PADRE PIO: altri tasselli del team di studiosi foggiani nella ricostruzione della storia dell’ospedale di San Giovanni Rotondo. Il ruolo del sindaco di Atri. L’estensore del progetto, Sirio Giametta, “dimenticato” e poi “riabilitato” grazie agli studi degli architetti Zingarelli e Lombardi

A maggio scorso il comune di Atri, in provincia di Teramo, ha disvelato, nell’aula consiliare, il busto di uno dei suoi storici sindaci, (il primo) Giuseppe Verdecchia che ebbe un ruolo importante nella costruzione dell’ospedale del Sollievo di San Giovanni Rotondo. Verdecchia, medico veterinario, fu anche pittore, scultore, poeta, filosofo, ebanista. In quella occasione il pool di ricerche storiche su Padre Pio, (il team è coordinato dall’architetto foggiano Dario Zingarelli) ha diffuso una piccola pubblicazione in cui si ricostruiscono relazioni e rapporti, tra quanti hanno, a vario titolo, contribuito a realizzare l’ospedale voluto da Padre Pio. Con l’autorizzazione degli estensori dell’opuscolo, riprendiamo alcune pagine che ci toccano da vicino, in particolare quelle in cui si fa riferimento all’architetto di Frattamaggiore, Sirio Giametta.

Giuseppe Verdecchia, si laurea il 15 agosto 1900 in Medicina Veterinaria presso la Regia Scuola Superiore di Medicina Veterinaria di Napoli. Fu poi veterinario in Atri, e dal 7 luglio del 1944 sindaco della cittadina teramana.

Il suo nome come ha scritto il team di studiosi nell’opuscolo per il disvelamento del busto, rientra a pieno titolo “tra i veri protagonisti della costruzione delle principali opere di architettura commissionate direttamente da Padre Pio a San Giovanni Rotondo, in particolare grazie alla testimonianza diretta di Pietro D’Alfonso, 87enne di Castiglione a Casauria (PE),  figlio del professore Federico D’Alfonso, primario di chirurgia presso l’Ospedale “San Liberatore” di Capo d’Atri (TE) negli anni 1940, 1950 e 1960, conosciuto come il “chirurgo di Padre Pio”.

Pietro D’Alfonso, 87 anni, vive a Roma, ed è il figlio del professore Federico D’Alfonso, il “chirurgo di Padre Pio”, ricorda: “San Giovanni Rotondo, luglio-agosto 1943, è sera, la mattina avevo fatto la ‘Prima Comunione’ celebrata da Padre Pio a messa. È già sera, sono in compagnia di Padre Pio da Pietrelcina nell’orto del convento insieme a alcuni presenti, alcuni frati e un signore di Foggia. All’improvviso arrivano gli aerei americani, quest’ultimo iniziò a commentare il triste bombardamento su Foggia che, improvvisamente, divenne, purtroppo, il tema della serata. Gli aerei americani cominciarono a disseminare il cielo di bombe che cadevano poi su tutta la città di Foggia. Da lontano si vedevano i lampi delle bombe che scoppiavano a terra su Foggia. L’intera città divenne il bersaglio di centinaia di bombe che alzarono un enorme polverone, mietendo morte e distruzione. La città di Foggia fu pesantemente colpita. Poiché dall’orto del convento, in lontananza, si vedeva benissimo la città, il signore originario di Foggia ci commentava con voce commossa i bersagli centrati dalle bombe, riferendoci ora il nome di un quartiere ora il nome di un monumento, e facendoci capire approssimativamente quali danni e quante persone stavano morendo a Foggia in quel momento. Su San Giovanni Rotondo in quel momento, in quella serata, non cadde nessuna bomba, Padre Pio era con noi e guardava in silenzio quello che accadeva, non so di preciso cosa stesse pensando, dove il suo pensiero correva in quegli istanti drammatici, dopo un po’ non ci volle molto a capire che a Foggia era successo qualcosa di molto grave. Padre Pio aveva capito e forse già visto tutto. Capimmo che il tono della serata era improvvisamente cambiato, Padre Pio si inginocchiò e noi tutti immediatamente subito dopo di lui, iniziammo a pregare. Mio padre conobbe Padre Pio attraverso un suo amico, il poeta Alfredo Luciani, già noto poeta abruzzese e devoto di Padre Pio che aveva conosciuto di persona a San Giovanni Rotondo. Padre Pio mandava da mio padre i pazienti che avevano bisogno di essere curati e operati, e se non potevano pagare le spese, accadeva sempre che mio padre non si faceva pagare, perché tutto era fatto per il bene dei pazienti e di Padre Pio.”

