Gigi Riva, il ‘Gladiatore’ di Leggiuno. La Sardegna, il Cagliari e la Coppa del Mondo 2006 portata a San Giovanni Rotondo nell’ospedale di Padre Pio
Il 22 gennaio scorso è scomparso il più grande attaccante italiano del dopoguerra: Gigi Riva. Fortissimo nel gioco di testa, dotato di un sinistro potentissimo, un istinto del gol che incantò il mondo, con il Cagliari conquistò il 12 aprile 1970 lo storico scudetto, simbolo di una vittoria straordinaria nella storia del calcio italiano.
Il Cagliari fu la prima squadra del Sud a conquistare il primato nazionale. Una vittoria probabilmente irripetibile nella storia del sodalizio rossoblu. Uno scudetto che in Sardegna, senza sprofondare nella retorica, assunse una valenza che andò ben oltre il calcio. Riva vinse per tre volte la classifica marcatori della Serie A: 18 reti nel campionato 1966-67, 20 reti nel campionato 1968-69, 21 reti nel campionato vinto dal suo Cagliari nella stagione 1969-70. Per tre volte vinse anche la classifica marcatori in Coppa Italia. Con la maglia della Nazionale azzurra vanta lo statosferico record di 35 reti messe a segno in 42 partite conquistando nel 1968 il Campionato d’Europa per Nazioni. Fino ad oggi, in azzurro, nessuno ha fatto meglio di lui pur avendo giocato molto più di lui. Il 30 marzo 2007, “Rombo di Tuono” portò la ‘Coppa del Mondo’ conquistata a Berlino nel 2006 dagli azzurri di Marcello Lippi da Padre Pio, nell’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”. Nel campionato di Serie B 1963-64, tre squadre approdarono per la prima volta nella loro storia in Serie A. il Cagliari di Riva allenato da Arturo Silvestri, il Foggia di Nocera guidato dal tecnico Oronzo Pugliese e il Varese di Luigi Ossola, squadra della provincia in cui il bomber rossoblu nacque nel 1944, all’epoca allenato da Ettore Puricelli. Il tecnico uruguagio, in seguito, allenerà sia il Cagliari di Riva nel 1967-68 sia il Foggia nel corso degli anni ’70, rilevando Tommaso Maestrelli alla guida dei rossoneri. Proprio contro il Foggia, Gigi Riva mise a segno uno dei suoi rarissimi gol segnati con il piede destro. Avvenne il 14 ottobre 1973. Nell’estate del 1969, in un colloquio telefonico con il Presidente dell’Inter Ivanoe Fraizzoli, Angelo Domenghini, Campione d’Europa nel 1968, Vicecampione del Mondo in Messico nel 1970 e Campione d’Italia con il Cagliari insieme a Gigi Riva, predisse a Fraizzoli la vittoria del Cagliari nel campionato 1970.
A colloquio con Giuseppe Zingarelli, storico del Santo di Pietrelcina.
1- Gigi Riva. Un campione, una leggenda, un mito. È stato il più forte goleador italiano di tutti i tempi. Molti calciatori si ispirarono a lui. Un calciatore che ha segnato un’epoca. Una notorietà indiscussa anche in campo internazionale. La sua storia, la sua carriera, i suoi gol sono ancora più straordinari perché legati indissolubilmente ad una sola squadra, il Cagliari. Gigi Riva e la Sardegna. Gigi Riva e il Cagliari. Un amore infinito che la sua scomparsa non potrà mai spezzare.
Dice bene. È proprio così. Riva ha scritto con il Cagliari pagine di storia memorabili, indelebili, indimenticabili. Perché Gigi Riva è il Cagliari. Gigi Riva è la Sardegna. Gigi Riva continuerà ad essere per il popolo sardo la leggenda dell’isola, la leggenda del Cagliari e dell’Amsicora. Lo stadio dello scudetto. Un popolo che lui stesso, con il suo carisma, con i suoi gol ha fatto sognare, ridestando dall’oblio sociale un’intera regione. La bellissima Sardegna, il meraviglioso popolo sardo che a Riva deve tanto e che a Riva ha dato tanto affetto. ‘Rombo di Tuono’, così venne ribattezzato dall’uomo dell’Oltrepò pavese, il narratore del calcio per eccellenza, il giornalista Gianni Brera, per celebrare la potenza esplosiva del micidiale tiro di Riva. Quando calciava il pallone con la potenza del suo piede sinistro, la sfera emetteva un sibilo che aumentava progressivamente. Gigi Riva, da solo, rappresenta da decenni i sardi, la Sardegna e il Cagliari. Il suo amore sconfinato per il Cagliari, per la Sardegna e per i sardi, mi perdoni il gioco di parole, è una storia che è già stata consegnata alla storia dell’isola e del calcio italiano. Parlare di Gigi Riva calciatore è per certi aspetti, quasi superfluo, ed appare perfino banale, se pensiamo al campione che ha incantato e deliziando le platee nazionali ed internazionali con i suoi numeri acrobatici e con le sue reti. A proposito di gol, in 443 partite disputate tra Serie A, Serie B e Nazionale con la mitica maglia del suo adorato Cagliari, ha realizzato qualcosa come 249 reti. Una quantità industriale di gol. Ci vorrebbero giorni per rivederli tutti. Alcune delle quali davvero favolose. Prima tra tutte, per spettacolarità, la rete che Riva segnò in campionato al Lanerossi Vicenza, nella trasferta del Cagliari in terra veneta. Era il 18 gennaio 1970. Un cross effettuato da Bobo Gori da fondo campo venne girato di testa da Domenghini a servire Riva che, al centro dell’area vicentina, inarcandosi in modo quasi innaturale all’indietro, batteva inesorabilmente di sinistro, con una straordinaria rovesciata il suo amico ed ex compagno di squadra, Pietro Pianta, in quella stagione estremo difensore della porta biancorossa. Tre calciatori lombardi, Gori, Domenghini e Riva, confezionarono uno dei gol più belli della storia del Cagliari.
