L’Inter e Padre Pio da Pietrelcina: una storia lunga 70 anni

Angelo Domenghini, Sandro Mazzola, Armando Picchi, Gigi Riva, Beppe Signori. Cinque “grandissimi ex” del calcio italiano ed internazionale in visita da Padre Pio da Pietrelcina. Angelo Domenghini e Padre Pio: lo spaventoso incidente stradale avvenuto a Milano nella notte del 12 aprile 1965. Le “profezie calcistiche” di Domenghini. Gigi Riva, nel 2007, a San Giovanni Rotondo in preghiera sulla tomba del Frate stigmatizzato. Sandro Mazzola e Armando Picchi nel 1965 andarono a confessarsi dal “Santo del Gargano”. Nel 1991 Beppe Signori, all’epoca calciatore del Foggia, uscì illeso da un terribile incidente stradale, “miracolato” da Padre Pio. Nel 1997, la visita di alcuni calciatori dell’Inter, Beppe Bergomi, Javier Zanetti, Taribo West, Nwankwo Kanu, Fabio Galante e Nicola Berti a Davide X, un bambino di 12 anni ricoverato a “Casa Sollievo della Sofferenza” affetto da patologia oncologica.

La società nerazzurra da quasi 70 anni è legata a Padre Pio da Pietrelcina. Un legame che nel tempo si è ulteriormente consolidato. Un legame nato negli anni ’50, quando Benito Lorenzi, 138 gol e oltre 10 anni con la maglia dell’Inter ai tempi della presidenza di Carlo Masseroni, si recò di persona a San Giovanni Rotondo in visita al Santo di Pietrelcina. Il 30 gennaio 1965, alla vigilia dell’incontro di campionato Foggia-Inter, la “Grande Inter” di Angelo Moratti allenata da Helenio Herrera, scesa nel “Tavoliere delle Puglie”, si recò a San Giovanni Rotondo in visita a Padre Pio. Un incontro storico ed indimenticabile per i nerazzurri. Un incontro che a distanza di quasi 60 anni la storia riconsegna all’attualità. Riemergono situazioni che varcano misteriosamente i confini del tempo e dello spazio, suscitando emozioni e vivi ricordi. Molti calciatori interisti che negli anni successivi indossarono la maglia nerazzurra, dopo quella visita al Santo, appresero la storia di quell’ incontro tra i “Campioni del Mondo” e Padre Pio. Nel settembre del 1997, la storia tra l’Inter e il “Santo del Gargano” si è arricchita di un nuovo e bellissimo capitolo. Un episodio, forse non molto conosciuto, vide il prestigioso Club nerazzurro attivarsi con prontezza e umanità al cospetto del caso di Davide X. Un bambino di 12 anni, grande tifoso dell’Inter, ricoverato dal 1995 in una stanza dell’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”, in lotta contro una patologia oncologica. 

A fare le ricerche ed anticiparle a noi è Giuseppe Zingarelli, storico e ricercatore di Padre Pio. Con il quale abbiamo già parlato della partita Foggia – Inter, vinta dai pugliesi contro i neo campioni del mondo.

1) L’Inter e Padre Pio da Pietrelcina. Una lunga storia quella tra la società nerazzurra e il Frate di Pietrelcina. Una storia che, a partire dai tempi di Benito Lorenzi, indimenticato attaccante della “Beneamata”, non si è mai interrotta.

È verissimo quel che afferma. L’Inter e Padre Pio, un solido legame che, nato ai tempi di Benito Lorenzi, per quasi 70 anni, attraverso vicende calcistiche e non calcistiche, non si è mai interrotto. Un legame che si è sempre più rinsaldato nel corso degli anni. Ne fu ulteriore prova la vicenda di un bambino di soli 12 anni, Davide X, tifosissimo dell’Inter, che nel 1997 vide l’Inter e alcuni suoi famosissimi calciatori protagonisti di una toccante e commovente vicenda.

2) Un bambino di soli 12 anni, ricoverato presso l’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”, a sua insaputa, ebbe a ricevere a sorpresa la visita di alcuni calciatori dell’Inter.

Proprio così. È la storia di Davide. All’epoca aveva solo 12 anni. Una mattina, tra la fine di agosto e gli inizi di settembre del 1997, vide entrare nella stanzetta dove era ricoverato per una patologia oncologica, presso l’ospedale tanto caro a Padre Pio, alcuni campioni della sua squadra del cuore.

3) I sogni dei bambini sono semplici. Poter vedere i calciatori della squadra per la quale tifano è per loro come toccare il Cielo con un dito.     

Decisamente sì. Siamo stati tutti bambini. Poter vedere un calciatore da vicino e parlare con lui di persona, per un bambino è una gioia indescrivibile. Come un sogno che si avvera. Per Davide, in quella circostanza, fu motivo di gioia mista a incredulità. Del resto, fu una giornata speciale per lui, dal momento che da ben due anni, era ricoverato nel reparto di oncologia di “Casa Sollievo della Sofferenza”, dove i medici cercavano di curare il male che in pratica lo costringeva a vivere in ospedale. Il ricovero del bambino avvenne nel 1995.

4) In che modo l’Inter venne a conoscenza del desiderio di Davide di poter ricevere la visita dei calciatori dell’Inter?

La signora X, madre di Davide, ogni giorno pregava Padre Pio per la sua guarigione. Un giorno scrisse una lettera alla società milanese che proprio in quel periodo aveva acquistato il fuoriclasse brasiliano Ronaldo. Per Davide conoscere Ronaldo era diventato il suo sogno più grande. La signora X, nella lettera, aveva semplicemente espresso al presidente Massimo Moratti di poter esaudire la richiesta di Davide: conoscere tutti i calciatori dell’Internazionale di cui era tifosissimo. In realtà la lettera fu inviata dalla signora X senza molta convinzione. In cuor suo, riteneva praticamente impossibile che la squadra dell’Inter potesse veramente partire da Milano e venire a San Giovanni Rotondo a far visita al suo bambino.

5) Padre Pio, in seguito, ci mise del suo affinché il sogno si avverasse?

Credo proprio di sì. Infatti, la signora X, dopo aver spedito la lettera all’Inter, andò a pregare sulla tomba di Padre Pio, cosa che faceva ogni giorno dal 1995, anno dell’effettivo ricovero che costrinse Davide a vivere in ospedale. Le preghiere di una madre al Santo Cappuccino, per il figlio sofferente, possiamo immaginare, erano di ben altro tipo. La donna chiedeva a Padre Pio che intercedesse presso il Signore per la guarigione di Davide. Tuttavia, la donna chiese al Santo anche di poter esaudire quel piccolo desiderio che avrebbe potuto, in qualche modo, regalare a suo figlio malato ed anche agli altri piccoli ricoverati nel reparto, qualche momento di felicità.

6) Cosa avvenne dopo che la lettera della signora X lasciò San Giovanni Rotondo?   

La lettera scritta dalla madre del piccolo Davide giunse a Milano, in Via Durini 43. All’epoca la sede dell’Inter. La missiva non venne letta dal Presidente Massimo Moratti. Bensì da uno dei due vicepresidenti in carica quell’anno nel “direttivo” dell’Internazionale. Fu il dottor Gian Maria Visconti di Modrone a leggere la lettera. L’altro vice-presidente in carica era l’avvocato Giuseppe Prisco. Il dottor Gian Maria Visconti di Modrone, conte di Lonate Pozzolo, scomparso circa 8 anni fa, già accompagnatore dell’Inter ai tempi di Angelo Moratti, “Presidentissimo della Grande Inter”, lesse la lettera e ne rimase molto colpito. La notizia di quel bambino di soli 12 anni affetto da una patologia oncologica e ricoverato già da due anni in ospedale, lo aveva addolorato. La lettera proveniva da San Giovanni Rotondo e il dottor Visconti di Modrone era molto devoto a Padre Pio. Da quel momento qualcosa iniziò inaspettatamente a muoversi in silenzio.

7) La lettera della madre del piccolo Davide X, in un certo senso, riattivò per così dire, i ricordi della famosa visita dell’Inter a Padre Pio?