Spiega l’architetto Zingarelli autore della ricerca insieme al collega foggiano Gaetano Lombardi: “L’incontro tra il Prof. Federico D’Alfonso e Giuseppe Verdecchia è determinante per Padre Pio per riprendere il percorso verso la costruzione dell’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”, interrotto solo a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. La liberazione di Atri segna una tappa decisiva per il progetto di Padre Pio. Il Prof. Federico D’Alfonso aveva tra le mani il progetto dell’architetto Sirio Giametta di Frattamaggiore (Napoli), progetto che il chirurgo dell’ospedale di Atri aveva invano cercato di far diventare realtà negli anni del fascismo. Padre Pio desiderava realizzare il suo ospedale già a partire dal 1940. Ne era al corrente anche lo stesso Mussolini, che aveva fatto approvare una legge per finanziare e costruire alcuni ospedali in Italia, la legge però venne rinviata di anno in anno fino al 1942, per poi eclissarsi definitivamente. L’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, voluta da Mussolini per ragioni internazionali, dovute all’obbedienza e all’amicizia con la Germania di Hitler, Mussolini si immaginava già seduto al tavolo dei vincitori, aveva definitivamente bloccato il progetto della costruzione dell’ospedale di Padre Pio, non solo, aveva anche gettato gli italiani in una guerra che non volevano e che avrebbero perso già a tavolino anche nell’assurda ipotesi di una vittoria tedesca della guerra. Anche se la Germania avesse vinto la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia ne sarebbe uscita sconfitta e umiliata, perché i tedeschi avrebbero controllato tutto, sia Mussolini sia gli stessi italiani. E Padre Pio non avrebbe costruito mai il suo ospedale a San Giovanni Rotondo. Pertanto, i tentativi del Prof. Federico D’Alfonso di trovare il consenso e il sostegno da parte di alcuni esponenti locali e nazionali del fascismo per la costruzione dell’ospedale durante gli anni del regime, cioè fino al 1943 (ovvero fino alla liberazione dell’Italia centro-meridionale da parte degli alleati e in particolare fino alla firma dell’Armistizio concordato con l’Italia, proclamato dal Generale Pietro Badoglio), furono, praticamente, tentativi tutti vani. Il regime fascista non aveva soldi per finanziare nessun ospedale, in quanto qualsiasi risorsa era stata impegnata per la guerra. Guerra che Mussolini aveva intrapreso con troppo entusiasmo e leggerezza e anche contro il parere dello stesso Padre Pio. Infatti, lo stesso Padre Pio avrebbe fatto pervenire chiaramente a Mussolini il suo disappunto. Come sembra più probabile, Mussolini avrebbe incontrato Padre Pio di persona nel 1939, anno in cui Mussolini si recò a San Giovanni Rotondo in visita presso la miniera di bauxite. La miniera si trova nelle immediate vicinanze del paese garganico, da essa, durante la guerra, si estraeva la bauxite, necessaria per la produzione dell’alluminio, in quel momento, materiale impiegato nell’industria bellica. Giuseppe Verdecchia fu il tramite tra Padre Pio e il Prof. Federico D’Alfonso per rimettere in moto i contatti utili e necessari alla costruzione dell’ospedale. Infatti, da un lato Giuseppe Verdecchia riferisce al figlio Carlo Verdecchia, studente dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, della necessità di aiutare Padre Pio, dall’altro il Prof. Federico D’Alfonso mantiene i contatti con gli alleati che stanno liberando l’Italia centrale attraverso il Generale Pietro Badoglio, e che, con il proclama dell’Armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943, ovvero annunciando  l’entrata in vigore dell’Armistizio di Cassibile del 3 settembre 1943, (è stato oggetto di un’altra nostra intervista ad un altro ricercatore Giuseppe Zingarelli)  sarà il ponte diretto con il Governo degli Stati Uniti d’America e la Gran Bretagna (Governo Badoglio I). Pietro Badoglio era solito trascorrere periodicamente alcuni giorni di riposo a Fontanelle, frazione vicino Atri, provenendo da Roma, ospitato dalla Famiglia Grilli. Fu questa circostanza ad aver fatto conoscere Pietro Badoglio al Prof. Federico D’Alfonso, che già operava come chirurgo nell’ospedale di Atri. L’ospedale di Atri era in una posizione strategica, tanto da lasciar ipotizzare che fosse certamente luogo di emergenza nella mappa pianificata per la fuga del Re Vittorio Emanuele III verso Pescara, Ortona e poi verso Brindisi. Il Generale Pietro Badoglio fu in visita ufficiale a Atri nel 1943, in quell’occasione visitò anche l’ospedale di Atri accompagnato proprio dal Prof. Federico D’Alfonso. L’ospedale servì, inoltre, nel Governo Badoglio II per visitare d’urgenza due sottosegretari abruzzesi che sarebbero entrati nel governo, un socialista e un democristiano, entrambi furono visitati dal Prof. Federico D’Alfonso, ma cosa più importante, il Prof. Federico D’Alfonso era diventato di fatto anche il medico personale del Generale Pietro Badoglio. Questo dato, ovviamente, è molto importante perché mette in evidenza il ruolo particolare che il Generale Pietro Badoglio ebbe poi, in parte consapevolmente e in parte inconsapevolmente, nel fare da ponte con il Governo degli Stati Uniti d’America per la costruzione dell’ospedale di Padre Pio a San Giovanni Rotondo. Padre Pio era già molto noto al Governo americano. Da anni il Governo americano seguiva da vicino la sua missione, le sue opere umane, sociali, e a detta dei credenti Cattolici, le sue innumerevoli opere miracolose.