2- Tra le 35 reti realizzate da Riva con la maglia della Nazionale, quali, a suo giudizio, quelle più belle?
Mi tornano alla mente tre gol bellissimi di Riva. Ne ha segnati così tanti che non si possono certamente ricordare tutti. Sarebbe impossibile. Il pensiero corre subito in Messico. Nella famosissima “Partita del secolo” giocata il 17 giugno 1970 a Città del Messico, l’irripetibile semifinale Italia-Germania Ovest 4 a 3, l’incontro più bello nella storia dei Mondiali, il gol del 3 a 2 che Gigi Riva, su passaggio di Domenghini, mise a segno battendo con un perfetto diagonale di sinistro il portiere tedesco Sepp Mayer. Poi la fantastica rete siglata in tuffo, con un potente colpo di testa, nell’incontro disputato a Napoli, il 22 novembre 1969, tra Italia-Germania Est e terminato con il netto punteggio di 3 a 0 per gli azzurri. Infine, il gol siglato contro la Svizzera, una spettacolare rovesciata acrobatica, spalle alla porta, nell’incontro giocato al Wankdorfstadion di Berna il 19 novembre 1967, e terminato in parità, Svizzera-Italia 2 a 2.
3- La carriera e la vita di Gigi Riva. In parole semplici come le riassumerebbe?
Sofferenza, difficoltà, strapiombi, successi, gol, tanti gol, infortuni, gioie, sigarette, incazzature e amore per il Cagliari e la Sardegna.
4- Gigi Riva. Un monumento e un eroe del calcio nazionale.
Senza dubbio. Riva, un uomo innamorato della sua riservatezza, uno che con il suo innato istinto del gol ha ammaliato e stregato milioni di appassionati di calcio in Italia e in tutto il mondo. Riva ha vissuto così, come un eroe di due mondi. Un mondo tutto suo, dove si rifugiava a scrutare sé stesso, a contemplare i suoi silenzi, le sue idee e i suoi ideali, le sue sofferenze e dove nessuno poteva entrare se non lui stesso. E un mondo dove ha scrutato ed amato la Sardegna, sua terra adottiva, la terra che lo ha amato, che gli ha dato quell’affetto e quell’amore che non ha avuto a causa della prematura scomparsa dei genitori. La terra che lo aiutato a vivere ed al contempo anche a sopravvivere a se stesso nella corso della sua non semplice esistenza.
5- Una vita non semplice quella del bomber di Leggiuno.
La carriera di Riva e la sua vita, non sono mai state in discesa. Come dire, rispecchiano fedelmente anche la storia del Cagliari e la storia dei sardi. La Sardegna, una terra non semplice da vivere se non la si comprende bene, i sardi un popolo da sempre abituato a lottare coraggiosamente contro durezze e avversità. Il Cagliari, una squadra abituata a combattere e alla quale nessuno ha mai regalato nulla. Gigi Riva, nella sua carriera e nella sua vita, ha incarnato alla perfezione il pensiero e la filosofia degli isolani. Lottando tenacemente contro percorsi esistenziali che spesso lo hanno posto al cospetto di situazioni severe e tormentate. La fortissima ala sinistra del Cagliari dapprima assorbì e poi esternò, di riflesso, il pragmatismo filosofico della cultura e della mentalità del popolo sardo. Riva è stato un uomo e un calciatore di poche parole. Poco propenso ad offrirsi per esporsi ai vacui riflettori del gossip. Visse fin da ragazzino situazioni e vicende familiari che ne hanno anticipato di molto il suo incontro con le difficoltà della vita, con il dolore e la sofferenza interiore. Orgoglioso della sua libertà, delle sue scelte, delle sue decisioni a volte anche tribolate. Riva divenne una leggenda degli stadi lottando, correndo, segnando reti da tutte le posizioni. Subì in carriera infortuni gravi al cospetto dei quali reagì stoicamente, superandoli ogni volta con una forza di volontà sovrumana. Tre volte in Nazionale gli spezzarono le gambe. Lui eroicamente superò quei momenti, perdonando anche il “boia del Prater”, Norbert Hof, il Goikoetxea austriaco che lo fece urlare per il dolore in quell’ Austria-Italia dell’ottobre 1970. Quando aveva soltanto 9 anni dovette affrontare situazioni esistenziali molto difficili.