Indubbiamente, il ricordo sempre vivo nella società nerazzurra di quella storica visita al Santo, attivò una specie di “programma” in seno alla società, al fine di poter esaudire il desiderio del piccolo Davide. Del contenuto di quella lettera, il conte Visconti di Modrone ne informò i vertici societari, tra i quali figuravano nel 1997 anche due famosi calciatori interisti: Giacinto Facchetti e Sandro Mazzola. Successivamente venne informato anche il presidente Massimo Moratti, figlio di Angelo Moratti e Erminia Cremonesi, che il 30 gennaio 1965, per loro espressa volontà e desiderio, portarono la “Grande Inter” Campione d’Europa e Campione del Mondo nel convento dei frati cappuccini di San Giovanni Rotondo, affinché Padre Pio impartisse a calciatori e dirigenti di quella epica squadra la sua personale benedizione. Sandro Mazzola nel 1997 ricopriva all’interno dell’organico direttivo nerazzurro la mansione di “Responsabile di Mercato”, mentre Giacinto Facchetti, era dirigente della “Prima squadra”. Mazzola e Facchetti furono due protagonisti della storica partita di Foggia e della famosa visita dell’Inter al Santo di Pietrelcina.

8) Questa volta l’Inter aveva ricevuto la lettera di una madre che, in cuor suo, sperava tanto nella guarigione del figlio attraverso l’intercessione di Padre Pio e che pur di vedere felice il suo bambino, desiderava far conoscere a Davide i suoi “beniamini”.

Cosa non farebbe una madre, per vedere il volto del proprio figlio sofferente, illuminarsi di un sorriso che gli avrebbe regalato un po’ di felicità. La signora X sapeva che Davide sarebbe stato felicissimo di poter conoscere i calciatori nerazzurri del quale era tifosissimo. L’ Inter prontamente si attivò e non deluse le aspettative di Davide e della signora X. Pur non essendoci le condizioni per inviare tutta la squadra a San Giovanni Rotondo, la società nerazzurra organizzò per Davide una bellissima sorpresa. Erano trascorse tre settimane dall’invio di quella famosa lettera. Ed ecco che il sogno diviene realtà. Verso le undici del mattino dei primi giorni di settembre del 1997, Beppe Bergomi, storico capitano interista, Javier Zanetti, Nicola Berti, Fabio Galante, Taribo West e Nwankwo Kanu varcarono il portone d’ingresso dell’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” e chiesero al “centro informazioni” dove si trovasse il reparto del piccolo Davide X. La visita inattesa dei calciatori nerazzurri mise in subbuglio il silenzioso reparto di oncologia. Un infermiere riconobbe immediatamente i famosi ospiti e guidò i calciatori nella stanza del bambino che in quel momento era a letto, con la signora X al suo capezzale.

9) Un bellissimo “regalo” al bambino sofferente.

Alla vista dei suoi “beniamini” il bambino sembrò non credere ai suoi occhi, come del resto la sua mamma. Calciatori famosi invasero la sua stanzetta e si posero dinanzi a lui. Ronaldo non era potuto scendere a San Giovanni Rotondo. Ma il bambino fu felicissimo lo stesso. Bergomi, Zanetti, Berti, Galante, West e Kanu erano gli eroi che popolavano i sogni del piccolo Davide. In quel momento, quegli eroi erano davanti a lui, in carne ed ossa. Non erano venuti da lui a mani vuote. Consegnarono a Davide una bellissima maglia dell’Inter e un pallone autografato. I “beniamini” nerazzurri, scesi in missione umanitaria, si intrattennero con lui. Vollero sentirsi raccontare dal bambino la sua storia e tante cose della sua vita. E alla fine di quella visita, in sintonia con la volontà di Padre Pio, stringendosi intorno al loro piccolo, ma “grande” tifoso, gli diedero un grande bacio. Padre Pio ricordava sempre che il regalo più bello da donare ad una persona sofferente è l’amore. “Portate il vostro amore agli ammalati!”. Questo ricordava spesso il Santo Frate ai suoi figli spirituali.

10) Una storia bellissima, di quelle che vorremmo sentire più spesso.

I calciatori dell’Inter ascoltarono il bambino, lo resero felice. Lo fecero sentire come se non fosse sofferente, come se non fosse un “ricoverato”. Davide, sorridente ed entusiasta, chiese ai calciatori nerazzurri di potergli autografare la maglia ed il pallone. Kanu si trattenne più a lungo a parlare con Davide. Il bambino volle sapere da lui quando sarebbe ritornato in campo, dal momento che il calciatore, durante la sua esperienza in nerazzurro, venne operato al cuore a causa di una disfunzione congenita. L’intervento, all’epoca, riuscì perfettamente e restituì il calciatore nigeriano a nuova vita. Kanu rassicurò Davide che presto lo avrebbe visto di nuovo giocare in campo. Ed infatti il nigeriano dell’Inter, in seguito, riprese a giocare senza problemi. Successivamente istituì una fondazione avente lo scopo di individuare e curare i bambini affetti da malattie cardiache. Una fondazione che oggi opera con successo in alcuni Stati del mondo, in particolare in India, Inghilterra, Israele e Nigeria. La fondazione di Kanu ha lanciato nel mondo un messaggio importante: la speranza che le malattie cardiache possano essere combattute e che i bambini e le persone sofferenti affette da questa patologia siano sempre aiutate e sostenute psicologicamente. Quella visita a Davide, fu particolarmente emozionante anche per gli stessi calciatori dell’Inter. L’immagine di Padre Pio sorridente, raffigurata in un quadro posto nella stanza dell’ospedale dove il piccolo sofferente viveva le sue giornate, sembrò partecipare a quel dialogo e alla visita di “Beppe Bergomi e compagni” al piccolo ammalato. In seguito, si verificò un’ulteriore sorpresa che fece della storia di Davide una storia a lieto fine. Padre Pio esaudì le preghiere che più stavano a cuore alla signora X e il figlio venne miracolato. Guarì dalla patologia oncologica dalla quale era affetto. Oggi Davide dovrebbe avere all’incirca 38 anni. Una storia doppiamente bella. Perché vide la guarigione del bambino e l’impegno profuso dall’ l’Inter, attraverso i suoi famosi calciatori, nell’ aiuto concreto ai sofferenti. Un altro caso particolare, collegato sempre ai nerazzurri, riemerge dalle pagine della storia e ci riporta indietro nel tempo, alla visita dell’Inter a Padre Pio.    

11) Gli affascinanti corridoi della storia riservano sempre sorprese e casi da conoscere.

Direi proprio di sì.

12) Cosa riemerse dalla storica visita dei “nerazzurri” milanesi al Santo di Pietrelcina?

Un caso che vide Padre Pio, come si usa dire, “mettere la sua mano benedetta” su un calciatore di quella stratosferica squadra costruita da Angelo Moratti ed allenata da Helenio Herrera. Un calciatore che, con le sue eccezionali giocate, con i suoi gol e con la sua encomiabile abnegazione, contribuì a scrivere pagine vincenti e immortali della storia della “Grande Inter”. Intendo riferirmi ad Angelo Domenghini.

13) Di quale situazione fu protagonista Angelo Domenghini?

