni Lodetti mi parlò fu la partita più “cruenta” disputata dal Milan nella sua storia e tra le più violente, se non forse la più violenta, mai disputate nella storia del calcio d tutti i tempi. E cioè, un Estudiantes-Milan, giocata il 22 ottobre 1969, allo stadio Alberto Josè Armando di Buenos Aires, stadio meglio conosciuto con il nome di “Bombonera”, stadio dove gioca la squadra argentina del Boca Juniors, ex squadra di Diego Maradona.

29- Cosa le riferì Lodetti riguardo a questi due incontri?

Della partita Milan-Santos, “triplice” finale disputata dal Milan nella Coppa Intercontinentale del 1963, Lodetti mi parlò con grande e sorprendente lucidità di quelle tre gare, come di un qualcosa che il tempo non aveva per nulla scalfito nei suoi ricordi, al pari di come non aveva intaccato i ricordi indelebili relativi ai suoi numerosi trionfi. A distanza di 60 anni, quel rigore inesistente concesso allo stadio Maracanà dall’arbitro Brozzi al Santos, su un tuffo effettuato da Almir, almeno un metro fuori dall’area di rigore, espellendo successivamente anche Cesare Maldini, gli riaffiorava alla mente e non tanto lo mandava giù. Mi disse: “Sai, nel calcio poi devi accettare anche questo!”. Quel rigore inesistente permise al Santos di aggiudicarsi la Coppa Intercontinentale. Ricordava poi, nella partita di ritorno sempre contro il Santos, il calcio in testa ricevuto da Balzarini, portiere del Milan, costretto a giocare una parte della gara con una fasciatura di supporto alla testa, a causa di un primo calcio che il “tuffatore” Almir gli aveva mollato al capo. E di come Balzarini, fu poi in seguito costretto ad abbandonare definitivamente i pali della sua porta sempre a causa di un secondo bruttissimo intervento falloso da parte dello stesso Almir. Un intervento che costò a Balzarini, come mi ricordò Lodetti, qualcosa come ben 13 punti di sutura al mento. Ricordando inoltre “Basleta”, che l’arbitro di quella partita, l’arbitro Brozzi, venne poi radiato dalla federazione arbitrale, in quanto venne provato che Brozzi fu pagato sottobanco per favorire il Santos. Una vera e propria “combine” ai danni del Milan.             

30- Perchè Lodetti era chiamato “Basleta”?

Quando glielo chiesi, mi rispose prontamente e con grande senso dell’umorismo: “Perché avevo il mento pronunciato in avanti. Mia madre mi mise al mondo così. Che potevo farci? Nulla. Fortunatamente questo non fu per me mai un problema!”.

31- Della seconda gara, quella disputata dal Milan contro l’Estudiantes de La Plata, cosa le riferì il famoso “centromediano” milanista?