6- Per quale ragione?
Rimase orfano di padre a causa di una disgrazia che colpì il genitore sul luogo di lavoro. Ugo Riva nella vita aveva svolto in precedenza varie professioni, il sarto e il barbiere. In quel periodo lavorava come operaio in una fonderia del varesino. La mattina del 10 febbraio 1953, Ugo Riva era in fabbrica. Mentre lavorava venne colpito da una specie di oggetto metallico, probabilmente una scheggia di ferro che distaccatasi da un macchinario industriale lo colpì violentemente all’addome, trapassandolo e uccidendolo all’istante. Un evento scioccante, tragico, inatteso, traumatico per la famiglia Riva. La situazione a casa del futuro campione mutò improvvisamente. Alla immensa perdita affettiva del genitore si aggiunsero insormontabili difficoltà economiche. L’Italia stava muovendo i primi passi per uscire dalla povertà che il Dopoguerra aveva provocato. Non fu affatto un periodo facile per chi lo visse. La signora Edis, madre di Riva, casalinga, per tirare avanti la famiglia fu costretta ad impiegarsi come filandiera. Quello che guadagnava non era però sufficiente per campare i suoi 4 figli e fu costretta, in seguito, per arrotondare il già magro salario a far pulizie presso famiglie della zona di Leggiuno. Riva soffrì tantissimo la mancanza affettiva del padre e gli stenti economici. Nel 1960, a distanza di circa 7 anni dalla scomparsa di Ugo Riva, all’età di 16 anni, Riva perse anche la madre a causa dell’insorgenza di una patologia oncologica. Successivamente, gli morì anche una delle sorelle, Candida, a causa di una leucemia. La scomparsa di entrambi i genitori e della sorella furono momenti terribili, drammatici nella vita di Gigi Riva. Quella sofferenza interiore lo accompagnerà nel corso di tutta la sua esistenza.
7- In che modo Gigi Riva riuscì a superare quel momento?
Quando perse tragicamente il genitore Riva aveva appena 9 anni. Si pensò di mandarlo in un collegio religioso di Viggiù, sempre in provincia di Varese, peraltro anche distante da Leggiuno. In collegio piangeva quasi tutti i giorni. La notte non dormiva. Scappò molte volte dalla struttura. Maturò con grande anticipo. Divenne un uomo troppo velocemente, bruciando le tappe dell’infanzia. E questa fu già, per lui, una sofferenza. Quel ragazzino era fatto per la libertà, era felice giocando al pallone con gli amici. Ma la morte del padre gli cambiò le carte in tavola. Il destino talvolta ha in serbo cose che non immagini. Fausta, una delle sorelle, decise di portarlo a vivere in casa sua e lui, già in età adolescenziale, decise di andare a lavorare come operaio in una officina di Legnano, la Slimpa, un’azienda che realizzava ascensori. Il pomeriggio, quando aveva tempo libero, giocava nei campetti di calcio con gli amici. Il giovane Gigi era magrissimo tanto che venne soprannominato scherzosamente con l’appellativo di ‘forchettina’. Non pensava assolutamente al calcio, tantomeno che il calcio sarebbe diventata la sua professione. Un giorno, alcuni osservatori del Laveno Mombello, notarono le sue giocate e la sua impressionante velocità. Lo presero in squadra. Aveva all’ incirca 11, 12 anni. Giocò fino a 18 anni con questa società dilettantistica. Gigi Riva da ragazzino era tifosissimo dell’Inter e l’Inter gli offrì l’opportunità di provare nel suo settore giovanile, ma i dirigenti del Laveno Mombello non lo lasciarono andare. Un osservatore nerazzurro lo notò. Si informò su di lui e l’Inter indirizzò una lettera al Laveno Mombello per invitare il piccolo Gigi a provare nel settore giovanile nerazzurro. I dirigenti del Laveno ricevettero la lettera e, senza mai farglielo sapere, strapparono la missiva. A 19 anni venne acquistato dal Legnano. Fu in questa squadra che Riva entrò nel calcio professionistico. Il 13 marzo 1963 venne convocato nella Nazionale Juniores per giocare a Roma, allo stadio Olimpico, una partita contro gli Juniores della Spagna. Durante quell’incontro che terminò 3 a 2, Riva segnò il gol della vittoria, ma a destare l’attenzione di alcuni dirigenti del Cagliari, presenti all’incontro, più che il gol fu un suo tiro scagliato con estrema potenza verso la porta iberica. Al termine di quella gara, quel dirigente rossoblù, Andrea Arrica, fece pressione sulla dirigenza del Cagliari per portare Riva nell’isola. Arrica ebbe il grande merito in insistere per l’acquisto di Riva e alla fine riuscì nel suo intento. Il Bologna del Presidente Dall’Ara offrì 50 milioni per avere Riva ma venne anticipato dai sardi nella trattativa, cosicché, per 37 milioni di lire, Gigi dal Legnano passò al Cagliari. Quando giunse nel capoluogo sardo, i primi tempi, furono per lui assai difficili. Non si trovava a suo agio. Voleva quasi scappare e tornarsene a casa sua, come dicono in Sardegna, ‘nel Continente’. Seguì un progressivo ambientamento. Da allora acquistò maggiore sicurezza in sé stesso. Decise di restare a Cagliari. La Sardegna divenne la sua casa, la sua patria, la sua vita. Si scrisse: “La Sardegna, terra di pastori, terra di pecorai, terra di sequestratori!”. Riva, quando giunse in Sardegna non conosceva nulla della Sardegna. Tant’ è che, quando vi giunse ebbe seri ripensamenti con se stesso, quasi pentendosi di aver accettato il trasferimento nell’isola. Voleva andarsene. Poi, con i pastori e con i pecorai, gente umile e laboriosa, scattò la scintilla. Difese apertamente, senza mezzi termini, i pastori e i pecorai. Riva lo ripeteva spesso: “La Sardegna e i sardi mi hanno aiutato a diventare un uomo!”. Divenne più sereno nelle sue scelte e nelle sue decisioni.