Dobbiamo ripercorrere la storia e considerare quel che avvenne a San Giovanni Rotondo, quando nel 1965 l’Inter andò da Padre Pio in vista della partita di campionato che i nerazzurri disputarono contro il Foggia. Quella gara contro i “rossoneri” fu preparata dai nerazzurri tra “Appiano Gentile” e Bergamo. Helenio Herrera e la sua “fantastica Inter” stavano preparando la trasferta in “Capitanata”. Avrebbero affrontato i neopromossi rossoneri di Puglia, allenati da Oronzo Pugliese. L’Inter, il 27 gennaio 1965, stava rifinendo la preparazione al campo “Brumana” di Bergamo. Il 31 gennaio 1965, allo stadio “Pino Zaccheria” era in programma la seconda giornata di ritorno del campionato nazionale: Foggia-Inter. Nel corso dell’allenamento di Bergamo, Herrera aveva deciso di utilizzare tre calciatori per aggiudicarsi e vincere la trasferta nella terra adottiva di Padre Pio: Jair, Domenghini e Malatrasi. Per convincersi ulteriormente che i tre calciatori interisti avrebbero reso efficaci e vincenti gli schemi tattici da lui prescelti, Herrera ordinò di continuare l’allenamento facendo disputare una partitella in famiglia tra i calciatori “titolari” che avrebbe schierato in campo a Foggia e l”Inter B”, cioè le riserve con qualche giovane della “Primavera”. Le indicazioni di quella partitella di rifinitura convinsero ancor di più l’allenatore argentino che i tre calciatori, Jair, Domenghini e Malatrasi erano gli uomini giusti per vincere la partita nel “Tavoliere delle Puglie”. Solo che Jair aveva mostrato qualche problema di tenuta, perché era reduce da un periodo di inattività impostogli da un problema al ginocchio. Per di più il brasiliano aveva avuto un attacco di tonsillite e non era al massimo della forma. Jair non voleva giocare la partita contro i rossoneri pugliesi e lo disse apertamente al “Mago”. Nella complessa psicologia di Herrera, un Jair in precarie condizioni fisiche veniva preferito a Peirò, che invece era in ottima forma. Tra Jair ed Herrera scoppiò un litigio, perchè Jair non voleva giocare a Foggia e infatti Jair non giocò quella partita. Herrera, in un primo momento decise che Domenghini a Foggia avrebbe giocato come centravanti. La fortissima ala destra di Lallio, un paesino a pochissima distanza da Bergamo, si sentiva a disagio in quella posizione offensiva. Nella sua brillante carriera calcistica giocò quasi sempre nel ruolo di “ala desta”, un ruolo nel quale era considerato da tutti come uno dei calciatori italiani più forti in assoluto. Nell’Atalanta, squadra nella quale aveva esordìto in Serie A, Domenghini aveva sempre giocato in quel ruolo, ma all’Inter, Herrera, lo utilizzava anche in altri ruoli. Proprio in quel periodo, Herrera meditava di trasformarlo in centravanti, ma il campione interista non sentiva quel ruolo adatto alle sue qualità tecniche. Pur di accontentare Herrera, adeguandosi ai suoi schemi di gioco, Domenghini si sacrificò per un periodo a giocare al centro dell’attacco. Celando in sé stesso contrarietà e disappunto, Domenghini aveva chiesto ad Herrera di non schierarlo centravanti nella partita di Foggia, ma il “Mago” argentino aveva le sue idee e a volte era difficile, se non impossibile, fargliele cambiare. In seguito, nella partita dello “Zaccheria”, Herrera accontentò Domenghini e lo schierò in campo nel suo ruolo naturale, quello di “ala destra”. Il 30 gennaio 1965 l’Inter giunse nel convento di “Santa Maria delle Grazie” a San Giovanni Rotondo. Lo storico incontro tra il “Santo Frate di Pietrelcina” e la Delegazione calcistica nerazzurra avvenne in un’atmosfera di grande spiritualità. Herrera, in rappresentanza della società nerazzurra e di tutti i suoi calciatori, consegnò a Padre Pio una busta contenente un’offerta in denaro da destinare all’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” tanto caro al Santo. Padre Pio, assai commosso, ringraziò Herrera e l’Inter. Poi chiese ad Herrera con quali intenzioni l’Inter era venuta a giocare contro il Foggia ed Herrera prontamente e con grande sincerità rispose che la “Beneamata” era scesa “nel Tavoliere” per vincere la partita. Padre Pio replicò al famoso allenatore dicendo che non sarebbe stato bello per l’Inter vincere a Foggia, cioè a casa sua, facendo così intendere ai “campioni nerazzurri” che avrebbero perso contro i rossoneri di Pugliese. Però subito dopo, quasi dispiaciuto per aver comunicato velatamente quel primo infausto messaggio al famosissimo allenatore interista, Padre Pio soggiunse: “Vincerete il campionato!”. Al termine dell’incontro con il Santo Frate, dirigenti e calciatori nerazzurri rimasero profondamente colpiti dalle sue parole. Padre Pio aveva lasciato un segno nelle loro anime. Prima di accomiatarsi dalla “Grande Inter” di Moratti, lo “Stigmatizzato” pronunciò una frase che passò alla storia. Una frase che sembra varcare la barriera spazio-tempo e che, nella solennità di quel momento, fu interpretata dall’intera delegazione nerazzurra “Campione del Mondo”, come una specie di testamento-spirituale. Un messaggio da custodire gelosamente. Un messaggio che accompagnò sempre Herrera, i suoi “Campioni del Mondo” e tutti i dirigenti accompagnatori della “Beneamata”, sia nel corso della loro vita sia nel corso della loro carriera calcistica. Un’affermazione che rimase ben impressa nelle loro menti e nei loro cuori: “Ragazzi, io vi auguro tante cose belle. Che possiate ottenere tutto quello che in questo momento desiderate. Siete giovani e il mondo vi sorride alla vostra età. Ma ricordatevi che anche il dolore dà valore alla vita e, mi raccomando, siate pronti ad affrontare tutte le circostanze!”. Quelle parole di Padre Pio risuonarono solenni in quel momento. In particolare, quando il religioso disse: “Ricordatevi, che anche il dolore dà valore alla vita e, mi raccomando, siate pronti ad affrontare tutte le circostanze!”.  

14) Un’affermazione che non poteva non far riflettere e meditare i “Campioni del Mondo” interisti. Come se Padre Pio avesse in effetti consegnato loro un messaggio da portare con sé per tutta la vita.

Infatti, fu un’affermazione che impressionò tutti i 25 uomini della famosissima “comitiva milanese”. Un’ affermazione che venne pronunciata dal Santo in un silenzio surreale. Furono parole che gli interisti percepirono come provenienti da un’altra “dimensione”. Quella storica affermazione di Padre Pio è oggi talmente viva e talmente attuale da sembrare un messaggio senza tempo. Un messaggio “evergreen” di Padre Pio, che riattualizzato, sembra essere rivolto a tutti i giovani campioni del nostro tempo. Giovani campioni di tutte le discipline sportive. 

15) La doppia profezia di Padre Pio puntualmente si verificò. 

Così avvenne. Il 31 gennaio 1965, il Foggia, per la prima volta promosso in Serie A nella sua storia calcistica, allo stadio “Pino Zaccheria”, sconfisse l’Inter “Campione del Mondo” con l’inatteso risultato di 3 a 2. Un risultato imprevedibile, contro tutti i pronostici. Dopo quella sconfitta dell’Inter, la stampa nazionale scrisse a titoli cubitali che il campionato di calcio 1964-65 poteva ormai considerarsi archiviato, dal momento che non avrebbe avuto più nessuna emozione da riservare agli appassionati italiani di calcio e ai tifosi del Milan che potevano considerare la loro squadra già scudettata. Il Milan, infatti, aveva ulteriormente incrementato in classifica il suo già cospicuo vantaggio, portandosi a sette lunghezze di distanza dai “cugini” nerazzurri. Padre Pio invece, aveva già visto nitidamente, come si vedrebbero in uno specchio, che gli eventi agonistici di quel campionato avrebbero riservato molte sorprese, considerando quel che sarebbe accaduto nei successivi quattro mesi. Il Frate era stato molto chiaro con Herrera, quando gli aveva detto: “Vincerete il campionato!”. E l’Inter, il 6 giugno 1965, divenne Campione d’Italia, vincendo il nono scudetto della sua storia. 

16) Davvero incredibile, a distanza di quasi 60 anni.

Decisamente sì. L’Inter riuscì, quasi impercettibilmente, a detronizzare in classifica il Milan. I nerazzurri operarono una incredibile rimonta e conseguirono una prodigiosa vittoria finale. Angelo Domenghini, quel 30 gennaio 1965, era a San Giovanni Rotondo. Era presente all’incontro con lo “Stigmatizzato del Gargano”. Ricorda come fosse ieri il momento in cui si trovò al cospetto di Padre Pio. Fu uno dei momenti più emozionanti e coinvolgenti della sua vita. Domenghini, uno dei protagonisti in campo della storica partita di Foggia, ricorda perfettamente la partita dello “Zaccheria”, l’unica partita nella storia del calcio di tutti i tempi ad essere stata giocata sotto i riflettori della “duplice profezia” pronunciata dal Santo più conosciuto al mondo. Una profezia visibilmente ispirata dal “soprannaturale”. La “Grande Inter”, pur sconfitta in Puglia, giocò a Foggia la più bella e combattuta gara di quel suo strepitoso campionato. I nerazzurri non riuscirono mai a comprendere come maturò quella loro sconfitta. È vero che il Foggia giocò un “match” straordinario, al di sopra delle sue possibilità tecnico-tattiche. Ma è altrettanto vero che i “Campioni del Mondo” risposero da par loro. Strapazzando il Foggia con schemi e giocate euro mondiali, colpendo ripetutamente i rossoneri, fino all’ultimo minuto di gioco, con micidiali bordate scagliate verso la porta foggiana difesa da Giuseppe Moschioni, protagonista indiscusso di quella gara con le sue strepitose parate, come fossero i rossoneri divenuti oggetto di un continuo tiro al bersaglio da parte dell’Inter. Eppure, fino all’ultimo istante di gioco, dopo la terza rete del Foggia ad opera di Nocera, il risultato non mutò. Dopo quella sconfitta, i “Campioni del Mondo” operarono una rimonta che ebbe dell’incredibile. Domenghini ha sempre vivo nella sua mente il ricordo di Padre Pio a San Giovanni Rotondo. E’ indelebile nei suoi ricordi il momento in cui, con grande emozione e con profonda devozione, l’”ala desta” nerazzurra baciò la mano guantata del Santo, primo sacerdote stigmatizzato della storia del Cristianesimo. Eppure, un evento inatteso e imprevedibile, qualche mese più tardi, avrebbe bussato alla porta del destino del prestigioso calciatore nerazzurro. Un evento che mise la sua vita in serio pericolo.

