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QUATTRO INDIMENTICABILI TRIONFI INTERNAZIONALI DEL CALCIO ITALIANO.

I trionfi “Mondiali” di Enzo Bearzot e Marcello Lippi. Le vittorie “Europee” di Ferruccio Valcareggi e Roberto Mancini. Le pagine buie della Nazionale italiana. Le imprese della Nazionale patrimonio storico e culturale del nostro Paese. I trionfi Mondiali del 1982 e del 2006 e le vittorie agli “Europei” del 1968 e del 2021. 29 giugno 2024. Stadio Olimpico di Berlino. Italia – Svizzera 0 a 2. Gli azzurri, “Campioni d’Europa” in carica, eliminati da Euro 2024.  Nel 1966, ai Mondiali d’Inghilterra, contro la Corea del Nord e nel 2002, ai Mondiali di Corea e Giappone, contro la Corea del Sud, l’Italia subì le sconfitte più umilianti della sua storia. La disfatta contro la Svizzera ad Euro 2024 è la terza Corea della Nazionale azzurra.  

di Giuseppe Zingarelli

In Germania proseguono i Campionati Europei di calcio, UEFA Euro 2024. La Spagna, prima finalista, dopo aver sconfitto la Francia di Mbappè per 2 a 1, attende in finale l’Inghilterra di Gareth Soutghate. Gli inglesi, nella seconda semifinale giocata al “Signal Iduna Park” di Dortmund, contro l’Olanda di Ronald Koeman, hanno sconfitto al 91mo minuto i “tulipani” per 2 a 1, con un secco diagonale calciato di potenza da Watkins. Gli “orange” avevano aperto le marcature dopo appena sette minuti di gioco con un tiro da fuori area ben piazzato da Xavi Simons che ha sorpreso il portiere britannico, Pickford. L’Inghilterra riusciva a pervenire al pareggio undici minuti più tardi, con Harry Kane, su calcio di rigore decretato dall’arbitro Felix Zwayer per un fallo commesso da Denzel Dumfries sullo stesso Kane. Sarà Spagna-Inghilterra la finale di EURO 2024. Si giocherà allo Stadio Olimpico di Berlino il prossimo 14 luglio. C’è da dire che la designazione dell’arbitro Zwayer è stata contestata dai media inglesi, in quanto il 43enne arbitro tedesco, anni fa, precisamente nel 2005, subì una squalifica di sei mesi, per calcioscommesse, avendo “truccato” alcune partite ed aver accettato una mazzetta di circa 300 euro dal collega Robert Hoyzer, in uno scandalo che si allargò a macchia d’olio per un giro complessivo di oltre due milioni di euro. I precedenti tra le due squadre, con la partita vinta dagli inglesi, salgono a 15: 5 vittorie dei “tulipani”, 7 pareggi e 3 vittorie dei “Leoni” di Sua Maestà. È la prima volta che Spagna e Inghilterra si sfidano in una finale di un Europeo. 27 i precedenti tra le due Nazionali: 14 successi inglesi, 10 vittorie spagnole e 3 pareggi. L’Europeo di Germania ha già emesso il suo record. Un record da scrivere nel “Guinnes dei primati”. Lamine Yamal, il prodigioso baby-talento iberico che ha realizzato la stupenda rete del provvisorio pareggio delle “Furie Rosse” contro la Francia, battendo Maignan con un supergol è il giocatore più giovane, 16 anni e 362 giorni, a segnare tra Mondiali ed Europei. Polverizzato anche il record di Pelè: 17 anni e 239 giorni. Un record che “O’ Rey” stabilì 66 anni fa, ai Mondiali di Svezia, in Galles-Brasile disputatasi il 19 giugno 1958, valevole per i quarti di finale. La partita si concluse con la vittoria dei “verdeoro”: 1 a 0. Rete di Pelè al 66mo e prima rete nella rassegna internazionale per il più forte calciatore della storia del calcio di tutti i tempi. Anche l’allenatore spagnolo, De La Fuente, dopo aver visto letteralmente “volare” Maignan nel tentativo di deviare la magnifica parabola calciata di sinistro da Yamal, che ha battuto sul palo sotto l’incrocio ed è entrata in rete, non stava più nella pelle ed ha esultato gioiosamente come se già pregustasse la vittoria finale della Spagna. Una vittoria sulla quale, se dovesse arrivare, non ci sarebbe nulla da obiettare. La Spagna è la migliore squadra che Euro 2024 ha espresso. È vero che l’Italia ha perso contro le “Furie Rosse” solo per una sfortunata autorete di Calafiori, ma è anche vero che il magico gioco degli iberici non ha mai permesso agli “azzurri” di vedere la palla, annullando e frastornando totalmente la squadra di Spalletti. Non accennano a placarsi le durissime critiche per la avvilente eliminazione della Nazionale Italiana dall’Europeo. All’Olimpia Stadion di Berlino, lo scorso 29 giugno, la Svizzera, allenata da Murat Yakin, con una partita maiuscola, ha annientato l’Italia con un secco 2 a 0. Reti di Freuler e Vargas. L’incontro è stato ottimamente diretto dall’arbitro polacco, Szymon Marciniak. Il 29 giugno 2024 è la nuova, terribile data che va ad aggiungersi ad altre due storiche date che hanno lasciato un marchio indelebile e mortificante nella storia del calcio italiano. Due date che rievocano dolorosi fantasmi del passato. E’ il 19 luglio 1966. Mondiali d’Inghilterra. A Middlesbrough, si incontrano Italia e Corea del Nord, terza gara del turno eliminatorio degli ottavi di finale