Il progetto dell’ospedale di San Giovanni Rotondo. Proprio per le circostanze storiche che riguardavano l’Italia nel 1945, anno in cui il conflitto mondiale giunge, finalmente, a termine, anche Padre Pio può riprendere i suoi programmi e l’organizzazione per pianificare la costruzione del suo ospedale a San Giovanni Rotondo. Era palese ormai, che il nome dell’architetto Sirio Giametta dovesse essere cancellato dalle nuove carte del progetto, progetto però che rimaneva intatto, uguale a quello che l’architetto di Frattamaggiore aveva pensato e redatto direttamente per Padre Pio sin dall’ottobre del 1940 e che poi gli consegnò qualche mese dopo nel dicembre dello stesso anno, 40 tavole grafiche complete di particolari esecutivi, un progetto bellissimo. Il nome di Sirio Giametta però non poteva rimanere sulle nuove carte, a causa del suo trascorso accademico con il 1° preside della Facoltà di Architettura di Napoli, il Prof. Alberto Calza-Bini, che ne fu anche il fondatore. Calza-Bini fu un accademico fortemente schierato con il regime fascista, gli bastava alzare il telefono per parlare direttamente con Mussolini. Come accademico Sirio Giametta portò avanti una formazione giovanile sperimentando a alto livello un possibile sviluppo dell’Architettura Italiana, qualora Mussolini avesse vinto la guerra. Se la guerra fosse stata vinta da Mussolini, la pianificazione di nuovi interventi urbanistici e la costruzione di una nuova un’architettura, sarebbe stata già ampiamente sperimentata e organizzata, in prosecuzione di quella già costruita durante il Ventennio fascista, e Sirio Giametta sarebbe divenuto tra gli architetti più importanti dell’Architettura Italiana. Ma a tal proposito fu lo stesso a smentire questa ipotesi, perché anche dopo la guerra Sirio Giametta dimostrò di avere capacità raffinate, tanto da conservare indelebile il suo stile, maturando ulteriormente nella tecnica progettuale, realizzò molti progetti in Italia e all’estero. In Italia realizzò numerosi ospedali, tra questi la meravigliosa Clinica Mediterranea a Napoli, così come gli aveva profetizzato Padre Pio già nel 1940 a San Giovanni Rotondo: “… Studia, studia. Poiché farai tanti progetti di ospedali che un giorno dovrai alzare le braccia e dire di non farne più…”. In questa clinica è possibile osservare come la tipologia della scalinata interna sia esattamente la stessa di quella progettata e realizzata da Giametta per l’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” a  San Giovanni Rotondo. Lo stesso architetto Vittorio Gregotti, tra i più importanti urbanisti e teorici dell’Architettura Italiana del Dopoguerra e dell’Architettura Contemporanea, scomparso nel 2020, affermò a una studentessa di Frattamaggiore, durante una seduta di laurea, che Sirio Giametta avrebbe meritato di entrare a pieno titolo nella Storia dell’Architettura Italiana, e che questa omissione ufficiale è una rilevante mancanza. Sirio Giametta è stato oggetto di studio e approfondimento in numerose tesi di laurea presso l’Università “Federico II” di Napoli e presso altre università italiane.  Si rese impraticabile la possibilità di produrre nuova documentazione tecnica con la firma dell’architetto Sirio Giametta. Tra l’altro nel 1940, consegnando il progetto direttamente nelle mani di Padre Pio, quest’ultimo gli riferì che non avrebbe potuto più seguire il progetto e, al contempo, nemmeno la successiva costruzione dell’ospedale a San Giovanni Rotondo. L’architetto Sirio Giametta aveva fatto un lavoro di progettazione eccellente, aveva disegnato l’ospedale così come voleva Padre Pio, ovvero un ospedale ben strutturato, ospitale, adeguato a ogni metodo di cura del malato, con ambienti luminosi, ben riscaldati, il meglio che un paziente e un medico potessero desiderare in quel momento storico. Una struttura avveniristica per quel tempo. “Casa Sollievo della Sofferenza” fu il primo progetto di Sirio Giametta, essendosi appena laureato in Architettura a Napoli, anch’egli ammetterà di non comprendere come abbia potuto redigere un progetto così ben articolato e complesso in soli 2 mesi e mezzo. Il progetto fu redatto in 40 tavole, molte per soli 2 mesi e mezzo di lavoro, e minuziosamente disegnato in ogni minimo dettaglio strutturale e architettonico. Padre Pio riferì subito a Giametta che non lui, ma un’altra persona, ne avrebbe diretto la costruzione, come un maestro fa con una grande orchestra, riferendosi cioè a un certo Angelo Lupi, originario di Castel Frentano in provincia di Chieti. Padre Pio disse: “…Scrivi il tuo progetto come la musica, con tutte le note. Poiché lo faremo eseguire come un’opera da qualunque orchestra. Figlio mio, tu che vieni da Napoli, come faresti a dirigere i lavori da così lontano? Non faremo realizzare questo progetto da nessun architetto o ingegnere o geometra, ma da un buon capomastro fabbricatore che sappia leggere il progetto”.