17) Cosa accadde?

Domenghini fu vittima di uno spaventoso incidente stradale. Padre Pio sicuramente, come si suol dire in questi casi e come riconobbe anche lo stesso calciatore, “ci mise la sua mano Benedetta”, evitandogli conseguenze ben peggiori. 

18) Quando si verificò l’incidente?

La notte del 12 aprile 1965.

19) Come si svolsero i fatti?

Alle due di notte di lunedì 12 aprile 1965, Angelo Domenghini si ritrovò in un letto dell’ospedale “Niguarda” di Milano, vittima di un pauroso incidente automobilistico. Avvenne mentre percorreva Viale Certosa a Milano a bordo di una Giulietta Alfa Romeo “Sprint”. L’Inter, l’11 aprile 1965, era rientrata dalla trasferta di Vicenza, dove aveva pareggiato contro i veneti con il risultato di 1 a 1. I nerazzurri erano in quel momento in classifica generale a pari punti con il Milan. I milanesi rossoneri, in quella stessa giornata di campionato sconfissero a “San Siro” proprio il Foggia per 1 a 0, e causa il pareggio negli ultimi minuti dei vicentini, erano balzati di nuovo primi in classifica generale: Milan 44 punti, Inter 43 punti. Non dimentichiamolo, a San Giovanni Rotondo Padre Pio disse ad Herrera e all’Inter: “Vincerete il campionato!”. Domenghini, dopo aver giocato in campo la partita di Vicenza, rientrato con la squadra, quella sera stessa trascorse la serata a Milano e successivamente, a bordo della “Sprint” Alfa Romeo avuta in prestito dal gestore del garage dove abitualmente lasciava in custodia la propria auto, a tarda ora, si accingeva a partire da Milano per tornare al suo paese nativo, Lallio, in provincia di Bergamo, dirigendosi in direzione del casello autostradale che gli avrebbe consentito il ritorno a casa.  

20) Lei ha affermato che l’incidente avvenne a Milano.

Esattamente. L’incidente stradale avvenne a Milano. Domenghini, in effetti, era giunto serenamente al casello che lo avrebbe immesso in autostrada, consentendogli di tornare a Lallio. Solo che lo aveva trovato chiuso a causa di lavori in corso. Ragion per la quale, dovette tornare indietro per raggiungere un altro casello, cioè il casello di Sesto San Giovanni. Proprio mentre ritornava indietro per raggiungere il casello di Sesto San Giovanni, nel ripercorrere Viale Certosa si scontrava, paradossalmente, con una vettura uguale a quella di cui era alla guida. L’incidente avvenne tra due auto perfettamente uguali. L’altra “Sprint Alfa Romeo” proveniva dalla direzione opposta. Lo scontro fu tremendo. La “Sprint Alfa Romeo” guidata da Domenghini si ribaltò e nel ribaltarsi terminò la sua corsa sbattendo violentemente contro il palo di un semaforo. L’ ora era insolita. Le due di notte. Non c’era nessuno. Padre Pio non dimenticò il momento in cui il famoso calciatore euro mondiale della “Grande Inter”, due mesi prima, a San Giovanni Rotondo, con profonda devozione, gli baciò la sua mano destra “bucata”, protetta dai “mezzi guanti”. Un vigile accorse sul luogo dell’incidente. Sopraggiunsero anche alcuni passanti che in quel momento si recavano al lavoro. Con grande sforzo, i soccorritori rimisero in piedi l’auto del campione nerazzurro. La vettura era fortemente sinistrata e i vetri rotti. Domenghini venne trasportato immediatamente al “Niguarda” di Milano.

21) Domenghini era cosciente dopo il tremendo urto contro il palo semaforico?

Le condizioni del calciatore, dopo il ribaltamento della vettura, apparvero molto serie, per non dire estremamente gravi. Aveva riportato ecchimosi e contusioni varie con copiose perdite di sangue a causa delle molteplici ferite che gli avevano lacerato l’avambraccio destro all’altezza del gomito. Dopo l’incidente, l’interista era semicosciente, ma non riusciva più a muovere il braccio lacerato a causa del verificarsi di lesioni muscolari. Il viso era diventato molto pallido, era spaventato e visibilmente sotto choc. Non riusciva quasi più a parlare in modo comprensibile. Bisbigliava ai soccorritori di chiamare il medico dell’Inter, forse il dottor Angelo Quarenghi o forse il dottor Roberto Klinger, un altro sanitario che all’epoca faceva parte della “equipe” medica dell’Inter di Moratti. All’ ospedale “Niguarda”, Domenghini venne sottoposto d’urgenza alle cure del caso. I sanitari intervennero sull’avambraccio destro visibilmente lacerato che, in seguito, provocò al calciatore nerazzurro anche notevole sofferenza cutanea. La ferita suturata non venne ingessata, perché fortunatamente non ci fu rottura dell’arto. Nel frattempo, era stata necessaria effettuare al calciatore anche una abbondante trasfusione di sangue. Sistemato in una cameretta, Domenghini fu tenuto costantemente e scrupolosamente in osservazione per tre giorni. In società, nel frattempo, erano venuti a conoscenza dell’incidente stradale occorsogli. Il dottor Quarenghi alle cinque del mattino era al “Niguarda” per valutare le condizioni generali di salute del calciatore. Il professor Austoni e il dottor Quarenghi concordarono, non senza difficoltà, il programma ed i tempi di recupero del “nerazzurro”. Domenghini, riportò anche delle serie lesioni muscolari, causate da alcuni frammenti di vetro che gli si erano conficcati nel braccio. Come si può essere propensi a credere, un incidente automobilistico che si verifica nel bel mezzo della notte, quasi alle due di notte, fa pensare ad un calciatore sregolato e avvezzo alla vita notturna. Eppure, Angelo Domenghini non è mai stato un calciatore con abitudini notturne. Tantomeno amante della vita sregolata. Ai tempi in cui giocava è sempre stato un professionista serio e assai lontano dai riflettori della notorietà extra agonistica. È sempre vissuto lontano dai riflettori che non fossero i riflettori calcistici della “Domenica”. La notorietà che lo ha sempre circondato era quella che gli proveniva dai campi di gioco, dalle sue bellissime giocate e dai suoi moltissimi gol segnati in carriera. Un professionista che si è sempre ispirato ad una vita semplice, un maratoneta instancabile che correva dal primo all’ultimo minuto. La sua invidiabile carriera, costellata di successi, testimonia il grande campione che è stato sul rettangolo di gioco. Angelo Domenghini vinse con la leggendaria e strepitosa “Grande inter” allenata da Helenio Herrera, ben due Coppe Intercontinentali, una Coppa dei Campioni e due scudetti.

22) Domenghini in effetti non aveva fama di essere un calciatore amante di serate “disordinate”. Sembra conducesse una vita abbastanza appartata e schiva.

Si, verissimo. Ai tempi in cui avvenne l’incidente, ma anche in tutta la sua carriera, Domenghini è sempre stato stimato da tutti come un calciatore modello. Una persona molto ammodo. Non amava affatto far tardi la sera. Anzi, Domenghini aveva terrore di far tardi la sera. Ha sempre preferito la modestia, la regolarità, la riservatezza. Stare lontano dalla luce dei “riflettori” era per lui uno stile di vita che lo ha sempre contraddistinto, come atleta e come uomo. Una persona molto semplice, nemica della vita notturna e della sregolatezza. Un “campionissimo”, il cui comportamento è stato il riflesso del comportamento esemplare che ebbe anche in campo, sempre corretto e rispettoso nei confronti degli avversari.

23) Si conobbe il motivo che indusse Domenghini a rincasare tardi la notte dell’incidente?