della “Coppa Rimet”, così allora era denominata la Coppa del Mondo. Al 42mo minuto del primo tempo, i nordcoreani, allenati dal CT, Myung Rye Hyun, passavano inaspettatamente in vantaggio con una rete siglata dal centrocampista Pak Doo Ik, un tipografo con l’hobby del calcio, oggi vivente, il quale con un secco e preciso tiro di destro, scoccato all’interno dell’area di rigore, depositò il pallone nell’angolino basso alla destra della porta difesa da Enrico Albertosi. Il CT azzurro, all’epoca, era Edmondo Fabbri. L’Italia, nella ripresa, non riuscì più a riequilibrare le sorti dell’incontro e venne clamorosamente eliminata dal Mondiale. La notizia fece il giro del mondo. Una data terribile nella storia del calcio italiano. Trascorsero 36 anni da quel giorno “drammatico” e la storia ci presentò un’altra Corea. Era la sera del 18 giugno 2002. Mondiali di Corea-Giappone. L’Italia di Giovanni Trapattoni, con in campo Del Piero, Maldini e Inzaghi, fu sconfitta agli “ottavi” per 2 a 1 dalla Corea del Sud, allenata dall’olandese Guus Hiddink. I sudcoreani, con quella vittoria approdarono ai quarti di finale dove furono sconfitti dalla Germania che, in seguito, disputò, perdendola, la finale contro il Brasile. La direzione dell’arbitro ecuadoriano Byron Moreno, nato a Quito, venne duramente contestata dall’Italia al punto che la FIFA arrivò ad aprire un’inchiesta nei suoi confronti su richiesta della Delegazione italiana, un’inchiesta che non portò a riscontrare illeciti nei suoi confronti. Moreno si ritirò a distanza di un anno da quell’incontro e poco tempo dopo venne arrestato dalle autorità americane all’aeroporto John Fitzgerald Kennedy di New York, sorpreso dagli agenti dell’FBI con addosso sei chili di eroina. Nel giugno 2003, Moreno subì una doppia radiazione. La prima gli giunse dalla Federcalcio del suo Paese, la seconda dalla FIFA. L’eliminazione dell’Italia da Euro2024 ad opera della Svizzera è sostanzialmente per la Nazionale azzurra, la terza Corea. Contro gli elvetici l’Italia non è praticamente esistita in campo. La Nazionale è apparsa talmente sottotono da essere irriconoscibile, neanche l’ombra di sé stessa. I calciatori italiani erano praticamente assenti dal terreno di gioco. Surclassati in tutto dal ritmo forsennato e dalla grande freschezza atletica degli svizzeri. L’Italia, guidata dal CT Luciano Spalletti, contro la Svizzera ha confermato ad “Euro 2024” l’ennesima, sconvolgente ed opaca prestazione, al limite dell’imbarazzo. In sostanza gli azzurri non sono mai entrata in partita contro gli elvetici, del resto, contro la fortissima Spagna, di fatto, era accaduta la stessa cosa. I tifosi azzurri sono rimasti letteralmente scioccati per aver assistito alle prestazioni di una Nazionale “fantasma” che nulla ha saputo costruire e mostrare all’Europa nel corso di questa 17ma edizione dei Campionati Europei se non il non-gioco. Sotto accusa, per questa nuova “tragedia” cui ci è toccato assistere, i calciatori, Spalletti e il Presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina. In particolare, Spalletti e Gravina sono stati invitati da molti a fare un passo indietro ed a rassegnare serenamente le proprie dimissioni. Dopo la figuraccia internazionale, come se nulla fosse accaduto, il Presidente Gravina non si è dimesso. Paradossalmente, rivendicando la totale autonomia della Federazione, Gravina, con all’attivo una mancata qualificazione al Mondiale del Quatar nel 2022 ed un aumento di stipendio che si è autoassegnato passando dagli iniziali 36mila euro lordi agli attuali 240mila euro, cui devono essere computati in aggiunta ulteriori 250mila euro da Vicepresidente Uefa, ha perfino confermato e “blindato” Spalletti, il quale resta “saldamente” alla guida degli “azzurri”. Il CT azzurro, in numerose interviste, arrampicandosi sugli specchi, adoperando spesso articolati e confusi giri di parole, ha rilasciato dichiarazioni che non hanno assolutamente convinto né la stampa, né i tifosi e probabilmente, neanche sé stesso. Spalletti ha giustificato il totale “fallimento” azzurro in terra tedesca, adducendo in sintesi, che l’Italia, contro la Svizzera, incomprensibilmente, non aveva i ritmi giusti, che l’Italia aveva ritmi di gran lunga inferiori agli avversari, che è mancata la necessaria freschezza nelle gambe dei nostri calciatori e che non c’è stata una “certa continuità”. In alcuni momenti, è parso che Spalletti fosse talmente traumatizzato, confuso e frastornato, al punto da non riuscire neanche a comprendere bene l’entità del dramma che ha letteralmente sancito un altro agghiacciante inabissamento storico del calcio italiano. Un “super flop” senza precedenti che, per certi aspetti, peggiore di quello che registrammo contro le due Coree nel 1966 e nel 2002 perché, se non altro, un minimo di reazione da parte degli azzurri, nelle “Nazionali” di Fabbri e Trapattoni, ci fu. Al cospetto di un palcoscenico importantissimo, qual è un “Campionato Europeo”, “seguitissimo” in tutto il mondo, l’Italia contro gli elvetici non ha espresso nulla. Con un’abilità che non ha eguali, Spalletti continua a giustificare l’ingiustificabile. Le sue spiegazioni e le sue scompigliate affermazioni hanno suscitato grande stupore e manifesta perplessità: “Tutti gli altri allenatori hanno avuto 20 partite, altre 30 partite, io invece solo 10 partite ed eravamo già con il fucile puntato. Ho bisogno di più tempo e di più conoscenza diretta per poter prendere il meglio dai miei calciatori. Ci sono stati diversi giocatori infortunati sui quali contavo!”