8- Come la decisione, ormai scolpita nella storia del calcio italiano, di non andare a giocare a Torino, quando la Juventus, nel corso delle operazioni di mercato dell’estate del 1973, offrì a Riva un contratto faraonico.
La Juventus, all’epoca, offrì a Gigi Riva un contratto galattico. Un contratto che fece notizia non solo in Italia ma anche nel mondo del calcio internazionale. L’avvocato Agnelli era deciso a versare nelle casse del Cagliari una somma pazzesca per quei tempi, pur di avere il fuoriclasse di Leggiuno: 2 miliardi di lire. Poi c’era l’ingaggio: un contratto triennale da oltre 400 milioni di lire a stagione. In tre anni Riva avrebbe guadagnato oltre 1 miliardo e 200 milioni di lire più i lauti premi partita offerti dai bianconeri. La cifra, in ogni caso, sarebbe lievitata considerevolmente. Qualcuno scrisse anche che Gianni Agnelli, abituato ad ottenere tutto quel che chiedeva, per la prima volta, con il rifiuto di Riva ebbe modo di sperimentare un clamoroso ‘smacco’. Il che lo indusse a rilanciare ulteriormente, rendendolo propenso a far sottoscrivere a Riva anche un contratto da 1 miliardo di lire a stagione. In sostanza, avrebbe coperto d’oro l’attaccante del Cagliari. Una cifra enorme, dunque, considerando che, in Italia, nel 1973, gli stipendi impiegatizi mensili oscillavano tra le 120 e le 200 mila lire. Il Cagliari aveva accettato l’offerta della Juventus. La stratosferica cifra offerta dalla Juventus il 14 luglio 1973 a Riva, potremmo considerarla come il termometro che, in un certo senso, misurò la fedeltà dell’attaccante per il Cagliari. E Riva infatti decise di restare in Sardegna. Al cospetto del rifiuto del bomber, Agnelli saggiò lo spessore dell’uomo Riva, stimandolo ancor di più di quanto lo stimasse in precedenza. Dal canto suo, il “gladiatore di Leggiuno” replicò dicendo che quelle cifre erano spropositate per le sue quotazioni di mercato. Quasi a giudicarle immorali.
9- L’offerta economica messa sul piatto dai bianconeri, umanamente parlando, non si poteva rifiutare.
La follia della Juventus per Riva spinse la società bianconera ad aggiungere anche una contropartita tecnica, accettando di cedere al Cagliari calciatori del calibro di Antonello Cuccureddu, Roberto Bettega, Claudio Gentile e Giuliano Musiello, quest’ultimo scomparso una settimana fa, precisamente il giorno successivo alla morte di Riva.
10- Qualcuno afferma che il Cagliari avrebbe potuto chiedere alla Juventus anche mezza squadra bianconera. L’ Avvocato Agnelli non si sarebbe opposto pur di avere Riva in bianconero.
È vero. L’Avvocato Agnelli sarebbe stato disposto a cedere oltre ai quattro calciatori che le ho menzionato innanzi, anche altri tre calciatori a scelta del Cagliari. Quindi la partenza di Riva da Cagliari avrebbe assicurato alla società sarda una specie di storica rifondazione societaria. Un oceano di denaro liquido associata ad un parco calciatori bianconeri di prim’ ordine. In sostanza, il Cagliari cedendo Riva sarebbe diventato una Juventus 2.
11- La Juventus però non fu l’unica squadra a tentare di strappare Riva al Cagliari, ai tifosi del Cagliari e alla Sardegna con le sue offerte stellari ed esorbitanti.