Probabilmente quella notte rincasò tardi perché, in genere, dopo la partita di campionato della domenica i calciatori, il lunedì, avevano quasi sempre un giorno di riposo e di libertà. È probabile che, quella sera, Domenghini si trattenne a Milano con la sua ristretta cerchia di amici, perché era stato riconvocato in Nazionale dopo un periodo di assenza. Probabilmente, diciamo così, “festeggiò” con gli amici il ritorno in “maglia azzurra”. L’incidente occorso al campionissimo della “Grande Inter” era scritto nel suo destino. Padre Pio, senza alcun dubbio, ci mise la sua “Santa mano”. Nel senso che gli evitò conseguenze peggiori. Pensiamo a quanti atleti, dopo un incidente stradale, non ritornano più nelle condizioni fisiche precedenti. Fu un incidente stradale che mise in pericolo la sua vita e che avrebbe anche potuto compromettergli la carriera. Aveva solo 24 anni ai tempi di quel tremendo scontro. La società interista, che stimava molto Domenghini, come calciatore e come persona, avviò un’indagine per chiarire i motivi che indussero il calciatore a rientrare tardi quella notte, ma non emersero motivi particolari. L’Inter comprese che fu il destino ad aver giocato un brutto scherzo alla sua forte “ala destra”. I vertici societari nerazzurri compresero che Domenghini voleva rientrare a Lallio dopo una semplicissima serata trascorsa con qualche suo amico, in proiezione di una giornata di libertà che la società, il lunedì, concedeva a tutti i suoi calciatori. Dopo aver trovato l’autostrada chiusa al traffico al primo casello autostradale a causa dei lavori in corso, l’interista dovette ripercorrere nuovamente Viale Certosa per riprendere l’autostrada al casello di Sesto San Giovanni. Finendo quindi per fare molto tardi ed incappando in quello spaventoso scontro, in cui rischiò seriamente la vita.

24) Dopo quanto tempo da quell’incidente Angelo Domenghini ritornò in campo a giocare?

Dopo circa 40 giorni. L’incidente avvenne il 12 aprile 1965. Verso la fine di maggio di quell’anno, Domenghini rientrò in squadra. Molti calciatori dell’Inter rimasero impressionati e scossi da quell’ incidente stradale. Dopo quella storica visita dell’Inter a Padre Pio del 30 gennaio 1965, a fine marzo del 1965, ci fu un altro spiacevole episodio per l’Inter. Un episodio che coinvolse direttamente ed in prima persona proprio Helenio Herrera. Un episodio che precedette di soli 12 giorni l’incidente stradale di Domenghini.

25) Quale?

Padre Pio non disse nulla ad Herrera. Sapeva che l’allenatore dell’Inter avrebbe perso la figlia. Fu un periodo difficilissimo per Herrera. Daniela Herrera, il 31 marzo 1965, scomparve a Parigi giovanissima, all’età di 22 anni, a causa di una infezione virale. Herrera doveva assistere all’amichevole tra l’Inter e il Lugano che si disputò poi in Svizzera, ma appresa la tragica notizia, l’allenatore della “Beneamata” partì immediatamente da Milano per raggiungere Parigi. La giovane ragazza, in quel periodo stava frequentando i corsi di belle arti. Daniela Herrera qualche mese prima della sua scomparsa era stata in Italia a casa del padre e aveva assistito anche a qualche allenamento dell’Inter ad “Appiano Gentile”. Lo stesso Domenghini, qualche tempo dopo, fu anche protagonista di una incredibile “profezia”.

26) Di cosa si tratta e quando si verificò?

Domenghini nel giugno 1969 era a Riccione. Il campionato era terminato e il calciatore, in vista della ripresa della preparazione atletica per disputare una nuova stagione all’Inter, trascorreva un periodo di vacanza in Romagna. Domenghini voleva rimanere all’Inter. Si era legato all’Inter. Con l’Inter aveva conseguito successi e notorietà mondiale. Il “Presidentissimo” Angelo Moratti aveva appena lasciato la presidenza dei nerazzurri. Il nuovo vertice societario aveva in programma di costruire una “nuova Inter”. La nuova dirigenza, con a capo il neopresidente Ivanoe Fraizzoli, stava ridisegnando l’architettura e la struttura portante della squadra al fine di proiettarla verso nuove vittorie in campo nazionale ed internazionale. Una decisione perentoria da parte dei vertici direttivi dell’Inter portò la società meneghina ad avanzare una proposta che fece epoca. L’Inter in quel periodo era sul mercato alla ricerca di un centravanti. Nel Cagliari si era messo in luce, accanto a Gigi Riva, bandiera storica dei sardi, l’attaccante Roberto Boninsegna. L’Inter era interessata a Boninsegna, ma per avere Boninsegna, doveva cedere al Cagliari tre suoi calciatori: Domenghini, Gori e Poli. E in più, doveva corrispondere alla società sarda, una offerta in denaro contante da concordare. Nell’ evolversi della trattativa, i vertici direttivi delle due società, addivennero all’effettuazione dello scambio concordato. L’operazione di mercato che portò Roberto Boninsegna all’Inter, avvenne all’insaputa dei calciatori interisti inseriti nella trattativa di mercato, in quanto all’epoca non ancora operavano, come avviene attualmente, i “procuratori dei calciatori”. Le società erano le uniche “proprietarie” dei cartellini dei calciatori, in virtù della firma sul contratto di ingaggio e decidevano autonomamente l’effettuazione delle operazioni di mercato, riguardo agli acquisti e alle cessioni. Domenghini, avvertito telefonicamente da un suo amico giornalista, a Riccione venne a sapere che doveva lasciare l’Inter per giocare con il Cagliari.

27) Cosa avvenne in seguito?

Domenghini telefonò al presidente Fraizzoli e gli disse che non voleva lasciare l’Inter, perché considerava Milano e l’Inter non solo come la sua casa ma anche come la sua famiglia. Prima di andare a Milano a giocare con l’Inter, per ben quattro stagioni aveva giocato con i “nerazzurri” dell’Atalanta, tal che nel successivo suo trasferimento all’Inter, si era ancor più legato ai colori nerazzurri. Non dimentichiamo che una storica “tripletta” di Domenghini regalò all’Atalanta la “Coppa Italia”, unico trofeo conquistato ufficialmente dalla società bergamasca. Il giorno della finale, giocata dall’Atalanta contro il Torino, il 2 giugno 1963, allo stadio “San Siro” di Milano, proprio mentre le due squadre si accingevano ad entrare sul terreno di gioco, il Cardinale Angelo Roncalli, cioè Sua Santità Papa Giovanni XXIII, bergamasco, nativo di Sotto il Monte, grande tifoso dell’Atalanta, si sentiva male ed entrava in coma. Nel tardo pomeriggio del 3 giugno 1963, già gravemente malato, Papa Giovanni XXIII spirava. Quella storica vittoria conseguita in Coppa Italia, dove peraltro Domenghini vinse anche la classifica dei marcatori segnando cinque reti, non venne festeggiata dall’Atalanta proprio a causa della scomparsa del “Santo Pontefice”. Il presidente interista Fraizzoli rispose a Domenghini che la trattativa con il Cagliari era da considerarsi quasi conclusa dovendosi concordare soltanto gli ultimi dettagli. Prima della conclusione della trattativa, Domenghini rispose a tono alto al presidente Fraizzoli che, se l’Inter lo avesse ceduto al Cagliari, la squadra sarda, l’anno seguente avrebbe di sicuro vinto lo scudetto. Trascorso qualche giorno da quella “piccata” telefonata intercorsa tra Fraizzoli e Domenghini, l’Inter comunicò ufficialmente alla stampa la notizia che Angelo Domenghini, Sergio Gori e Cesare Poli erano stati ceduti al Cagliari insieme alla corresponsione di una cospicua somma di denaro, pari a 280 milioni di lire. La Sardegna e il Cagliari divennero così la nuova patria e la nuova squadra di Domenghini. Ebbene, Domenghini colse nel segno. Il Cagliari l’anno seguente vinse il campionato. A cinque anni esatti dallo spaventoso incidente stradale avvenuto la notte del 12 aprile 1965 in Viale Certosa a Milano, Angelo Domenghini, il 12 aprile 1970, divenne “Campione d’Italia” con la squadra sarda. Lo scudetto del Cagliari fu un evento storico. Diciamolo pure francamente, rimarrà un evento irripetibile nella storia del calcio italiano e nella storia dello stesso Cagliari. Probabilmente la cessione di Domenghini al Cagliari fu un grave errore di valutazione della presidenza Fraizzoli.

28) Perchè fu un errore di valutazione?