. Affermazioni, quelle di Spalletti, che fanno davvero riflettere. Perché se le 4 partite disputate dall’Italia ad Euro 2024 sono quelle che tutti abbiamo visto, con la Croazia si è passato il turno al 98mo, dopo 98 minuti di indicibile sofferenza, allora da Euro 2024 abbiamo ottenuto una prova lampante. La certezza che in un anno di tempo non si è costruito nulla. Un anno letteralmente perso e buttato via. Di questo Europeo non si salva nulla. Né moduli, né schemi, né gioco. Nulla. L’unica certezza è il non-gioco e una involuzione tecnica e tattica, un crollo verticale della capacità di reazione della squadra al cospetto degli avversari. Una squadra senza mordente, priva di personalità, mai in partita non lascia presagire nulla di buono per il futuro. Eccezion fatta per qualche calciatore, tre al massimo, tutti quelli che hanno giocato erano visibilmente ed incomprensibilmente al di sotto degli standard normalmente espressi ed esternati nei loro club di appartenenza. Spalletti non ha molto tempo a sua disposizione per cercare di correre ai ripari, in quanto il 2 settembre è vicino. Ci sono da preparare le gare di “Nation League”, a Parigi contro la Francia, di Budapest, in campo neutro, contro Israele ed infine contro il Belgio all’Olimpico di Roma. Cambiare uomini, plasmare nuovi schemi tattici e nuovi assetti in poco tempo, avendo come obiettivo la qualificazione al Mondiale 2026, sarà un compito assai complicato per il CT toscano. In questo “Europeo”, per il non-gioco espresso dagli azzurri in campo è il caso di dire che gli sportivi italiani hanno vissuto un incubo. Siamo stati tutti spettatori e testimoni di un incubo. In cosa ha sbagliato Spalletti? Nella selezione dei calciatori? È stata sbagliata la preparazione atletica? Ha sbagliato le scelte dei cambi in partita? Ha sbagliato l’assetto tattico della squadra? È stata sbagliata la comunicazione con i calciatori? Non si è fatto adeguatamente capire dai giocatori? Ha sbagliato ad accettare la chiamata di Gravina? Ha sbagliato ad accettare un ruolo che non è suo? Probabilmente sì. Spalletti è un buon allenatore. È un allenatore navigato, ha esperienza. Ha vinto uno scudetto con il Napoli distanziando di chilometri la Juventus, il Milan e l’Inter e, uno scudetto con il Napoli, dobbiamo ammetterlo, non è affatto facile vincerlo. Prima di lui, in passato, ci sono riusciti soltanto l’ex calciatore del Napoli, Ottavio Bianchi e l’ex calciatore di Milan e Foggia, Albertino Bigon, il quale, con il Napoli, ha vinto anche la Supercoppa italiana. Dobbiamo dar atto a Spalletti di aver riportato il Napoli in “Champions League” nel 2022, già prima di vincere lo scudetto. Constatando anche un altro record di Spalletti al suo attivo, Per la prima volta nella sua storia, in Champions, con l’allenatore toscano, il Napoli ha raggiunto i “quarti” di finale. Fa riflettere anche un altro dato oggettivo. Spalletti è una persona responsabile, oculata, accorta. Aveva ancora un altro anno di contratto con il club partenopeo. Allora perché ha accettato l’incarico di CT della Nazionale? Ha forse ceduto al fascino ed al prestigio dell’incarico? Spalletti ha accettato l’incarico di CT pensando di essere adatto all’incarico e al ruolo. La realtà dei fatti, sul campo, lo ha smentito. Un allenatore di club e un Selezionatore della Nazionale sono due cose assai diverse. Spalletti ha accettato un ruolo che non gli appartiene, ha agito con l’inconsapevolezza dei propri limiti ed ha pagato di persona, provocando un disastro alla Nazionale. L’errore non è solo il suo. Ci sono responsabili e colpevoli ai piani alti. Chi ha chiamato Spalletti alla guida della Nazionale ha commesso un grande errore di valutazione. Spalletti non si è rivelato il Selezionatore giusto per la Nazionale azzurra, perché Spalletti sa fare bene l’allenatore di club. Questo errore di valutazione ha trascinato Spalletti stesso, la Federcalcio e la Nazionale in un vortice pericoloso, generando al contempo una crisi di sistema del nostro calcio. Sarà certamente un’estate difficile per i responsabili della Nazionale. Da qui in avanti occorrerà necessariamente comprendere bene ed a fondo, le cause che hanno prodotto questo disastro, perché il “disastro