Nel 1945 il Prof. Federico D’Alfonso era alla ricerca di persone che potessero occuparsi per suo conto e per conto di Padre Pio, della rigenerazione del progetto con nuove carte, cioè rilucidandolo, come si usa dire nel gergo tecnico, per poter produrre così, tutta la nuova documentazione cartacea da consegnare sia al Governo degli Stati Uniti d’America sia al Governo italiano, per avere dal primo, il finanziamento necessario a iniziare di fatto i lavori di costruzione dell’ospedale, e dal secondo, le relative autorizzazioni ministeriali, in quanto si trattava di una struttura ospedaliera

Se da un lato il Generale Pietro Badoglio, molto probabilmente, ne spianava la strada per conto del Governo italiano, Fiorello La Guardia, di origini italiane – di Cerignola in provincia di Foggia – già sindaco di New York e, nel 1946 Presidente dell’U.N.R.R.A. (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) dal 1° aprile al 31 dicembre 1946, faceva sì, che le autorizzazioni del Governo americano approvassero anche il relativo finanziamento necessario per impiantare il cantiere e poter iniziare finalmente la costruzione. Fu Giuseppe Verdecchia a cavallo del 1945, già sindaco di Atri, a informare il figlio Carlo della impellente necessità di aiutare Padre Pio riguardo la rilucidatura del progetto dell’ospedale. Tutto il nuovo materiale cartaceo doveva essere pronto al più presto perché già altre persone tra gli Stati Uniti, Roma, il Vaticano, Pescara, San Giovanni Rotondo erano pronte a venire in aiuto di Padre Pio per costruire il suo ospedale, senza contare per il momento, sull’aiuto che sarebbe pervenuto al frate stigmatizzato dalle successive donazioni in denaro provenienti da tutto il mondo. Sia Giuseppe Verdecchia sia suo figlio Carlo Verdecchia avevano entrambi le capacità per occuparsi direttamente del disegno tecnico ricopiando il progetto dell’architetto Sirio Giametta. Il problema era soltanto di tipo organizzativo, in quanto sia Giuseppe Verdecchia sia suo figlio Carlo erano entrambi impegnati. Il primo era sindaco di Atri, pienamente occupato a gestire le innumerevoli problematiche del comune, appena liberato dagli alleati, i quali controllavano di fatto anche ogni tipo di attività politica trovandosi ancora in pieno conflitto. Il secondo, il figlio Carlo Verdecchia, seppur appena diplomato presso la prestigiosissima Accademia di Belle Arti di Napoli, studente modello dell’Accademia, aveva l’improcrastinabile impegno di gestire l’assistenza alla sua giovane moglie, che in quel momento non stava bene in salute e, inoltre, aveva appena iniziato la realizzazione di un affresco impegnativo presso una chiesa di un paese vicino Atri. Furono questi i motivi per cui Giuseppe e Carlo Verdecchia si impegnarono per trovare qualcun altro di loro fiducia capace di portare a termine il lavoro di rilucidatura richiesto da Padre Pio. Carlo riuscì a convincere un ingegnere di Casoli di Atri, un certo ingegner Gaetano Candelori, un ingegnere 50enne che lavorava come ingegnere-capo presso il Genio Civile di Pescara. L’ingegner Gaetano Candelori non era ancora sposato, e non avendo famiglia da mantenere, aveva un po’ di tempo in più da dedicare a questo importante compito che bisognava svolgere per conto di Padre Pio. L’ingegner Gaetano Candelori, tra l’altro, fu ‘Padrino di Cresima’ di Carlo Verdecchia. Fu così che Giuseppe Verdecchia riuscì, con la collaborazione del figlio Carlo, a tener fede alla promessa fatta a Padre Pio tramite il Prof. Federico D’Alfonso. Presso lo