Vero. Ci provò anche l’Inter. Il Presidente Angelo Moratti propose al Cagliari un’offerta di poco inferiore a quella avanzata dalla Juventus ma ebbe subito la percezione che non ce l’avrebbe fatta a portare Riva a Milano, nella squadra di cui era tifoso fin da bambino. E ancor più dell’Inter, si registrarono le insistenze di un’altra squadra.
12- Quale?
Fu il Milan a tentare con maggior insistenza l’ingaggio di ‘Rombo di Tuono’. Gianni Rivera, quello che Gianni Brera denominò l’ “abatino”, stravedeva per Gigi Riva nel Milan. Anche il Milan però dovette ammainare bandiera. Riva, nelle sue interviste, fu sempre molto esplicito e sincero a riguardo. Il suo non era un rifiuto al Milan, all’Inter e tanto meno alla Juventus e alla incredibile offerta economica proposta dai torinesi. Riva decise liberamente di restare a Cagliari. Fu l’ennesimo atto d’amore, l’ennesima dimostrazione di una infinita gratitudine al Cagliari, alla Sardegna e ai sardi. Fu la sua definitiva scelta di vita. Una decisione che aveva preso con sé stesso già molto tempo prima. Aveva trovato a Cagliari, nel Cagliari, in Sardegna e nel popolo sardo la sua famiglia. Lui che una famiglia paradossalmente non ce l’aveva, lui che ovunque andasse o si spostasse, di fatto era solo. Lui che aveva ricevuto da una sorte avversa il conoscere, a soli 16 anni, cosa si soffrisse ad essere orfano di entrambi i genitori. Per Riva i soldi contavano relativamente. Per il condottiero del Cagliari la vita si era trasformata assai presto in una lotta per sopravvivere a vuoti interiori che spesso si affacciavano nella sua anima, flagellandolo interiormente. Per Gigi Riva il vivere si era mutato, in un certo, in sopravvivere. Sopravvivere alla sua sofferenza interiore e a quelle notti infinite trascorse in quel collegio di Viggiù, a soli 9 anni, ad occhi aperti in attesa di prendere sonno. Nottate che gli si stamparono nell’anima per tutta la vita. Per tutto l’oro del mondo Riva non avrebbe mai lasciato Cagliari. Si era innamorato della Sardegna. Il Cagliari e la dirigenza rossoblù lo sapevano perfettamente.
13- Quando Riva arrivò al Cagliari, i rossoblù all’epoca erano, tutto sommato, una società, potremmo definirla, provinciale.
Storicamente il Cagliari riassume in sé la storia di molte società del calcio di provincia. La mia, come anche la sua, possono essere considerazioni opinabili. Quello che mi sento di poter affermare è che, quando Riva giunse nell’isola nel 1963, sicuramente il Cagliari non era uno “squadrone” inteso nell’accezione comune. Prima di allora aveva lottato duramente tra Serie C e Serie B. La stessa storia del Cagliari, a partire dalla sua fondazione che risale agli inizi degli anni ’20 vide il sodalizio sardo sciogliersi più volte fin a ricostituirsi in nuovi organici societari che mantennero in vita, nell’isola, il calcio che conta. Riva è stato il monumento del calcio sardo. Dopo varie partecipazioni ai campionati di Serie C e Serie B, con alterne fortune, il Cagliari riuscì poi ad approdare per la prima volta in Serie A nel lontano 1964, al tempo della presidenza di Enrico Rocca, il quale affidò i rossoblù alle cure e agli schemi tecnici dell’allenatore Arturo Silvestri. Nel 1964, il Cagliari di Gigi Riva in Serie A ci arrivò in compagnia di altre due “blasonate” squadre provinciali del calcio italiano: il Foggia e il Varese. Con tutto il rispetto per l’Inter, la Juventus e il Milan, club di indubbia caratura mondiale, le squadre di provincia, in Italia, hanno scritto pagine importantissime nella storia del calcio nazionale. Cagliari, Foggia e Varese furono protagoniste in quella epica stagione cadetta del 1964. Cito anche il Varese perché Leggiuno, luogo nativo di ‘Rombo di Tuono’ è proprio in provincia di Varese.
14- Riva: una persona molto taciturna. Parlava poco.