azzurro” ad “Euro 2024” è stato un disastro osservato da tutti. Una catastrofe che è maturata e si è materializzata sul terreno di gioco, sotto gli occhi tutti. La Nazionale italiana è letteralmente mancata sotto il profilo del gioco, del gruppo, della personalità, della grinta, della combattività, del carattere. Nel calcio certamente si può perdere. Un conto però è perdere lottando con carattere, coraggio e determinazione. Altro discorso è perdere ed uscire dalla competizione in modo inqualificabile, indecoroso e, diciamolo pure, vergognoso. Occorre, quindi, aprire ed affrontare dibattiti coraggiosi sul tema. Occorre essere molto seri, imparziali, obiettivi e soprattutto, responsabili e capire a fondo le ragioni che hanno portato al verificarsi di uno dei più spaventosi naufragi della storia del calcio italiano. Non ci si può più nascondere. Non soltanto per il bene e per il futuro del calcio italiano in proiezione delle Qualificazioni Mondiali, dalle quali manchiamo già da ben due edizioni, ed è questa una cosa già di per se stessa molto grave per l’immagine del nostro calcio e per l’immagine del nostro Paese, ma, soprattutto, per il grande rispetto che indiscutibilmente merita la gloriosa maglia azzurra e la gloriosa storia della Nazionale, che poi, di riflesso, è ed ingloba anche l’immagine del nostro Paese nel mondo. Non dimentichiamo che l’Italia è una delle Nazionali di calcio più titolate del mondo. Ed è l’unica Nazionale al mondo medagliata in tutte le competizioni ufficiali organizzate da FIFA e UEFA, una Nazionale che più volte ha occupato il 1°posto nella graduatoria FIFA. Non si può più fingere e mascherare che in questo “Campionato Europeo” non sia accaduto nulla di grave. Perché, in realtà, non è accaduto qualcosa di grave, ma è accaduto qualcosa di gravissimo. Siamo l’unica Nazionale a non aver espresso nulla in campo, o se vogliamo, siamo l’unica Nazionale che all’Europeo, una competizione internazionale di altissimo livello tecnico, in campo, ha espresso il nulla totale. Tutte le altre squadre sono state e si sono dimostrate nettamente all’altezza delle aspettative, tanto che squadre come la Turchia, la Slovacchia, il Portogallo e la stessa Svizzera, sono apparse, in prospettiva del Mondiale 2026, team con ampi margini di miglioramento tecnico. Coloro i quali, in Germania, hanno portato la Nazionale al disastro, in un Europeo che doveva traguardare ben altri risultati, facciano seriamente “mea culpa”. Se il calcio italiano, da qualche tempo, non riesce più ad esprimere talenti degni di questo nome, come invece riusciva a fare un tempo, una ragione ci sarà pure. Vi è una crisi di sistema che attanaglia il nostro calcio. Taluni hanno rimarcato, giustamente, che Carlo Tavecchio, l’ex Presidente della Federcalcio, scomparso nel gennaio 2023, quando nel 2017 mancò la qualificazione al “Campionato del Mondo” in Russia, dopo aver esonerato l’ex CT azzurro, Giampiero Ventura, decise di rassegnare le proprie dimissioni. Il Presidente Gravina, invece, neanche lontanamente ha pensato a dimettersi, convocando strategicamente per il 4 novembre prossimo, l’Assemblea per operare un rinnovamento di tutti gli organi federali, in modo da sperare in una sua rielezione ed in una riconferma per altri 4 anni. Diciamoci la verità. Se queste sono le premesse dopo i risultati catastrofici ai quali abbiamo assistito ad Euro 2024 contro la Spagna, la Croazia e la Svizzera, allora all’orizzonte si intravedono tutte le premesse per temere concretamente un nuovo, futuro fallimento. Un disastro che potrebbe essere ancora più grande. Fortunatamente, ci sono stati tecnici che hanno saputo scrivere pagine gloriose ed immortali nella storia della Nazionale azzurra. Ci sono stati CT che sono riusciti a portare la Nazionale italiana al successo internazionale. Quattro date ci ricordano e ci confermano che gli avvenimenti legati ai trionfi dell’Italia calcistica sono ormai perfettamente parte della memoria collettiva nazionale, divenendo, imprescindibilmente, patrimonio della storia e della cultura del nostro Paese. Dalle pagine di questo glorioso passato emergono quattro date fondamentali che hanno esaltato l’Italia e la nostra Nazionale azzurra nel mondo. Era l’11 luglio 1982, quando in terra di Spagna, l’Italia allenata dall’indimenticabile Enzo Bearzot, recordman di panchine in azzurro, 104 gare dal 1975 al 1986, sconfisse sul terreno di gioco del mitico “Bernabeu” di Madrid, la prestigiosa Germania di Paul Braitner, Karl Heinz Rummennige, Hans Peter Briegel, Pierre Littbarsky, Uli Stielike, Manfred Kaltz con uno storico e perentorio 3 a 1. Bearzot, Zoff, Paolo Rossi e il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, il Presidente più amato nella storia della Repubblica italiana, incarnarono l’immagine dell’Italia nel mondo. La storica voce di Nando Martellini fuoriusciva gioiosa e trepidante dai televisori, invadendo le case di milioni di italiani, esaltando quell’impresa eccezionale e ripetendo per tre volte la storica frase: “Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo!”