Quando allenava la Juventus, l’allenatore paraguayano Heriberto Herrera chiese con insistenza alla presidenza bianconera di acquistare dall’Inter proprio Domenghini. La Juventus cercò in tutti i modi di esaudire le insistenti richieste del suo allenatore. Ma Helenio Herrera, allenatore della “Grande Inter” di Moratti, con altrettanta puntualità dichiarava sempre incedibile il suo calciatore. Allorché Angelo Moratti lasciò la presidenza dell’Inter, il presidente della Roma, Alvaro Marchini, volle affidare la sua squadra al “Mago” di Buenos Aires che divenne così, il nuovo allenatore della Roma. Helenio Herrera che aveva portato con sé, in giallorosso, un promettente ragazzino cresciuto nel vivaio nerazzurro, cioè Aldo Bet, chiese a sua volta all’Inter, con altrettanta insistenza, la cessione di Domenghini alla Roma. Il presidente Fraizzoli, che nel frattempo aveva deciso di chiamare dalla Juventus Heriberto Herrera per allenare la “sua Inter”, in sostituzione di Helenio Herrera, optò di non cedere Domenghini alla Juventus, “rivale di sempre” dei nerazzurri, ma al contempo decise di evitare il trasferimento dell’“ala destra” nerazzurra anche alla Roma. Probabilmente Fraizzoli avrebbe voluto tenere all’Inter Domenghini, ma qualcuno, forse qualche dirigente, lo convinse erroneamente a cedere il calciatore al Cagliari. Domenghini poteva ancora dare molto all’Inter.

29) Cosa prova che fu un “errore” la cessione di Domenghini da parte di Fraizzoli?

Il fatto che Heriberto Herrera era un estimatore di Domenghini. Heriberto Herrera quando allenava la Juventus, aveva sempre richiesto alla presidenza della Juventus di acquistargli Domenghini per portarlo alla Juventus e i vertici della Juventus avevano sempre fatto di tutto per prendere il calciatore. Fraizzoli quando chiamò Heriberto Herrera ad allenare l’Inter al posto di Helenio Herrera, sapeva che Heriberto Herrera fin dai tempi della Juventus voleva portare in bianconero l’“ala destra” bergamasca. Fraizzoli sapeva che Heriberto Herrera si sarebbe opposto alla cessione di Domenghini, perché “Domingo” per Heriberto Herrera sarebbe stato uno di quei calciatori dal quale ripartire per costruire un Internazionale nuovamente vincente. L’offerta della Roma per avere Domenghini era ragguardevole.

30) All’Inter qualcuno non aveva in simpatia Domenghini?

Chi può dirlo? Forse sì, forse no. Paradossale fu anche il fatto che, dopo otto anni consecutivi alla corte di Angelo Moratti, nella sua ultima stagione all’Inter, Helenio Herrera riuscì ad ottenere gioco e risultati proprio verso la fine del campionato con Domenghini nel suo ruolo tipico e Mazzola centravanti, e sappiamo che Mazzola non era in realtà un vero centravanti.

31) Fraizzoli avrebbe potuto continuare a vincere tenendo Domenghini all’Inter?

Penso di sì. Evidentemente Angelo Domenghini aveva un appuntamento con la storia: continuare a scrivere pagine importanti non solo della sua carriera ma pagine importantissime nella storia di un’altra squadra. Il Cagliari. Con il Cagliari avrebbe scritto qualcosa di straordinario. Perché lo scudetto vinto da Domenghini con il Cagliari fu uno scudetto straordinario. Uno scudetto vinto dai sardi guarda caso, proprio “duellando” contro l’Inter di Fraizzoli che concluse il suo campionato al secondo posto. Domenghini l’aveva per giunta “profetato”, sportivamente parlando, che il Cagliari avrebbe vinto il campionato. Un campionato certamente irripetibile quello degli isolani. Come irrepetibile fu lo scudetto vinto dall’Hellas Verona, che, allenato da Bagnoli, il 12 maggio 1985, riuscì contro ogni pronostico, ad emulare l’impresa del Cagliari. L’Hellas Verona fu una delle squadre in cui, per due anni, militò anche Domenghini. Un altro particolare non di poco conto ricorre nella sua carriera.

32) Si lega al calcio?

Diciamo di si. Domenghini alla sua prima stagione con il Cagliari vinse lo scudetto. Fu con “Bobo” Gori e Gigi Riva, uno degli artefici di quella strabiliante ed incredibile vittoria dei rosso-blu allenati all’epoca da Manlio Scopigno. Uno scudetto che oggi, a 53 anni di distanza, assume per i sardi un significato che va oltre il calcio. Il 1970 fu per la fortissima “ala destra” bergamasca un anno straordinario nella sua carriera agonistica. Dopo aver vinto lo scudetto nella “Terra dei quattro Mori”, Domenghini disputò in Messico uno straordinario “Campionato Mondiale” che lo consacrò come il miglior calciatore al mondo nel suo ruolo. La Nazionale Italiana nel 1970 arrivò a conquistare la finale contro il Brasile di Pelè. Prima ancora di quella finale contro i “carioca”, Domenghini fu protagonista in campo di un’altra epica partita. Una partita che entrò nella storia dei “Campionati del Mondo” di tutti i tempi. Intendo riferirmi alla semifinale Italia-Germania che, terminata con il risultato di parità, 1 a 1 nel corso dei tempi regolamentari, venne decisa ai tempi supplementari, dando vita al susseguirsi di un’irripetibile altalena di gol, “condita” da “raffiche” di emozioni che nessuno avrebbe mai osato immaginare. Quella partita venne denominata “la Partita del Secolo”. Nessuna semifinale nella storia dei “Mondiali” di calcio fu straordinariamente emozionante come quell’Italia-Germania, terminata con lo storico risultato di 4 a 3 per gli azzurri. Ebbene, quattro dei calciatori azzurri schierati in campo dall’allenatore Ferruccio Valcareggi contro i tedeschi e in seguito scesi in campo nella “finalissima dell’Atzeca” giocata dagli azzurri a Città del Messico contro il Brasile di Pelè, ben cinque anni prima, nel 1965, avevano baciato la mano “guantata” di Padre Pio a San Giovanni Rotondo: Facchetti, Mazzola, Burgnich e Domenghini.  Nella “partita del secolo”, Angelo Domenghini fu il Nazionale italiano ad essere stato riconosciuto all’unanimità dalla stampa internazionale, tra tutti i ventidue calciatori in campo, come il miglior calciatore di quell’incontro. Dopo la sconfitta dell’Italia, in finale, contro il Brasile di Pelè, 4 a 1 per i brasiliani, Domenghini fu indicato dalla critica internazionale come uno dei “Top Player” di quel “Mondiale” messicano. Pelè, in una intervista rilasciata alla stampa nel febbraio 1970, non solo pronosticò l’Italia finalista ai “mondiali” ma riconobbe in “Domingo”, nome affibbiatogli da Herrera quando giocava nella “Grande Inter”, l’inossidabile “maratoneta planetario” di quel “Campionato del Mondo 1970”, insostituibile motore della squadra azzurra pilotata da Valcareggi. Dopo aver disputato quattro stagioni ai massimi livelli con il Cagliari, Domenghini giocò un buon campionato con la Roma. Dopo aver militato altri due anni nel Verona in Serie B, una sorpresa attendeva Domenghini a quasi 35 anni di età.

33) Che tipo di “sorpresa”?

Quella di giocare nuovamente in Serie A. Si verificò con il Foggia, risalito nel frattempo nella massima divisione calcistica nazionale. Come se Padre Pio, a distanza di undici anni da quella visita dell’Inter a San Giovanni Rotondo e da quel terribile incidente stradale a Milano, avesse voluto ricondurre il prestigioso calciatore della “Grande Inter” nella sua terra di adozione. Ettore Puricelli, all’epoca allenatore del Foggia, contattò l’ex interista e lo invitò ad indossare la maglia rossonera. Domenghini non se lo fece ripetere due volte. Trascorse a Foggia l’ultimo campionato di una carriera splendida e ricca di grandissime soddisfazioni professionali. Nel 1976, l’ex Nazionale, “Campione d’Europa” nel 1968 e Vicecampione del mondo, con le sue luminose giocate e con i suoi gol, contribuì apprezzabilmente alla permanenza del Foggia in Serie A, ambito obiettivo di ogni squadra provinciale. La formidabile ala destra, dal tiro secco e preciso, infaticabile maratoneta della fascia laterale, elegante ed armonioso nel movimento e nella corsa, non riuscì però a vedere esaudito un desiderio che aveva all’epoca espresso al presidente del Foggia, Antonio Fesce.

34) Teneva molto Domenghini a che questo suo desiderio si realizzasse?

