Vanessa, n. 41/2021: la lunga teoria di donne uccise dall’inizio dell’anno

ACI TREZZA (CT). Un uomo di 38 anni, già denunciato dalla vittima per stalking, disposto al divieto di avvicinamento alla sua ex fidanzata, nella notte del 21 agosto , raggiunge la ragazza che si trova con alcuni amici sul lungomare , scende dall’auto e esplode diversi colpi destinati a Vanessa: un colpo la colpisce alla testa , e per la giovane donna non c’è alcuna speranza di salvezza.

Sharon, Victoria, Roberta, Tiziana, Teodora, Sonia, Ilenia, Piera, Ljuleta, Lidia, Clara, Deborha, Rossella, Edith, Ornella , Dorina , Elena, Tina, Annamaria, Saman, Silvia, Emma, Ylenia, Angela, Tunde, Maria Carmina, Perera, Donashantini, Bruna , Alessandra, Sharon, Silvia, Chiara, Ginetta, Vincenza, Lorenza, Marylin, Silvia, Sheghushe, Catherine, Stefania, Vanessa…
41 donne uccise dall’inizio dell’anno ad oggi, unA ogni 5-6 giorni… giovani donne, madri, figlie, ragazze con sogni, desideri, passioni, tradite dagli uomini di cui un tempo si fidano, dalle braccia in cui si erano sentite al sicuro, dagli occhi che avevano promesso amore.
L’altro giorno a Bacoli la tragedia è stata “solo” sfiorata: un uomo di 59 anni, già agli arresti domiciliari, disposti in seguito alla violazione del divieto di avvicinamento alla vittima, la sua ex-compagna, si è presentato a casa della donna , e sull’uscio della porta l’ha picchiata con pugni e calci , per poi fuggire via e rifugiarsi presso la sua abitazione . La donna è riuscita a chiedere aiuto chiamando il 112, ed è ora ricoverata presso l’ospedale di Pozzuoli , con una prognosi di 7 giorni.

La violenza contro le donne non è più un fenomeno che può essere ignorato, non si tratta di un fenomeno marginale, è un crimine che non si consuma ai margini della società, almeno non solo lì. La violenza contro le donne è un fenomeno trasversale , per età , condizione sociale, culturale, economica: riguarda tutte le donne, e tutti gli uomini. Riguarda tutte noi, perché tutte noi donne siamo vittime del modello culturale di cui siamo prigioniere fin dalla nostra nascita : gli stereotipi di genere ci condannano fin da piccole a vivere una condizione che spesso noi stesse percepiamo di “inferiorità”.

Espressioni comuni come “il sesso debole”, “ essere una femminuccia”, o “ sono cose da femmina” determinano nei bambini e negli adolescenti convinzioni erronee e contribuiscono alla formazioni di idee stereotipate che prevedono ruoli ben definiti per l’uomo e per la donna, al di fuori dei quali si è incapaci di autogestirsi e di relazionarsi con l’altro. Credo che prima di tutto bisogna intervenire sempre più sulle donne: le dobbiamo rendere forti e capaci di riconoscere i segnali di relazioni malate, di uomini che mostrano disagio psicologico , culturale , emotivo. Le ragazze, le donne, devono allontanarsi prima, o non avvicinarsi affatto ad uomini che da subito manifestano possessività, gelosia, irascibilità, discriminazione verso il sesso femminile . Non dobbiamo tollerare e confondere questi atteggiamenti ossessivi con manifestazioni d’amore.

È nel linguaggio comune che si rende necessario non tollerare più, anche in contesti apparentemente sani e tranquilli , uomini che condizionano le scelte lavorative delle loro compagne, che si aspettano di essere serviti per prima a tavola, che hanno il posto più comodo, magari di fronte alla tv, che, quando nella migliore delle ipotesi, partecipano alla cura della casa in cui vivono, sostengono di “ aiutare “ le proprie mogli e si aspettano di essere ringraziati, che si preoccupano se le figlie femmine in età da marito ancora non hanno trovato l’anima gemella, che implicitamente si aspettano che con la nascita di un figlio sarà la madre a ridurre l’orario di lavoro o a lasciarlo del tutto. Gli stereotipi di genere costituiscono il substrato culturale del “femminicidio”; sono le premesse, i presupposti che lo generano e lo rendono possibile. La violenza maschile sulle donne, infatti, è possibile perché viene esercitata su persone alle quali non viene riconosciuta la stessa dignità esistenziale che viene riconosciuta nelle altre persone ed in questo meccanismo di mancata possibilità di empatia, è lo stereotipo di genere a fare da perno.

La costruzione dei ruoli maschili e femminili è un processo che inizia sin dall’infanzia. Gli stereotipi condizionano l’apprendimento, intrappolando uomini e donne in definizioni rigide che possono vincolare e limitare l’agire delle persone nel corso delle loro esistenze. Gli stereotipi condizionano il nostro modo di agire e la società stessa. L’uso degli stereotipi di genere conduce ad una percezione rigida e distorta della realtà, che si basa su ciò che noi intendiamo per “femminile” e “maschile” e su ciò che ci aspettiamo dalle donne e dagli uomini. Ci serviamo di immagini generalizzate che riducono la complessità del nostro pensiero, del nostro agire e dell’ambiente e nel contempo annullano le differenze individuali all’interno dei singoli gruppi. L’educazione può avere un ruolo fondamentale e la scuola fa la differenza. Ancora oggi gli stereotipi condizionano i ragazzi e le ragazze nel proprio percorso di studi, nel caso delle ragazze significa chiudersi a determinate possibilità professionali, ma anche nel caso dei ragazzi significa precludersi a percorsi alternativi che non siano tecnico- scientifici, ancora prima di provare ad accedervi.

Rinunciare agli stereotipi significa incominciare a guardare uomini e donne con occhi diversi, suggerendo che uomini e donne possono imparare a confrontarsi al di là di schemi prefissati e ad ascoltarsi meglio. È, pertanto, un problema di educazione!

-Scritto da: Anna Montesarchio