. Lo stesso Pelè si complimentò doppiamente con Bearzot, sia per la strabiliante vittoria dell’Italia sul Brasile sia per il trionfo finale. In quel Mondiale spagnolo, gli “azzurri” esordirono a Vigo, balbettando e pareggiando stentatamente le prime tre partite, rispettivamente contro la Polonia di Boniek e Smolarek, il Perù di Uribe e Barbadillo e il Camerun del portiere N’Kono e dell’attaccante Milla. Poi, dopo dubbi ed ansie, la svolta. Accadde quello che nessuno si aspettava. Il 29 giugno 1982, allo stadio Sarrià di Barcellona, gli “Eroici”, come li definì il Corriere dello Sport, addomesticarono magistralmente la temutissima Argentina di Diego Armando Maradona, imponendo alla nazionale biancoceleste un formidabile 2 a 1. Il 5 luglio 1982, ancora allo stadio Sarrià di Barcellona, calò il “sigillo” degli azzurri sulla Coppa del Mondo. Toccò al fortissimo e fantastico Brasile di Zico, Eder, Leandro, Falcao, Cerezo, Oscar, il Brasile del dottor Socrates, fare i conti con la magica Italia del “Vecchio con la pipa”, supportato in panchina da Cesare Maldini e, con la incredibile “tripletta” rifilata al portiere carioca, Valdir Perez, Paolo Rossi tirò fuori dal suo repertorio un autentico sortilegio che ridusse alle lacrime, il Brasile ed i brasiliani. Non si può dimenticare la plastica parata, a circa un minuto dal termine dell’incontro, effettuata sulla linea di porta da Dino Zoff, a 40 anni suonati, su un cross pennellato da Eder per il colpo di testa di Oscar. E poi l’urlo di gioia, quasi sovrumano, di Marco Tardelli dopo la seconda rete da lui realizzata nella finale contro i coriacei ed inesauribili “Panzer”. Quel Mondiale scorre come un film nella mente e nei pensieri degli italiani ed è ancora ben impresso nella memoria di tutti. Nessuno si stanca di rivedere quell’impresa. Ricordando l’impegno encomiabile del battagliero Ciccio Graziani, lo stile elegante e sobrio di Gaetano Scirea, le scorrazzate sulla fascia destra del funambolico Bruno Conti, il grintoso Claudio Gentile e la sua efficacissima marcatura con la quale annullò totalmente l’estro di un certo genio del calcio, tale Diego Maradona. Non si può non ricordare la “voglia matta” di vittoria dell’allora 18enne Beppe Bergomi, il dinamismo di Antonio Cabrini che rilanciò il ruolo di terzino sinistro, l’abilità nel gioco aereo del riccioluto stopper azzurro, Fulvio Collovati, le felici intuizioni tattiche e le magistrali giocate di Giancarlo Antognoni e quella generosa “vita da mediano” che esaltava le giocate di Lele Oriali.  Allo stadio Sarrià di Barcellona, uno stadio che oggi non esiste più, il fiuto del gol di “Pablito” ebbe modo di colpire nuovamente una delle più forti Nazionali dell’Est di quel periodo. La meravigliosa Polonia di Zibì Boniek, Wladyslaw Zmuda, Gregorz Lato, Wlodzimierz Smolarek, Wlodzimierz Ciolek, Janusz Kupcewicz che fece tremare con un tiro su punizione il palo della porta azzurra nella semifinale iberica, contro la quale il compianto Paolo Rossi mise a segno un’altra formidabile “doppietta”. Tanto per ricordare la storia, quella Polonia fu letteralmente ricostruita in soli 13 mesi dal bravissimo allenatore, Antoni Piechniczek, chiamato dalla Federcalcio polacca a sostituire il suo predecessore, il CT Kulesza, dopo il giallo all’aeroporto di Varsavia, quando alcuni calciatori si presentarono ubriachi al ritiro della Nazionale polacca. Piechniczek riuscì a strutturare ed a plasmare una delle più forti Nazionali della storia del calcio polacco e nel Mondiale spagnolo del 1982, riuscì caparbiamente a condurla in semifinale. Quella Polonia che nel 1982 incontrò l’Italia di Bearzot in semifinale, in realtà, fu una delle più forti squadre della storia del calcio polacco, dopo la Polonia allenata da Kazimirz Gorsky, che annoverava calciatori come Gadocha, Tomaszewsky, Kasperczak, Zmuda e Kazimierz Deyna, il più grande calciatore polacco di tutti i tempi, 99 presenze e 43 reti realizzate con la maglia della nazionale “biancorossa”. Una Polonia che, il 23 giugno 1974, riuscì a sconfiggere con il risultato di 2 a 1 anche l’Italia di Ferruccio Valcareggi. Accadde a Stoccarda, nel Mondiale giocato in Germania nel 1974. Un Mondiale che vide la Germania di Franz Beckenbauer, Paul Braitner e Gerd Muller aggiudicarsi il titolo, trionfando in finale sull’Olanda di Johan Crujff, Rud Krol, Johnny Rep e altri celebrati campioni, quali Neskeens ed i gemelli Van De Kerkhof. I famosi “quattro schiaffi” di Enzo Bearzot “mollati” a Luis Cesar Menotti, Telè Santana, Antoni Piechniczekt e Jupp Derwall, risuonano rumorosamente a distanza di 42 anni, segnando uno dei più memorabili e straordinari trionfi del calcio italiano nel mondo. Era