studio dell’ingegner Gaetano Candelori a Pescara fu organizzato il lavoro di rilucidatura del progetto dell’architetto Sirio Giametta, l’architetto napoletano che aveva dato inizio a tutto per Padre Pio. Fu ingaggiato un giovane tuttofare, una segnalazione, molto probabilmente, arrivata al Prof. Federico D’Alfonso e all’ingegner Gaetano Candelori tramite l’ingegner Attilio Vianale, ingegnere capo presso l’Ente Provincia di Pescara. Attilio Vianale era un ingegnere molto noto a Pescara, qui aveva gestito nel 1942 la costruzione della “Casa della Madre e del Fanciullo” in Via del Circuito, progetto finanziato dal regime fascista. Ma anche in questo caso però, la progettazione architettonica della “Casa della Madre e del Fanciullo” è stata, secondo i due architetti foggiani, Zingarelli e Lombardi, dell’architetto Sirio Giametta. Infatti, nel 1941 il poeta abruzzese Alfredo Luciani, allievo del filosofo Benedetto Croce, e figlio spirituale di Padre Pio, si recò a Frattamaggiore a casa di Sirio Giametta, il quale afferma: “…mi mostrò una busta rossa che conteneva un suo progetto da sottopormi e una lettera con i saluti e la benedizione del frate. Nel leggerla, sorrisi di contentezza...”. Il progetto di questo edificio assistenziale, che il regime fascista voleva finanziare per Pescara, era passato anche attraverso l’Ente Provincia di Pescara per le relative autorizzazioni e, dunque, proprio sul tavolo dell’ingegner Attilio Vianale che qui lavorava, e che ne stava curando gli aspetti tecnici e burocratici. Angelo Lupi fu, molto probabilmente, coinvolto in questo progetto come assistente di cantiere. Qui vi attuò tutte le sue conoscenze. Tra Attilio Vianale e Angelo Lupi nacque un’amicizia, i due avevano la stessa visione della politica di sinistra, ma, soprattutto, fu tramite il poeta Alfredo Luciani che appresero entrambi della figura di Padre Pio. Dopo la realizzazione della “Casa della Madre e del Fanciullo” a Pescara, Angelo Lupi imparò a fare prevalentemente l’appaltatore, occupandosi di svariati compiti nel campo dell’edilizia e non solo, avendo appreso sul campo, ovvero in cantiere, tutti i segreti e le tecniche di un vero architetto o ingegnere abilitato. Aveva fatto vari lavori, dal pittore, allo scenografo, al fotografo, al falegname, al carpentiere, al disegnatore tecnico, aveva spiccate capacità organizzative e manuali pur non essendo diplomato in nulla. Aveva appena terminato solo il primo anno della scuola di avviamento professionale a Lanciano (Chieti), e ufficialmente solo la licenza elementare. Fu Angelo Lupi a rilucidare l’intero progetto dell’architetto frattese Sirio Giametta, frequentando lo studio di Pescara dell’ingegner Gaetano Candelori. Presso codesto studio lavorava anche un geometra, un certo Tommaso Pomanti di Poggio Valle, frazione di Torricella Sicura in provincia di Teramo. Rilucidato l’intero progetto l’ingegner Gaetano Candelori poté finalmente firmare e consegnare tutte le pratiche cartacee per avere il finanziamento dagli Stati Uniti d’America, grazie a Fiorello La Guardia, e tutte le autorizzazioni per iniziare la costruzione dell’ospedale, inizio che lo vide ufficialmente anche come 1° Direttore dei Lavori per circa un anno. Anche Angelo Lupi era presente in cantiere a San Giovanni Rotondo, proprio come aveva profetizzato Padre Pio, cioè come tuttofare, e fu Angelo Lupi, nel frattempo, a conservare sempre, e poi a “nascondere”, il vero progetto di Sirio Giametta, che è rimasto storicamente, con molta probabilità, nelle sue mani.