Vero fino ad un certo punto. Riva è stata una persona molto equilibrata. Non amava molto la chiacchiera. Parlava poco perché pensava molto. Amava i silenzi della Sardegna, respirare la tranquillità del Poetto, amava scrutare gli aspetti nascosti delle cose semplici perché era convintissimo che le cose che rendono felici sono le cose umili, le cose semplici, come una cena con qualche caro amico, guardare un tramonto, una passeggiata con la sua immancabile sigaretta tra le labbra, rimanere soli con sé stessi per parlare a se stessi e cercare anche di conoscersi meglio. È stato campione di modestia anche in questo. Una persona profondamente riservata, onesta, leale, carismatica, schietta, estremamente corretta in campo e fuori dal campo, disposta ad esporsi per un suo ideale. Uno che non ha mai avuto nemici. Quello che pensava te lo diceva in faccia, senza peli sulla lingua. Era un filosofo assai pragmatico, rifletteva molto sulla vita, sul significato profondo dell’esistenza. Era uno che sapeva che, se il Cagliari lo pagava è perché si doveva impegnare ai massimi livelli in campo e in allenamento. E voleva che anche i suoi compagni di squadra mettessero in campo lo stesso impegno, lo stesso ardore. Un professionista serissimo. Subiva marcature durissime e decise, ma non ebbe quasi mai a lamentarsi con gli arbitri per questo. Però è anche vero che Riva quando doveva esporre una sua idea si faceva sentire eccome. Aveva una saggezza tutta sua. Andava d’accordissimo con Manlio Scopigno, il filosofo della semplicità, allenatore del Cagliari dei miracoli. Manlio Scopigno, il filosofo dello scudetto rossoblù, quello che responsabilizzava i calciatori senza che se ne accorgessero. Scopigno, quello che odiava le imposizioni, quello che odiava i ritiri prepartita. Riva era un ammiratore silenzioso di Scopigno, come lo furono tutti i calciatori che il 12 aprile 1970 fecero l’impresa nella terra dei “Quattro Mori”.
15- L’amicizia tra Gigi Riva e Fabrizio De Andrè.
Due anime in un corpo solo. Due campioni. Uno con il pallone, l’altro con la chitarra.
16- Anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricordato Gigi Riva come un esempio da imitare per le future generazioni.
Non ci sono dubbi a riguardo. Riva ha incarnato qualcosa di indefinibile che non si ferma al calcio ma va molto oltre il calcio. È difficile spiegare. È stato un combattente, un gladiatore. Un gladiatore calciatore. Un gladiatore uomo. L’incarnazione dell’uomo che lotta quasi per sopravvivere a sé stesso. Nessuno come Riva dovette battersi duramente per potersi riabilitare da infortuni gravissimi che lo colpirono nel corso della sua carriera. Riuscì sempre a risollevarsi con una forza di volontà ferrea, sovrumana, per poi ritornare in campo ad essere più forte di quello che era prima. Nel 1967 Riva contrasse uno stiramento agli adduttori della gamba destra in un’amichevole disputata contro il Dukla Praga e si fratturò il perone sinistro in uno scontro di gioco con il portiere Americo Ferreiro Lopez in un incontro disputato in Nazionale contro il Portogallo. Il 1969 fu un altro anno che vide Gigi Riva patire altri infortuni. Nell’ottobre di quell’anno fu vittima di uno strappo al bicipite femorale destro e circa un mese dopo, nel corso dell’incontro Italia-Germania Est disputatosi a Napoli, rimediò una distorsione al ginocchio e alla caviglia destra associata ad una forte distrazione muscolare alla spalla. In un Cagliari-Livorno disputatosi nell’agosto 1970, di ritorno dal Mondiale messicano, rimediò un’altra contusione tibiale al malleolo sinistro. Nello stesso anno, ad ottobre 1970, nel corso dell’incontro della Nazionale italiana contro l’Austria, al ‘Prater’ di Vienna, Riva si fratturò il terzo medio del perone e riportò anche la lacerazione dei legamenti della caviglia destra. In sostanza Norbert Hof gli spezzò la gamba. Il primo ad accorgersi che era accaduto qualcosa di gravissimo fu Angelo Domenghini, suo compagno di squadra nel Cagliari che gli prese la testa tra le sue mani per attenuargli il dolore. Per quasi due anni Riva riuscì a rimanere lontano da ospedali e infermerie ma nel novembre del 1972 incorse in una pericolosa contusione alla testa causata dal durissimo scontro di gioco con il portiere della Fiorentina, Franco Superchi ed il difensore Giancarlo Galdiolo. Quattro anni dopo, nella partita di campionato contro il Milan, la sfortuna continuò a perseguitarlo. Fu vittima della rottura del tendine all’adduttore della coscia destra. Un micidiale strappo che sentenziò la fine della sua carriera calcistica. Riva diede fondo a tutte le sue energie per recuperare da questo ennesimo infortunio. Questa volta il “Gladiatore di Leggiuno” dovette arrendersi. Contro il Milan, nel febbraio del 1976, andò in scena l’ultimo atto della sua strepitosa carriera. Aveva 32 anni. Dopo il ritiro agonistico affrontò altri tipi di problemi.
17- Che tipo di problema?
Il ritiro dal calcio giocato gli comportò un mutamento di vita. Assunse impegni come dirigente del Cagliari e successivamente divenne, con Antonio Matarrese, Team-Manager della Nazionale azzurra. Impegno che mantenne fino al 2013. Il ritiro dal calcio giocato, l’uscire per sempre dai rettangoli di gioco lo portò a vivere momenti malinconici.
18- In poche parole Riva iniziò a soffrire di depressione.