il 9 luglio 2006. Nella notte magica di Berlino, l’Italia allenata dal tecnico viareggino Marcello Lippi, sconfisse la Francia di Zinedine Zidane, guidata dal tecnico Raymond Domenech e diventa “Campione del Mondo” per la quarta volta nella sua lunga e prestigiosa storia. Era la sesta finale disputata dagli azzurri. Un’altra notte indimenticabile. Un’altra vittoria indimenticabile. Un’altra vittoria sofferta fino alla fine, che portò l’Italia sul tetto del mondo, 24 anni dopo la notte stellare di Madrid. Un’altra vittoria conquistata con la lotta, con l’impegno, con la determinazione, con la grinta, con la voglia pazza di vincere, con l’ardore e la volontà di non fallire quel traguardo che a volte si presenta una volta sola nella vita di un CT e di un calciatore, se anche si presenta. L’emozione allo Stadio Olimpico di Berlino fu grande. Era la prima volta che Italia e Francia si incontravano in una finale mondiale. Dopo 90 minuti, la gara era terminata in parità: 0 a 0. Si andò ai supplementari e il risultato non si schiodò dalla parità. Si andò agli impietosi, fatidici e crudeli calci di rigore. Per la Nazionale di Lippi si materializzò lo spettro dei rigori sbagliati dal “dischetto” nella finale del 1994 disputata a Pasadena, negli Stati Uniti, quando l’Italia perse il secondo “maledetto” Mondiale contro il Brasile. I rigori sbagliati da Franco “Beckenbauer” Baresi, Massaro e dal “Divin Codino”, alias, Roberto Baggio, presero a materializzarsi anche nelle menti dei tifosi italiani. Il “Divin Codino”, a distanza di 30 anni, pensa spesso a quel rigore sbagliato a Pasadena. Un rigore che pesa come un macigno sul fuoriclasse di Codogno. Un “penalty” che gli tormenta l’anima, al cospetto di una sia pur brillante e strepitosa carriera, densa di successi e di soddisfazioni. Nella serata di Berlino si andò ai rigori e l’Italia, dal dischetto, fu spietata. Il portiere transalpino, Fabien Barthez, non riuscì ad opporsi ai primi 4 tiri calciati con grande freddezza e precisione da Andrea Pirlo, Marco Materazzi, Daniele De Rossi e Alessandro Del Piero. Un rigore di Trezeguet colpì la traversa. Ultimo rigore. Dal dischetto si presentò Fabio Grosso. Sembrarono istanti interminabili. Poi esplose la gioia, incontenibile. Grosso realizzò. Finì 5 a 3.  l’Italia vinse il Mondiale e ritornò ad essere “Campione del Mondo” per la quarta volta nella sua storia. Era l’11 luglio 2021. L’emergenza legata alla diffusione dellaepidemia di CV19 costrinse l’esecutivo UEFA a rinviare di un anno la prevista edizione di “Euro 2020”, che venne così disputata In Inghilterra a giugno 2021. La storia registra un’altra impresa degli azzurri.Il CT è Roberto Mancini. Uno che non ha certo bisogno di presentazioni. La sua carriera di calciatore e di tecnico parlano da sole. Ex enfant-prodige del calcio italiano, ex calciatore della Nazionale, 36 presenze e 4 reti, ex attaccante di Bologna, Lazio, Sampdoria e Leicester City. Il tecnico marchigiano, in 16 anni di militanza ininterrotta con la maglia della Sampdoria diventa la bandiera storica, il recordman assoluto, della squadra blucerchiata: 567 presenze e 171 reti. Nessuno ha fatto meglio di lui nella storia del club ligure, sponda doriana. Roberto Mancini, nella Sampdoria, gioca facendo coppia con il compianto Gianluca Vialli, che avrebbe compiuto 60 anni il 9 luglio 1964. Vialli con la Samp condivide le meravigliose vittorie in maglia blucerchiata con Mancini. Il “Mancio” vince 4 Coppe Italia, uno scudetto, una Supercoppa italiana, una Coppa delle Coppe e sfiora la Coppa dei Campioni, perdendo la Samp la finale contro il Barcellona per 1 a 0. Rete di Ronald Koeman, attuale CT degli “Orange” agli Europei 2024. Da Genova, Mancini si trasferisce a Roma. Con la Lazio di Erikson, da calciatore, l’attaccante di Jesi, classe 1964, vince un campionato italiano, due Coppe Italia, una Supercoppa italiana, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa UEFA. La sua carriera da allenatore inizia precocemente, dopo essersi ritirato dal calcio giocato, dove ha disputato qualcosa come 740 partite, di cui 541 presenze ininterrotte in Serie A. E’ uno dei Top player e dei Top Ten più presenti di sempre nella massima divisione nazionale. Allena la Lazio, la Fiorentina, l’Inter, il Manchester City, lo Zenith San Pietroburgo. Da allenatore, con la Fiorentina vince subito una Coppa Italia. Con l’Inter vince tre campionati italiani, due Coppe Italia e due Supercoppe italiane. Si trasferisce oltre Manica. In oltre tre anni e mezzo in Inghilterra, con il Manchester City vince nel 2011 una FA CUP, nel 2012 una Community Shild e un campionato inglese, PremierLeague. Con il Galatasaray vince una Coppa Nazionale. Roberto Mancini, dal 2023, è il selezionatore dell’Arabia Saudita. Nella magica notte di Londra, nel leggendario stadio di Wembley, tempio della Nazionale di calcio inglese, uno stadio