SANT’ANTIMO. Chiara Tramontano scrive una lettera alla sorella Giulia, uccisa dal compagno, Alessandro Impagnatiello, da cui attendeva un figlio, a maggio di un anno fa

SANT’ANTIMO. Chiara Tramontano scrive una lettera alla sorella Giulia, uccisa dal compagno, Alessandro Impagnatiello, da cui attendeva un figlio, a maggio di un anno fa. Questo il testo integrale della lettera pubblica che Chiara ha inviato alla sorella, in attesa di Thiago
“Cara Giulia,
Oggi affido a questa tastiera il compito di raccogliere le mie lacrime e trasformarle in inchiostro su un foglio bianco. Non ho ancora trovato un posto in cui ospitarti nella mia nuova vita, quella dopo la tua morte. Ho imparato ad accettare che in casa mia ci siano le tue foto, le nostre foto, le foto di famiglia, esponendomi spesso a ricordi dolorosi, riuscendo solo raramente a sorridere nel guardarle. Ho pensato che il tuo posto potesse essere la mensola dei ricordi, dove ci sei tu, ci siamo noi, ci sono delle candele, tanto dolore e speranza. Ma non sei lì, non certo nei ricordi che mi provocano dolore. Sei parte sicuramente della mia quotidianità, di una vita in cui non sarò mai realmente felice, perché penserò sempre che tu non sei qui con me a condividerla. Tu sei il tramonto che mi lascio alle spalle ogni giorno, incolpandomi di averlo trascurato ed essere andata avanti. Dovrei però ricordare a me stessa che il tramonto sarà lì tutti i giorni, e a volte andare avanti significa solo prepararsi al nuovo giorno.
Così, immagino, tu non debba far parte della dimensione della mia vita in cui i miei sensi di colpa vengono a galla, certamente non farebbe bene a nessuna delle due. Appartieni sicuramente a una sfera della mia vita che si chiama tempo. Tu sei in tutti gli istanti della mia giornata che cerco di riempire per non pensare. Sei nel mio calendario pieno di impegni ed illusione che essere impegnata significhi non pensarti. O meglio, non pensare al modo violento in cui te ne sei andata per sempre. Riempio la mia vita di attività con la stessa instancabile forza con cui ti ho cercata per giorni, senza dormire, senza pensare, immaginandomi in un abbraccio che non ci siamo mai scambiate. Tu sei nei 30 secondi di riposo tra un esercizio e l’altro in palestra, quei secondi che scorrono lentamente e che spesso mi ritrovo ad accorciare per non pensare. Alle volte scorrono insieme alle lacrime, ma ho imparato ad accettare anche questo.
Così, mentre scrivo, mi viene in mente che appartieni sicuramente alla mia vita lavorativa, ai miei sforzi di realizzarmi, alla mia nuova vita in Olanda. Sei il motivo per cui non mi sono arresa alle difficoltà della vita quotidiana, ad esempio quelle di vivere lontano da casa, in un paese che ti piaceva tanto. E se non mi sono arresa, è perché tu mi hai dimostrato che si può combattere da soli, che non sempre si sopravvive, ma io dovrò cambiare il finale di questa storia.
Allora, non adesso, ma un giorno mi auguro che tu apparterrai alla sfera dell’equilibrio nella mia vita. Quella in cui imparerò a vivere i momenti di pausa senza paura che il dolore prenda il sopravvento. Imparerò a convivere con le nostre foto, che sono i nostri ricordi, ma non sono tutto cio che abbiamo condiviso. C’è anche la vita che non abbiamo fotografato e che, seppure invisibile agli occhi, non lo è al cuore. Imparerò a sedermi sul divano e guardare un film. Imparerò a rispettare il tempo e a dargli il giusto valore, non un aguzzino che mastica i miei ricordi e li sputa per farmi soffrire, ma la medicina del mio dolore. Imparerò che la vita non è soltanto fare ciò che tu non farai, vedrai, o vivrai, ma è ciò che io desidero vivere, provare, raggiungere e fare. Chissà che tu non ti trovi proprio bene lì, in una dimensione in cui avrò imparato a convivere senza di te, ma con te al mio fianco.
Per ora, però, io e te apparteniamo a questa instabile realtà che si chiama vita, in cui siamo entrambe in balia delle onde, l’una vicina all’altra senza sfiorarci. La nostra sola forza contro le onde è saperci vicine perché, se provassimo a tenerci per mano, potremmo entrambe annegare. Allora, Giulia, io e te apparteniamo a una dimensione in cui stiamo galleggiando, a volte boccheggiamo, eppure siamo entrambe vive”

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