Si. Perché il calciatore durante l’anno della sua permanenza a Foggia aveva avvertito il calore, l’affetto e la vicinanza del pubblico foggiano nei suoi confronti. A Domenghini questo fece molto piacere, fu una cosa che apprezzò moltissimo. Per questo preciso motivo chiese all’allora presidente del sodalizio dauno, Antonio Fesce, di poter firmare un altro anno di contratto. Non ne avrebbe fatto assolutamente una questione economica. Domenghini, infatti, sentiva di poter giocare ancora una stagione ai suoi livelli, sapendo bene di poter contribuire alla conquista di un altro “scudetto” del Foggia: la permanenza in Serie A. Il presidente “rossonero” rispose negativamente alla sua richiesta. In seguito, Domenghini venne a sapere che non fu il presidente Fesce ad opporsi alla sua richiesta, bensì altri dirigenti della società pugliese.

35) Alla gioia di una salvezza conquistata, si contrappose per Domenghini l’amarezza di una richiesta negata.

Diciamo che, quando un “Campione” sente di potersi esprimere ancora ad alti livelli, occorre dargli retta e credere in quello che afferma. A riguardo, Domenghini rivelò, dopo 46 anni, un particolare inedito. Disse al presidente Fesce che se il Foggia non lo avesse ingaggiato, per le difficoltà che la Serie A avrebbe notoriamente riservato nel corso dello svolgimento del campionato ad una squadra provinciale come quella “rossonera”, occorrendo disporre anche di calciatori di grande esperienza, non si sarebbe salvata. Infatti, il Foggia, come previde Domenghini, non si salvò nel campionato successivo. Nel maggio del 1978 retrocesse in Serie B. Una retrocessione che si verificò all’ultima giornata di campionato, a San Siro, proprio contro l’Inter, che sconfisse il Foggia per 2 a 1.

36) Ci furono altri calciatori legati a Padre Pio da Pietrelcina?

In tal senso, tutti i calciatori della “Grande Inter” di Moratti che nel 1965 si recarono da Padre Pio a San Giovanni Rotondo, si legarono a Padre Pio. Anche molti calciatori che in seguito indossarono la maglia nerazzurra, come Beppe Bergomi, Javier Zanetti e Nicola Berti sono molto legati al “Santo di Pietrelcina”. Sandro Mazzola, grande amico di Angelo Domenghini, conobbe personalmente Padre Pio. Molte volte ha raccontato con grande emozione questo suo incontro con il Frate. Anche Gigi Riva, qualche anno fa, nel 2007, si recò a San Giovanni Rotondo a pregare sulla tomba del “Santo Cappuccino”. Un altro famoso calciatore, tempo fa, dichiarò ufficialmente di essere stato “miracolato” dal Santo. Quando può, spesso si reca a San Giovanni Rotondo a far visita a Padre Pio. Parlo di Beppe Signori. Sandro Mazzola raccontò sempre del suo grande desiderio di conoscere Padre Pio e potersi confessare da lui. L’occasione gli fu propizia proprio il 30 gennaio 1965, quando l’Inter, come ricordavo innanzi, scese in Puglia per la trasferta di Foggia. All’epoca Sandro Mazzola e Angelo Domenghini erano compagni di squadra nella “Grande Inter”. Entrambi i calciatori, nel convento dove il Santo operò la sua missione terrena, baciarono la “mano guantata” al Santo Frate. A Sandro Mazzola, figlio di Valentino Mazzola, indimenticato centrocampista del “Grande Torino”, di Padre Pio gli parlava spesso, quando era ancora un bambino, la madre, la nonna e una sua zia che viveva in famiglia a Cassano d’Adda. La famiglia Mazzola, dopo la scomparsa del papà Valentino nel tragico schianto di Superga, al rientro da una partita amichevole giocata a Lisbona, da Torino si spostò a vivere nel piccolo centro in provincia di Milano. Sandro Mazzola da tempo desiderava confessarsi da Padre Pio, perché voleva chiedere al Santo di liberarlo da un peccato mortale. Mazzola, come lui stesso molte volte ebbe a narrare, spiegò che il parroco del suo paese non voleva dargli l’assoluzione perché un giorno, dopo aver fatto la Santa Comunione, aveva detto a Gesù di farlo diventare bravo come il papà Valentino e poi, se fosse stata volontà di Gesù, anche di farlo morire alla stessa età dell’ indimenticato centrocampista del “Grande Torino”. L’importante per il piccolo Sandro era, all’epoca, che il Signore esaudisse il suo desiderio di farlo diventare un bravo calciatore, come il papà. Un giorno, Sandro Mazzola, quando era ancora un bambino, questo fatto lo rivelò al suo parroco, Don Giordano, il quale gli rispose che non poteva fare quella richiesta a Gesù in quanto era una richiesta sacrilega. Don Giordano da quel momento non volle più confessare il piccolo Sandro, futuro campione della “Grande Inter”. Quando Mazzola, il 30 gennaio 1965 scese con l’Inter a San Giovanni Rotondo, uscendo di notte insieme ad Armando Picchi all’insaputa di Herrera, dall’albergo “Santa Maria delle Grazie”, alloggio dei nerazzurri sul Gargano, riuscì a confessarsi da Padre Pio, spiegò questo fatto al Santo, il quale sorrise marcatamente. Padre Pio, in confessione, assolse Sandro Mazzola e lo liberò da quel fardello spirituale che tanto aveva appesantito e aveva fatto soffrire spiritualmente il “Sandro nazionale”. Una cosa che impressionò molto Mazzola a San Giovanni Rotondo fu il vedere tanti fedeli che in piena notte, oranti e cantando gioiosamente, salivano in convento per ascoltare la Santa Messa celebrata da Padre Pio alle cinque del mattino. Anche Armando Picchi, storico capitano della “Grande Inter” si confessò da Padre Pio, volendo il grande “libero nerazzurro” chiedere al Frate notizie del fratello che, partito in guerra per la Russia nel corso della Seconda guerra mondiale, non aveva più fatto ritorno a casa. Padre Pio gli rispose che era salito al “Cielo”.

37) Quando Gigi Riva si recò in visita a San Giovanni Rotondo da Padre Pio?

Accadde nel 2007. Gigi Riva, capocannoniere “di sempre” della Nazionale Italiana e storica bandiera del Cagliari di “tutti i tempi”, all’epoca era Presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio. La Nazionale Italiana, allenata da Marcello Lippi, nel 2006 aveva vinto il “Campionato Mondiale” battendo la Francia ai rigori con il risultato di 5 a 3, dopo il protrarsi a reti inviolate nel corso dei tempi regolamentari ed in quelli supplementari. Un frate cappuccino, Padre Nicola Monopoli, circa 16 anni fa, scrisse una lettera a Gigi Riva. Padre Nicola, all’epoca, era il frate assistente e rappresentante della Gioventù Francescana della provincia monastica. In sostanza, il confratello di Padre Pio chiese al “Campionissimo” attaccante del Cagliari e della Nazionale azzurra, di poter esporre la “Coppa del Mondo” vinta a Parigi nel 2006 a San Giovanni Rotondo, in modo che i giovani della gioventù francescana, i giovani del paese di San Giovanni Rotondo ed anche i giovani ricoverati presso l’Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” potessero vedere il trofeo. La lettera di Padre Nicola Monopoli giunse a Roma sulla scrivania di Gigi Riva. Dopo averla letta, Riva invitò personalmente Padre Nicola Monopoli a recarsi nel suo studio a Roma. Qui ci fu una specie di segno del destino.

38) Cosa si verificò?

Quando Padre Nicola Monopoli giunse a Roma negli uffici della Presidenza federale, Gigi Riva indicò subito a Padre Nicola un libro che parlava di Padre Pio da Pietrelcina. Riva spiegò al religioso che, la lettera da lui inviata da San Giovanni Rotondo gli era pervenuta sulla sua scrivania proprio mentre stava iniziando a leggere la prima pagina di quel libro riguardante Padre Pio, cioè del libro che Riva gli aveva subito mostrato appena il religioso aveva fatto il suo ingresso nel suo ufficio. Riva ritenne essere quella incredibile coincidenza un segno della volontà del Santo Frate. Un segno che Padre Pio aveva inviato a Gigi Riva di esprimere parere favorevole circa l’invio della “Coppa del Mondo” a San Giovanni Rotondo. Qualche tempo dopo, il 31 marzo 2007, la “Coppa del Mondo” giunse a San Giovanni Rotondo e Gigi Riva si recò in quella circostanza nel paesello garganico in visita ed in preghiera presso la tomba di Padre Pio.

39) Cosa accadde invece a Beppe Signori?