che sostituì totalmente il vecchio impianto essendo stato totalmente ricostruito ed inaugurato nel 2007, dopo quattro anni di intensi lavori, con Mancini in panchina sedeva anche Gianluca Vialli, nella veste di Capo Delegazione della Nazionale. Come il tecnico di Jesi, Vialli ha vinto con la Samp tutto quello che si poteva vincere ai tempi della presidenza Mantovani: uno Scudetto, tre Coppe Italia, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa italiana, sfiorando la Coppa dei Campioni. Il bomber di Cremona, oltre ad una lunga militanza con i doriani, ben 8 stagioni, ha giocato per tre anni nella Cremonese, quattro anni nella Juventus prima di trasferirsi in Inghilterra, precisamente al Chelsea, dove allo “Stamford Bridge Park Stadium”, per 3 anni, ha deliziato i tifosi del Chelsea, i famosi “Blues” d’Inghilterra. In Nazionale Vialli ha giocato 59 partite, realizzando 16 reti, disputando due Mondiali, nel 1986, in Messico e nel 1990, in Italia ed un Campionato Europeo, nel 1988 in Germania Ovest. Allenò anche in Inghilterra, come calciatore-allenatore il Chelsea. In seguito allenò il Watford. Con la Juventus, il campione lombardo, scomparso a Londra lo scorso 5 gennaio 2023, a soli 58 anni, a causa del peggioramento di una patologia oncologica al pancreas, vinse un campionato italiano, una Coppa Italia, una “Champion League”, una “Coppa UEFA” ed una Supercoppa italiana. Sempre con il Chelsea si aggiudicò una Coppa d’Inghilterra, una Coppa di Lega inglese, una Coppa delle Coppe ed una Supercoppa UEFA. In Italia, Gianluca Vialli vinse anche la “Classifica Marcatori”, realizzando ben 19 reti nella stagione 1990/91 e la Classifica Cannonieri in Coppa Italia, con 13 reti siglate nella stagione 1988/89. Da allenatore, nel Chelsea, Vialli vinse una Coppa di Lega inglese, una Supercoppa UEFA, una “Charity Shild”, una Coppa delle Coppe ed una FA CUP. Roberto Mancini e Gianluca Vialli,nella finale di Londra, Italia-Inghilterra, fecero registrare per la panchina della Nazionale azzurra un record assoluto: la panchina più prestigiosa della sua storia, considerando i titoli vinti dalla ex “Coppia d’oro” del calcio italiano. Nel 2021 Mancini aveva stabilito anche il record di imbattibilità della panchina azzurra: 37 panchine senza subire sconfitte. Eguagliando e sorpassando il record detenuto, prima del tecnico di Jesi, dall’ex CT della Nazionale, Vittorio Pozzo. Quella sera, a Londra, c’erano i presupposti per vincere e Mancini e Vialli non mancarono all’appuntamento con la storia. L’allenatore dell’Inghilterra era, come oggi, Garethy Southgate. Lo stesso che ha nuovamente condotto i “Leoni” d’Inghilterra in finale contro la Spagna e che tenterà di riportare i “White of England” sul tetto d’Europa. In tribuna, a Wembley, sedeva anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. L’arbitro che diresse l’incontro era l’olandese Bjorn Kuipers. Dopo appena tre minuti, l’Inghilterra andò in vantaggio con Shaw. L’ l’Italia reagì e senza scomporsi più di tanto, pareggiò nella ripresa, con Leonardo Bonucci. La partita terminò in parità: 1 a 1.  Si andò ai tempi supplementari, ma il punteggio rimase immutato. Si andò ai rigori e gli azzurri non fallirono. Berardi, Bonucci e Bernardeschi realizzarono dagli 11metri con Donnarumma che distendendosi prodigiosamente parò agli inglesi due calci di rigori. I britannici andarono a segno con Kane e Maguire. In quella splendida serata londinese le maglie azzurre riconquistarono la “vetta” d’Europa. L’Italia divenne “Campione d’Europa” per la seconda volta nella sua storia, dopo un’attesa durata 53 anni. Era il 10 giugno 1968. A Roma la Nazionale di Ferruccio Valcareggi trionfava per 2 a 0 battendo la Jugoslavia. Gigi Riva e Pietro Anastasi realizzarono le reti che consegnarono per la prima volta all’Italia il prestigioso titolo di “Campione d’Europa”. Il 5 giugno 1968, l’Italia giocò a Napoli nel tardo pomeriggio contro l’Unione Sovietica. I sovietici, nell’edizione precedente, avevano eliminato proprio l’Italia dalla competizione europea. L’ex San Paolo di Napoli, oggi Maradona, era al limite della capienza. Qualcuno confermò che ad assistere all’incontro vi erano circa 90mila spettatori, forse anche di più. Rivera rimediò una botta in uno scontro di gioco e si infortunò. Rimase in campo perché all’epoca non erano previste le sostituzioni. Il milanista ma non poté più giocare all’altezza della sua fama. L’Italia, rimasta in inferiorità numerica strinse i denti. Il giocatore più mobile della Nazionale, Angelo Domenghini, un attaccante che con la maglia azzurra e nei club in cui ha militato, Atalanta, Inter, Cagliari, Hellas Verona, Foggia, Olbia e Trento, si è sempre espresso al massimo delle sue potenzialità. L’instancabile “maratoneta” di Lallio, correndo in campo senza mai fermarsi, in un’azione offensiva colpì il palo alla destra della porta difesa