In poche parole, fu così. Il male oscuro di Riva fu questo: la depressione. E quando si riaffacciava lui doveva tenerla lontana e combatterla. Riva rimarcava con estrema sincerità che, quando la depressione bussava alle porte della sua vita bisognava affrontarla e basta. Perché la depressione non era un avversario facile da sconfiggere. Gigi era un combattente e non si tirò mai indietro dall’affrontare questa severa battaglia contro un nemico difficile ed insidioso. È vero, non vinse questa battaglia ma neanche ne uscì sconfitto. Seppe fronteggiarla da par suo, alla Gigi Riva. Il popolo sardo e la sua famiglia, i figli Nicola e Mauro, che ebbe da Gianna Tofanari, lo sostennero anche in questa battaglia. Riva piaceva molto alle donne. Molte delle quali furono disposte a fare follie per lui. Seguivano le sue partite all’Amsicora. In un certo senso le tifose e non sole le tifose cagliaritane, attraverso il loro beniamino dal fascino greco e misterioso, si innamorarono non solo di Riva, ma anche del calcio. Una sola donna fece davvero innamorare ‘Rombo di Tuono’. Gianna Tofanari, la ‘Dama bionda’. Fu un amore forte. Lei aveva un marito ed era separata. Nel 1968 in Italia non c’era il divorzio. Fu la sola donna che Riva amò nella sua vita. Quando la loro relazione ebbe termine, Gigi e Gianna continuarono ad essere legati da un grande affetto. Di fatto, il matrimonio tra Riva e la Tofanari non venne mai celebrato. All’epoca si gridò allo scandalo e la loro relazione finì sulle prime pagine dei rotocalchi gossip dell’epoca proprio perché lei era già sposata. Oggi siamo in un’altra epoca.
19- Gigi Riva si recò a San Giovanni Rotondo da Padre Pio.
Si. avvenne il 30 marzo 2007. Un confratello di Padre Pio da Pietrelcina, Padre Nicola Monopoli, scrisse a Gigi Riva una lettera nella quale gli formulava espressamente la richiesta di poter esporre a San Giovanni Rotondo, all’interno dell’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”, la Coppa del Mondo conquistata nel 2006 dalla Nazionale azzurra a Berlino. Quella Nazionale era allenata da Marcello Lippi e ottenne la vittoria ai calci di rigore contro la Francia. All’ epoca ‘Rombo di Tuono’ era Presidente della Federazione Italiana Gioco calcio. Quando la lettera scritta da Padre Nicola fu consegnata a Roma, nell’ufficio della FIGC dove Riva operava, proprio in quel momento, l’ex attaccante del Cagliari e della Nazionale aveva tra le sue mani un libro di Padre Pio che stava leggendo seduto al tavolo della sua scrivania. Riva comprese che, la richiesta di Padre Nicola Monopoli, era un segno troppo evidente. Come se Padre Pio, in quel momento, gli stesse chiedendo personalmente di portare la ‘Coppa del Mondo 2006’ a San Giovanni Rotondo. Il campione del Cagliari e della Nazionale non esitò un solo istante alla richiesta. Scese a San Giovanni Rotondo con il trofeo mondiale e fece visita a Padre Pio. Incontrando il Direttore di Padre Pio Tv, Stefano Campanella e lo stesso Padre Nicola Monopoli.
20- Angelo Domenghini, ex calciatore della ‘Grande Inter’ del Presidente Angelo Moratti allenata dal “mago” argentino Helenio Herrera, per 4 anni consecutivi fu compagno di squadra di Gigi Riva nel Cagliari. Con il ‘Campionissimo di Leggiuno’, l’ex ala destra nerazzurra conquistò il titolo di Campione d’Italia nel 1970. In maglia azzurra Domenghini e Riva vinsero il titolo di Campione d’Europa nel 1968. Furono insieme Vicecampioni del Mondo nei Campionati del 1970 in Messico. Entrambi erano in campo nella incredibile semifinale giocata allo stadio “Azteca” di Città del Messico Italia-Germania 4-3. Quale fu la sua profezia?