È di notevole importanza oggi sottolineare che presso l’abitazione di Pescara del Prof. Federico D’Alfonso, sita in Viale Gabriele D’Annunzio N° 21, oggi N° 23, al 1° piano, sono avvenuti i primissimi Consigli di Amministrazione di “Casa Sollievo della Sofferenza”. A questi Consigli di Amministrazione hanno partecipato, così come ricorda il Sig. Pietro D’Alfonso, all’epoca ragazzo di circa 10 anni e attento testimone diretto: il poeta abruzzese Alfredo Luciani, il medico mugellano Guglielmo Sanguinetti, il farmacista di Zara (in Dalmazia) Carlo kisvarday, il sindaco di Atri Giuseppe Verdecchia e suo figlio Carlo Verdecchia, l’ingegnere di Casoli di Atri Gaetano Candelori, un signore che ha sempre chiesto la sua riservatezza, un certo Balsimelli proveniente dal nord Italia. Giuseppe e Carlo Verdecchia furono parte attiva nel primissimo gruppo di persone che si riunirono a Pescara a casa del professor Federico D’Alfonso, partecipando di fatto ai primi Consigli di Amministrazione di “Casa Sollievo della Sofferenza”. Spiega l’architetto Dario Zingarelli: “Il progetto redatto dall’architetto Sirio Giametta nel 1940 è stato l’unico progetto redatto in pieno periodo fascista che non ha mai previsto e riportato nessun simbolo del regime nei prospetti, ed è il risultato di una sperimentazione compositiva e di progettazione architettonica in stile neoclassico. Uno stile in linea con i caratteri delle edificazioni previste in Italia da Mussolini qualora avesse vinto la Seconda Guerra Mondiale. La guerra, invece, fu clamorosamente e tragicamente persa, ma il progetto di Sirio Giametta, pur senza il suo nome sugli elaborati grafici del Dopoguerra, fu poi comunque realizzato. E costituisce di fatto l’unico progetto in assoluto nella Storia dell’Architettura Italiana del Dopoguerra concepito in pieno periodo fascista, ma realizzato dai vincitori successivamente il conflitto, precisamente tra il 1947 e il 1956. Costituendone ufficialmente, l’unico edificio storico che ha chiuso simbolicamente il periodo burrascoso dei due conflitti mondiali e, come una cicatrice che rimargina una dolorosa e pesante ferita, ne ha aperto definitivamente uno nuovo. Un periodo di Pace, a simboleggiare la Pace Universale tra i Popoli e le Nazioni della Terra. E il permanere ancor oggi dell’imperscrutabile confine tra Scienza e Fede, tanto aspramente dibattuto, auspica la speranza che tale confine venga svelato al più presto per sempre”

 A cura di GIUSEPPE MAIELLO

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