Il 17 settembre 1991, nel periodo in cui militava nel Foggia, allenato all’epoca da Znedek Zeman, Beppe Signori, in seguito tre volte vincitore della “classifica italiana marcatori” con la Lazio, verso le due del pomeriggio, mentre si recava in auto da un amico che lo aveva invitato a pranzare da lui, percorrendo a velocità moderata la strada statale garganica che da San Severo conduce ad Apricena, due comuni siti nel foggiano, a causa della pioggia e della eccessiva sconnessione del manto stradale, perdeva letteralmente il controllo della vettura di cui era alla guida. L’automobile slittando e successivamente sbandando paurosamente, dopo un paio di testa-coda, si cappottò. Nel ribaltarsi, l’Audi 80 nera di Beppe Signori ruotò su stessa, compiendo ben otto giravolte prima di terminare rovinosamente la sua incredibile traiettoria in un vigneto. Prima di fermarsi definitivamente, la vettura dell’ex calciatore del Foggia, trovò ancora il tempo di abbattere mezzo filare di vitigni presenti nell’appezzamento. L’auto del biondo centravanti rossonero si accartocciò, deformandosi paurosamente ed andò letteralmente distrutta. I soccorritori, osservando le condizioni della automobile, pensarono che il calciatore fosse deceduto sul colpo. Invece Signori ne uscì miracolosamente illeso, in forte stato di choc e con qualche graffio alle gambe. Signori venne precauzionalmente condotto in ospedale per accertamenti. Si rese immediatamente conto che, nella pazzesca dinamica dell’incidente, quelle molteplici rotazioni della vettura su sé stessa avrebbero potuto ucciderlo. Affermò di aver rischiato seriamente di morire. Non riusciva a capacitarsi di come era potuto accadere quell’incidente e dichiarò molte volte di essere stato letteralmente “miracolato” da Padre Pio. La madre di Signori, tempo addietro, si era recata in visita a San Giovanni Rotondo e aveva portato con sé una canottiera che il Santo, quando era ancora in vita, le aveva benedetto personalmente. La madre dell’ex calciatore, consegnò quella canottiera benedettale da “San Pio” al figlio Beppe, quando Signori venne a giocare a Foggia. Da quel giorno, Signori in campo indossò sempre quella canottiera benedetta da Padre Pio. Angelo Domenghini e Beppe Signori, entrambi vittima di terribili incidenti stradali, sono accomunati da affinità che hanno dell’incredibile.

40) Quali sarebbero?

Vi sono stupefacenti analogie che legano Domenghini e Signori.Entrambi i calciatori rimasero vittima di incidenti stradali, in cui rischiarono seriamente di perdere la vita. Entrambi vennero “miracolati” da Padre Pio. Entrambi sono nativi della provincia di Bergamo. Angelo Domenghini è nato a Lallio, Beppe Signori è nato ad Alzano Lombardo, come può notare, due comuni del bergamasco. Vi è la incredibile coincidenza dell’orario. Domenghini fu vittima dello spaventoso incidente stradale alle due di notte circa, Signori uscì paurosamente fuori strada alle due del pomeriggio. L’Audi 80 nera di Signori, letteralmente andata distrutta a causa delle otto rotazioni consecutive della vettura su stessa, era targata Bergamo. Entrambi i calciatori hanno giocato nel Foggia. Domenghini giocò in rossonero una stagione, nel 1976, Signori giocava già con i “dauni” al momento dell’incidente e continuò a giocarvi per altri due anni, per un totale di tre stagioni. Altra analogia è il ruolo dei due ex calciatori. Signori giocava nel ruolo di “ala” sinistra, lo stesso ruolo in cui Domenghini giocò in tutta la sua carriera agonistica, anche se come “ala” destra. Un ulteriore affinità è che entrambi i giocatori provengono dall’oratorio parrocchiale. Entrambi hanno giocato con l’Atalanta. La società orobica, tramite un osservatore, prelevò Domenghini dal campo di calcio dell’oratorio. Signori giocava nell’oratorio di Villa di Serio, un comune in provincia di Bergamo e fu visionato tecnicamente dagli osservatori dell’Atalanta attraverso dei “provini”. Altra analogia è costituita dal fatto che entrambi i due ex calciatori hanno giocato nella Nazionale Italiana. Altra affinità: sia Domenghini, sia Signori, con la maglia azzurra della Nazionale, hanno segnato lo stesso numero di gol, precisamente sette reti. Ulteriore analogia. Entrambi i calciatori sono stati vice-campioni del mondo, avendo perso entrambi la finale contro la stessa Nazionale: il Brasile. Domenghini nel 1970, a Città del Messico, perdendo l’Italia la finale contro il Brasile di Pelè per 4 a 1. Signori nel 1994, negli Stati Uniti d’America, a Pasadena, perdendo l’Italia la finale ai rigori per 3 a 2, dopo un risultato di parità, a reti inviolate, perdurante nei tempi regolamentari ed in quelli supplementari. Altra affinità. Entrambi i calciatori hanno giocato nell’Inter. Signori è cresciuto nelle giovanili dell’Inter ed ha esordito in Serie A nel Foggia, a Milano, contro l’Inter. Domenghini con la “Grande Inter”, dove ha scritto leggendarie pagine di storia, ha vinto scudetti e Coppe internazionali. Altra analogia è rappresentata dall’anagrafe al momento in cui furono vittima dell’incidente stradale. Domenghini, nel 1965, aveva 24 anni, Signori, nel 1991, aveva 23 anni e sette mesi, possiamo dire “quasi” 24 anni. Altra affinità: entrambi i calciatori portavano con sé al momento dell’incidente la “benedizione personale” di Padre Pio. Il Santo Frate di Pietrelcina, il 30 gennaio 1965, benedisse personalmente Domenghini e tutta la “Grande Inter” a San Giovanni Rotondo. Domenghini, inoltre, ebbe il grande privilegio di poter baciare con profonda devozione la mano “bucata e sofferente” del Santo Cappuccino stigmatizzato. Signori, al momento dell’incidente, indossava la canottiera che la madre dell’ex calciatore del Foggia, della Lazio, del Bologna e della Sampdoria le aveva fatto benedire, nel paesello garganico, da Padre Pio quando era ancora in vita. Entrambi i calciatori hanno giocato nella squadra del Trento. Domenghini vi giocò nel 1978, ultimo anno della sua carriera agonistica, Signori vi giocò nel 1987. Entrambi hanno realizzato con la maglia del Trento lo stesso numero di reti: tre reti. Un’ultima incredibile particolarità lega Domenghini e Signori a Padre Pio: quando Padre Pio nel 1968 moriva, in quello stesso anno, Beppe Signori nasceva e Angelo Domenghini vinceva il “Campionato Europeo” per Nazioni, diventando così Campione d’Europa. Prima del 1968 l’Italia non aveva mai vinto un “Campionato Europeo”.

41) Angelo Domenghini, Gigi Riva, Sandro Mazzola e Beppe Signori. Quattro grandissimi calciatori molto legati a Padre Pio da Pietrelcina.

Indubbiamente. C’ è anche da ricordare che il gol più bello segnato da Gigi Riva nella sua carriera e nella lunga permanenza al Cagliari si lega proprio ad Angelo Domenghini, suo corregionale. La rete capolavoro di Gigi Riva venne realizzata dall’attaccante lombardo a Vicenza, con una spettacolare rovesciata acrobatica. Domenghini, alla vigilia del suo terribile incidente stradale, verificatosi la notte del 12 aprile 1965, era rientrato proprio da Vicenza. Il 18 gennaio 1970, il Cagliari giocava in trasferta a Vicenza. Domenghini, come sempre, instancabile maratoneta e molto attivo in campo in quella partita, porse a Riva un pallone in area di rigore e il “goleador di tutti i tempi” del Cagliari e della Nazionale azzurra, inarcandosi a mezz’aria, con una maestosa rovesciata acrobatica, colpendo la sfera con il sinistro, realizzò il gol della vittoria sarda in terra veneta, vincendo a fine campionato la classifica marcatori. Senza il supporto dell’onnipresente Domenghini, Riva non avrebbe mai siglato quell’incredibile rete che, tra l’altro regalò la vittoria al Cagliari anche in chiave scudetto. Qualche mese dopo, il Cagliari di Manlio Scopigno trionfò in campionato. Una prodezza acrobatica da “cineteca”, consegnata alla storia del calcio italiano e del calcio internazionale. Domenghini, nell’anno dello scudetto al Cagliari, giocò con la maglia numero 7. L’ala tattica di Scopigno segnò in quella stagione trionfale per i sardi e per la Sardegna, otto reti.

INTERVISTA raccolta da Giuseppe Maiello

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