Nell’estate del 1969 Domenghini anticipò la vittoria dello scudetto del Cagliari al Presidente Fraizzoli. Era da poco terminato il campionato di calcio di Serie A, stagione 1968-69. La Fiorentina si era laureata Campione d’Italia, vincendo lo scudetto. Domenghini, nel giugno 1969 si trovava a Riccione. Trascorreva un periodo di vacanza attendendo di essere convocato dall’Inter in vista dell’inizio della preparazione atletica al campionato 1969-70. All’epoca non vi erano i procuratori. Le società erano proprietarie dei cartellini dei propri tesserati, decidevano acquisti e cessioni, influendo sui destini dei calciatori. Il nuovo Presidente dell’Inter, Ivanoe Fraizzoli, aveva rilevato l’Inter in quanto il Presidente Angelo Moratti aveva lasciato i vertici della società. Nella programmazione di riordino dell’assetto societario e nel ridisegnare l’orditura tecnica della squadra interista per la stagione 1969-70, Fraizzoli aveva deciso di acquistare Roberto Boninsegna, all’epoca centravanti del Cagliari e compagno di squadra di Gigi Riva, allo scopo di potenziare il reparto offensivo dell’Inter. La dirigenza cagliaritana definì i termini della trattativa: 280 milioni di lire, più tre calciatori dell’Inter: Domenghini, Gori e Poli. In caso contrario Boninsegna sarebbe rimasto al Cagliari. L’Inter accettò. Domenghini venne a sapere da un suo amico giornalista che l’accordo tra Cagliari e Inter, già in fase avanzata, stava per concludersi. Ciò significava indossare la maglia del Cagliari. La forte ala destra dell’Inter avrebbe però desiderato rimanere a Milano per continuare a vestire la maglia nerazzurra. Domenghini telefonò al Presidente Fraizzoli per chiedere chiarimenti. Gli venne comunicato che l’Inter aveva ormai dato definitivamente seguito a quanto pattuito con il Cagliari. Incredulo per la cessione, rispose a Fraizzoli: “Presidente, il Cagliari con Riva e compagni è già una squadra rodata e molto forte. Io vorrei restare a giocare con l’Inter per continuare a vincere con l’Inter. Se lei mi manda a giocare in Sardegna, il Cagliari l’anno prossimo vincerà lo scudetto!”. Il 12 aprile 1970, il Cagliari vinse lo scudetto. Peraltro, Domenghini, il 30 gennaio 1965, si recò a San Giovanni Rotondo. Era tra i 17 calciatori dell’Inter a disposizione di Helenio Herrera per la partita Foggia-Inter, in programma allo stadio “Pino Zaccheria” il 31 gennaio 1965. La “Grande Inter” di Moratti ed Herrera, all’epoca ‘Campione d’Europa’ e ‘Campione del Mondo’, il 30 gennaio 1965 si recò nel convento di Santa Maria delle Grazie a far visita a Padre Pio. Il Santo Frate, in occasione di quell’incontro con i ‘Campioni del Mondo’ predisse ad Herrera la sconfitta dei milanesi nella partita contro il Foggia e la vittoria dell’Inter al termine del campionato. Così avvenne. Foggia-Inter terminò 3 a 2 con la vittoria della compagine rossonera e l’Inter, a fine stagione, fu ‘Campione d’Italia’ per la nona volta nella sua storia. Un’altra particolarità fu che il 12 aprile 1965, quindi 5 anni prima dello stesso giorno in cui Domenghini, Riva e il Cagliari conquistarono lo scudetto, 12 aprile 1970, l’ex rossoblù, all’epoca in forza all’Inter, a Milano, percorrendo Viale Certosa a bordo di un spider Alfa Romeo, fu coinvolto in uno spaventoso incidente automobilistico. L’auto del calciatore si ribaltò e urtò violentemente contro un semaforo. Venne trasportato d’urgenza all’ospedale Niguarda in piena notte. Le sue condizioni apparvero subito gravi. Perdeva copiosamente sangue dal braccio. Gli vennero riscontrate ecchimosi, contusioni varie, una grave lacerazione al gomito del braccio destro e lesioni muscolari causate dalla ritenzione dei molteplici frammenti di vetri conficcati nell’arto ferito. Si resero necessarie trasfusioni di sangue. L’incidente, in virtù della convulsa dinamica, poteva avere conseguenze ben più gravi. Due mesi prima dell’incidente, Domenghini baciò devotamente la mano ‘guantata’ di Padre Pio in occasione della visita dell’Inter a San Giovanni Rotondo e il Santo del Gargano si ricordò di lui. Terminate le cure e le terapie riabilitative, Domenghini tornò a giocare dopo circa 2 mesi. Emergono a riguardo due particolarità. Sia Riva sia Domenghini furono richiesti dalla Juventus ma non giocarono con la Juventus. Domenghini giocò in Serie A con il Foggia, voluto fortemente dall’allora allenatore rossonero Ettore Puricelli il quale nel campionato 1967-68 allenò il Cagliari del famoso tandem d’attacco Riva-Boninsegna. Il 14 ottobre 1973, a Foggia si giocò Foggia-Cagliari. Emerge un dato storico.
21- Ottobre 1973, stadio ‘Zaccheria’, Foggia-Cagliari. Quale fu il particolare?
Il Cagliari andò in vantaggio con un gol messo a segno da Riva. Ma non fu questa la particolarità. Bensì che Riva realizzò il gol con un tiro di destro. Un piede con il quale non segnò mai. Un rasoterra a filo d’erba che superò l’allora portiere del Foggia, Raffaele Trentini. L’incontro terminò in parità. 1 a 1.
22- Gigi Riva. Un protagonista del calcio italiano. Una leggenda. Un mito. Un campione.
Un ragazzino che rimasto orfano prestissimo conobbe difficoltà, avversità e sofferenza. Divenne un uomo, un protagonista, una leggenda. Divenne l’attaccante più forte del calcio italiano che fece sognare generazioni di appassionati di calcio. Un campione che ebbe la Sardegna per padre e il popolo sardo come madre, moglie, sorelle e fratelli.
Intervista raccolta da Giuseppe Maiello