Mi rispose subito dicendomi che fu una partita drammatica, disputata in un’atmosfera surreale. Oggi, una partita di questo genere non sarebbe lontanamente immaginabile. Lodetti non la descrisse come un incontro di calcio, bensì come una battaglia. Mi disse: “Fu la partita più violenta che giocai nella mia carriera e forse una delle più violente mai giocate nel calcio di tutti i tempi”. Poi continuò: “Già dalla sera precedente, la polizia ci scortava quando si usciva dall’albergo dove alloggiavamo!”. Che si preannunciasse una gara infuocata Lodetti e il Milan ne erano coscienti, ma non immaginavano quanto sarebbe successivamente accaduto. Le affermazioni di Lodetti, al riguardo di questa gara, furono perentorie e sofferte: Ricordò: “Prima che iniziasse la partita già ricevemmo minacce, insulti, intimidazioni. Appena fuori dagli spogliatoi mi sentii bruciare la schiena perché mi tirarono addosso del liquido bollente, era caffè, ma sapevamo che non ci potevamo far nulla. Di normale non ci fu niente in quell’incontro, che definire “di calcio”, è soltanto per modo di dire. Noi non potevamo immaginare una degenerazione di quel genere. Nereo Rocco ci aveva fatto capire che dovevamo essere pronti a disputare una partita dura. Ma non immaginavamo cosa sarebbe poi accaduto. Ci provocarono continuamente. Dovevamo restare calmi più che potevamo e giocare la nostra partita. Giocarono talmente duro che i loro interventi erano dei veri e propri attentati nei nostri confronti. Lo stadio era una bolgia infernale. Alla fine del primo tempo, al rientro negli spogliatoi, ci provocarono di nuovo e per poco non scoppiò una rissa furibonda. Oggi una partita così non esisterebbe. Andammo in vantaggio con Rivera che realizzò la rete dopo uno scambio con Combin. Poi loro realizzarono due reti. Iniziarono ad attaccare a testa bassa, giocando in modo violento e scorretto. Ma riuscimmo a resistere. Quando loro capirono di non riuscire più ad avere possibilità di riagguantare il risultato per tentare in extremis di aggiudicarsi la Coppa, allora si innervosirono ancora di più, persero il controllo di sé stessi e la ragione. Il pubblico li aizzava contro di noi. Erano inferociti. Volevano metterla sul piano della rissa per menar le mani contro di noi. Quando l’arbitro fischiò la fine della gara, ci abbracciammo per la vittoria. Loro, vennero verso di noi e iniziarono ad insultarci, a sputarci in faccia ed a prenderci a calci. Io presi qualche schiaffo e un paio di pugni dietro le spalle e mi precipitai verso gli spogliatoi. Al rientro negli spogliatoi ebbi paura per la nostra incolumità. Non si ragionava più. Combin, aveva ricevuto minacce e con la maglia sporca di sangue era uscito con il naso rotto e poi a fine partita venne anche arrestato. Combin lo tenevano già puntato dalla partita di andata, quando a Milano vincemmo per 3 a 0 e in un contrasto, gli ruppero i denti con una gomitata al volto. Poi si raccontava che Pierino Prati era morto a causa delle botte ricevute. Cosa non accadde in quella partita! Anche alcuni giocatori dell’Estudiantes vennero in seguito arrestati. La Polizia non aveva più il controllo della situazione, anche se con i manganelli tentava di respingere alcuni tifosi dell’Estudiantes che volevano entrare nei nostri spogliatoi. In campo non fu una partita, ma una guerra. Vincemmo la “Coppa Intercontinentale” dopo aver vinto una guerra!”.

32- Lodetti le parlò anche della Nazionale e delle sue esperienze con la “maglia azzurra”?

Si. Mi riferì subito di quando giocò l’amichevole allo stadio comunale di Firenze. Era il 1° maggio 1965. L’incontro in questione era Italia-Galles. Mi spiegò anche il perché.

33- Quale fu il “perché”?

Perché parlando anche del Foggia, ricordò subito due cose piacevoli per lui. La prima, fu quella di aver giocato quel giorno con due calciatori del Foggia in maglia azzurra: Nocera e Micelli. Due calciatori, mi disse, che ebbe anche il piacere di conoscere personalmente. La seconda, fu quella di aver siglato in quell’incontro amichevole una splendida doppietta. La gara contro il Galles terminò con il risultato di 4 a 1 per la Nazionale italiana. In panchina, alla guida tecnica degli azzurri, sedeva Edmondo Fabbri. Gli fece molto piacere ricordare i due gol realizzati contro i gallesi. Ricordò anche la vittoria ai Campionati Europei del 1968, perché quella contro la Jugoslavia, a Roma, fu la sua ultima convocazione con la maglia azzurra: “Fu una vittoria strepitosa. Nessuno di noi pensava che avrebbe resistito così a lungo”. Riferendosi ai 53 anni intercorsi tra quella vittoria della Nazionale di Ferruccio Valcareggi e quella conseguita nel luglio 2021 dalla Nazionale di Roberto Mancini ai recenti “Campionati Europei”. Molto significativa fu la cosa che poi aggiunse: “Vestire la maglia della Nazionale Italiana è un onore, perché ti porta a rappresentare l’Italia nel mondo!”.

34- Quale fu, diciamo così, la cosa “meno piacevole” per Lodetti?