da Pscenicnicov. I 90 minuti regolamentari terminarono in parità: 0 a 0. Nel corso dei tempi supplementari Bercellino fu colpito al ginocchio e si infortunò. Doppia inferiorità numerica per gli azzurri, costretti in campo con nove giocatori effettivi. L’Unione Sovietica si gettò a testa bassa in avanti, ma non riuscì a passare in vantaggio. Dopo 120 minuti di gioco il risultato non cambiò: 0 a 0. All’epoca non c’erano i calci di rigore. Si procedeva al crudele lancio della monetina che, spietatamente, decideva chi dovesse proseguire nella competizione e chi doveva tornare a casa. L’arbitro tedesco, Kurt Tschensher, chiamò i due capitani e con loro si diresse negli spogliatoi del “San Paolo” per il sorteggio. Giacinto Facchetti scelse “testa”. Era una moneta da 5 franchi svizzeri, moneta che oggi si conserva nel ritiro azzurro di Coverciano, mentre il capitano sovietico, Albert Schesternev, capitano del CSKA, fu d’accordo e accettò “croce”. L’arbitro lanciò la monetina che cadde in verticale. Il rilancio della stessa fu ripetuto dal direttore di gara e la sorte, questa volta, favorì gli azzurri. Per i napoletani non vi erano dubbi. San Gennaro ci mise la mano. Uscì “testa”. L’Italia andò in finale contro la Jugoslavia e i sovietici tornarono a casa. L’8 giugno 1968, si disputò la finale. Italia – Jugoslavia. Dzajic portò in vantaggio gli slavi e Domenghini, prima dell’intervallo, su calcio di punizione, centrò l’incrocio dei pali, senza sapere che sarà proprio lui il protagonista di quella partita. All’80mo minuto, la Jugoslavia è ancora in vantaggio e l’Italia non ha più molta energia nelle gambe. L’unico che riesce ancora a correre è “Domingo”. A circa 9 minuti dal termine della gara, l’arbitro elvetico, Gottfried Dienst, assegnò all’Italia un calcio di punizione. Si presentò a batterla l’infaticabile Angelo Domenghini. La barriera slava si dispose a protezione di Pantelic. Fischio dell’arbitro e dal piede destro del mitico attaccante della “Grande Inter” di Moratti ed Herrera, che con il Cagliari di Scopigno conquistò lo storico scudetto rossoblu nell’aprile 1970, dando un contributo decisivo alla conquista della “salvezza” del Foggia in Serie A nel Campionato 1976-77, partì un missile di rara potenza che andò a perforare la barriera jugoslava, scaraventando il pallone in rete nell’angolo basso alla sinistra di Pantelic, uno dei migliori portieri della storia del calcio slavo, il quale rimase impietrito nel vedere entrare quel bolide scagliato ad incredibile velocità, verso la sua porta, dal calciatore azzurro. L’Italia pareggiò: fu 1 a 1. La partita terminò con questo risultato. Il regolamento dell’epoca prevedeva che una finale terminata in parità non poteva concludersi con il lancio della monetina ma obbligava alla ripetizione della gara. L’Italia aveva dato tutto in campo per raggiungere il pareggio contro la Jugoslavia ed era apparsa a fine gara stremata, stanca, decisamente provata. Valcareggi, valutando la situazione, sapeva bene di non poter schierare in campo, nella seconda finale, gli stessi giocatori, perché sarebbe stato un suicidio per gli azzurri. L’ex CT azzurro decise di cambiare ben cinque undicesimi della squadra. Fece entrare Rosato, Salvatore, De Sisti, Mazzola e Riva che presero il posto di Lodetti, Juliano, Prati, Ferrini e Castano. A Roma, il 10 giugno 1968, si rigiocò la finale dell’Europeo 1968. Dopo soli 12 minuti Riva battè Pantelic e portò l’Italia in vantaggio. Al 31mo minuto raddoppiò Anastasi. Il risultato non mutò più fino al triplice fischio del direttore di gara, lo spagnolo Josè Maria Ortiz de Mendibil: Italia – Jugoslavia 2 a 0. L’Italia, per la prima volta nella sua storia, si laureò “Campione d’Europa”. L’allora Presidente della Repubblica, il socialdemocratico Giuseppe Saragat, invitò la comitiva “azzurra” a salire al Quirinale e conferì a ciascun calciatore l’onorificenza di “Cavaliere della Repubblica Italiana”. Una particolarità. Nelle partite di qualificazione ai Campionati Europei del 1968, l’Italia incontrò anche la Svizzera. Era il 23 dicembre 1967. L’incontro si disputò allo stadio Sant’ Elia di Cagliari e fu giocato ottimamente dagli azzurri. Terminò con una roboante vittoria dell’Italia sugli elvetici: Italia – Svizzera 4 a 0. Reti di Sandro Mazzola, Gigi Riva e “doppietta” di Angelo Domenghini. Fu proprio la punizione “bomba” calciata da “Domingo”, con tutta la potenza che gli era rimasta nel piede destro, nella finale dell’8 giugno 1968, contro quella fortissima Jugoslavia allenata da Rajko Mitic, con giocatori come Pavlovic, Holcer, Trivic e Dzajic a spianare la strada che portò l’Italia a conquistare il terzo titolo internazionale, dopo le altre due prestigiose vittorie ottenute dagli azzurri nel Mondiale del 1934 e nel Mondiale del 1938. Nelle due finali giocate, la stampa, all’unanimità, incoronò Domenghini miglior azzurro in campo.