L’esclusione dai “Campionati Mondiali” disputatisi in Messico, nel 1970. Quell’esclusione credo sia stata per lui come una spina che gli rimase sempre conficcata nel fianco. Mi disse: “Ero tra i 22 convocati. Valcareggi era solito alternare Mazzola e Rivera. Anastasi si infortunò e un giorno mi dissero di ritornarmene a casa, perché non rientravo più nella “rosa”. Furono convocati Boninsegna e Prati, ma Prati non era in forma, ricordo che quasi zoppicava e mandarono a casa me, che in altura mi sentivo di correre come una gazzella. Mi dissero di restare in Messico per tutta la durata del mondiale, ma a quel punto non restai neanche un attimo e me ne tornai subito a casa. Andai in Versilia a trascorrere le vacanze e lì seppi che il presidente Carraro mi aveva girato alla Sampdoria. Ci rimasi malissimo. Non ero più un calciatore del Milan! Mi sentivo smarrito e abbattuto dentro! Tempo dopo, il dottor Fulvio Bernardini, mi spiegò che al Milan interessava Romeo Benetti e per averlo, il Milan offrì alla Juventus tre calciatori, Sormani, Malatrasi e Trapattoni, ma Bernardini mi disse che la trattativa si sarebbe conclusa solo se io passavo alla Juventus! Noi calciatori, venivamo considerati come merce di scambio, come fossimo degli oggetti sacrificati a interesse economico delle società e questo, a dir il vero, ci faceva incavolare, perché all’epoca noi non avevamo i “Procuratori” che tutelavano i nostri interessi. Oggi è tutta un’altra storia!”. Poi mi riferì che con Gianni Rivera non si sentì più per molti anni.

35- Perché questo silenzio tra i due campioni che con il Milan vinsero tutto?

Perché, quando nel 1979 Gianni Rivera divenne vice-presidente del Milan, non chiamò Lodetti ad allenare i ragazzini del “settore giovanile” del Milan. Lodetti ci rimase molto male, in quanto Rivera sapeva quanto “Giuanin” ci tenesse ad allenare i ragazzini del vivaio milanista. Lodetti poi mi disse che dopo molto tempo, quasi trent’anni dopo, con Rivera si rividero a Portonovo di Medicina, un comune della provincia di Bologna, paese nativo di Giacomo Bulgarelli, bandiera storica del Bologna, con il quale il “regista” felsineo vinse lo scudetto nel 1964. Lodetti ricordò che Bulgarelli fu testimone di nozze al suo matrimonio.

36- Come mai Lodetti e Rivera si incontrarono a Portonovo di Medicina?

Perché l’Amministrazione comunale di Portonovo di Medicina decise di intitolare l’impianto a Giacomo Bulgarelli. Anche Rivera venne invitato alla cerimonia di inaugurazione e i due campioni, all’insaputa che anche l’altro fosse stato invitato all’evento, ebbero opportunità di incontrarsi a sorpresa e di rivedersi nuovamente a distanza di molto tempo. In quella occasione si salutarono e ripresero i rapporti personali interrotti in precedenza. Tuttavia, quella mancata chiamata di Rivera a Lodetti lasciò il segno e non portò al ristabilirsi delle relazioni interpersonali, come al tempo in cui i due calciatori militavano nel Milan. Qualcosa si incrinò tra loro, nel momento in cui Rivera decise di affidare i ragazzini del “settore giovanile” del Milan a Paolo Ferrario, ex attaccante del Milan. Nei due anni di militanza nel Foggia di Antonio Fesce, Giovanni Lodetti ebbe come allenatore un suo amico di tante battaglie nel Milan, cioè Cesare Maldini, ex bandiera del Milan e capitano della nazionale italiana, il quale subentrò alla guida tecnica del Foggia al posto dell’esonerato Lauro Toneatto. Lodetti lo ricordò.

37- Cosa le disse?

Ricordò Maldini, dicendomi: “Con caparbietà Cesare Maldini, nel mio primo anno a Foggia, riuscì a salvare la squadra da una situazione che per un periodo di tempo ci vide proiettati verso una zona poco sicura della classifica. Poi riuscimmo a ritrovare schemi e gioco e con essi una tranquilla permanenza in Serie B. L’anno successivo non partimmo bene, non saprei dire perché, la volontà di fare bene c’era, sorse qualche incomprensione tra Maldini e il presidente Fesce. Maldini venne esonerato e la squadra venne affidata a Balestri, che era il vice di Maldini. Il presidente Fesce e la dirigenza volevano ritornare caparbiamente in Serie A. L’obiettivo dichiarato del Foggia era la Serie A e la centrammo a fine campionato contro il Novara con il gol di Turella, classificandoci a pari punti, insieme al Genoa ed al Catanzaro. Fu un trionfo per tutti. Società, squadra e città. Poi l’anno seguente, insieme a Toschi e a Fumagalli, venimmo ceduti al Novara del presidente Sabino Tarantola, che come contropartita tecnica, cedette al Foggia, Salvioni”. A riguardo di Giovanni Lodetti, un fatto storico mi fu riferito dal professor foggiano Luigi Biccari, oggi insegnante di matematica in pensione, il quale conobbe Lodetti personalmente a Foggia.

38- Quando si verificò questa circostanza?

Si verificò a Foggia il 29 novembre 1964. Nel pomeriggio di quella domenica era in programma allo stadio “Pino Zaccheria”, valevole per il campionato nazionale di serie A, la partita Foggia-Milan. Il professor Luigi Biccari, all’epoca un ventenne studente universitario, si era recato ad ascoltare la Santa Messa nella chiesa dei frati francescani dei “Sacri Cuori di Gesù e di Maria”, sita in pieno centro della città del Tavoliere. Mentre ascoltava la Messa si accorse della presenza in chiesa di due calciatori del Milan: Giovanni Trapattoni e Giovanni Lodetti. Al termine della celebrazione religiosa, al professor Biccari, tifoso del Foggia e del Milan, si presentò l’occasione di avvicinare i due famosi calciatori milanisti e di parlare con loro. Trapattoni e Lodetti si trattennero una buona mezz’ora a colloquiare con l’allora giovanissimo Luigi, futuro insegnante e grande appassionato di calcio. Lodetti, con la disponibilità e la cordialità che da sempre lo contraddistinsero, salutò il giovane Lugi e ritornò in albergo, dicendo di andare a concentrarsi per la partita. Perché, come rivelò al giovane Luigi, affrontare il Foggia non sarebbe stato agevole. Mentre Trapattoni e il futuro professore continuarono la loro amichevole discussione all’interno della villa comunale di Foggia, in quanto Trapattoni espresse il desiderio di voler entrare in villa per una passeggiata. Un fotografo scattò una fotografia a Luigi ritraendolo in compagnia del famoso calciatore del Milan e della Nazionale. E Trapattoni, prima di accomiatarsi dal giovane Luigi, gli disse: “Non sarà facile, ma tenteremo di battere il Foggia di Pugliese, che sappiamo essere una squadra temibile e agguerrita, auguro al Foggia di disputare un ottimo campionato. La ringrazio per la bellissima discussione, le saluterò ancora una volta da parte sua Lodetti e le porgo i miei “più sinceri auguri” per il buon prosieguo dei suoi studi universitari”. Ebbene, quell’anno il Foggia disputò un bellissimo campionato, veleggiando a centro classifica tra squadre assai più blasonate. Negli anni seguenti, Luigi Biccari si laureò e divenne titolare di cattedra. Nel 1974, quando “Giuan” Lodetti, dalla Sampdoria venne acquistato dal Foggia, Luigi Biccari incontrò Lodetti che si ricordò di quell’incontro di dieci anni prima, avvenuto innanzi al convento dei frati di “Gesù e Maria” e i due divennero amici. A Foggia, come mi ha sempre confermato il professor Luigi Biccari, Giovanni Lodetti, è stato sempre molto stimato, “amato” ed apprezzato dai tifosi del Foggia per la sua semplicità caratteriale e per la sua cordialità, abitava in Via Pietro Scrocco e, come ricorda il professor Biccari, spesso lo si vedeva rientrare con la sua la vettura, in un garage sito in Via Tenente Iorio. Giovanni Lodetti è stato peraltro l’ex calciatore del Foggia che vanta più vittorie in campo nazionale ed internazionale, insieme ad Angelo Domenghini, ex calciatore del Foggia di Puricelli, Campione della “Grande Inter” di Herrera. Il prof Biccari fondò a Foggia un Milan Club nel 1984.

39- Giovanni Lodetti, una “Campione” di cordialità, modestia e semplicità.

Senza alcun dubbio. Ha detto bene. Una persona che è riuscita ad esternare queste sue grandi positività personali ovunque abbia giocato. Nel Milan, nella Sampdoria, nel Foggia e nel Novara. Questo è stato Giovanni Lodetti. Un campione di semplicità, modestia e cordialità. In campo e nella vita.

                                                                                Intervista raccolta da Giuseppe Maiello                      

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