Pier Paolo Pasolini: dal “giallo” irrisolto alla produzione di una vita

Il 2 novembre del 1975 fu ritrovato presso l’idroscalo di Ostia il corpo martoriato dello scrittore e regista Pier Paolo Pasolini.

Quella stessa notte fu fermato l’assassino: Pino Pelosi, il giovane diciassettenne che per la giustizia italiana resta l’unico omicida del delitto Pasolini; nonostante più prove rimandino alla presenza di co-autori sulla scena del crimine, tuttavia questo “giallo” resta irrisolto.

Una morte che ha lasciato tanto discutere, ma una vita altrettanto intricata che ha reso PPP una firma indiscussa del 900.

Pasolini nacque a Bologna il 5 marzo 1922. Gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza li trascorse al seguito del padre che era un ufficiale di fanteria e veniva continuamente trasferito in varie località del Nord Italia, fra cui Parma, Belluno, Conegliano, Cremona, Reggio Emilia per poi essere di ritorno al paese natìo. Qui frequentò l’università, ma nel 1942, a causa della guerra, la famiglia dovette sfollare a Casarsa del Friuli, il paese materno, dove imparò il dialetto friulano e iniziò a comporre testi poetici alternando lingua italiana e dialetto locale. “Poesie a Casarsa”, uscito nel 1942, è stato il testo battesimale con cui Pasolini ha innalzato la poesia a una costante della sua vita e della sua produzione letteraria; nel 1954 seguì, in dialetto friulano, la raccolta poetica “la meglio gioventù”. Negli anni friulani Pasolini si laureò in lettere, si iscrisse al PCI (Partito Comunista Italiano) e andò ad insegnare in una scuola media nei pressi di Casarsa; in seguito ad un processo per omosessualità fu cacciato sia dalla scuola sia dal PCI e, costretto a lasciare il Friuli.

Negli anni ’50 si trasferì con la madre a Roma , qui conobbe l’ambiente del sottoproletariato delle borgate, ispirazione perfetta per ambientare i suoi due romanzi più celebri “ragazzi di vita” del 1955, come esordio nel mondo della narrativa, e “una vita violenta” del 1959.

La poesia, costante della vita di Pasolini, lo ha accompagnato anche negli anni romani con la composizione della raccolta “le ceneri di Gramsci”, i poemetti “la religione del mio tempo” del 1961 e la “Poesia in forma di rosa” del 1964.

Parallelamente entrò nel mondo cinematografico come collaboratore di Fellini e Bolognini. Negli anni 60 divenne regista cinematografico dirigendo il lungometraggio “Accattone” a cui seguirono il “Vangelo secondo Matteo” del 1964, “uccellacci e uccellini” del 1966 e il “Decameron” del 1971.

Tra la fine degli anni ’60 e ’70 si occupò anche di critica letteraria e saggistica, pubblicando nel 1960 “Passione e ideologia” e iniziò nel 1973 la collaborazione al “Corriere della Sera” con la stesura di articoli su questioni sociali e politiche, pubblicati successivamente nei volumi “scritti corsari” del 1975 e negli scritti postumi “lettere luterane” del 1976 in cui affrontò le questioni scottanti dell’Italia contemporanea.

Nell’anno della sua morte Pasolini lavorò al film “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, liberamente ispirato al libro “Le 120 giornate di Sodoma” del Marchese de Sade, trasportando l’azione nell’Italia fascista degli anni ’40, precisamente nella Repubblica di Salò. Questo film per i suoi contenuti estremi fu percepito dalle soglie del potere come uno scandalo perché rappresentava una feroce critica alla società del tempo.

Il 900 è il secolo delle guerre e delle rivoluzioni, è il secolo in cui avviene in Europa la terza “copernicana” con il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, secondo il quale la mente umana è come un iceberg: la parte cosciente è una piccola punta che si erge sopra la superficie del mare, mentre tutta la parte sommersa rappresenta l’inconscio; Pasolini durante gli anni bolognesi dell’Università lesse in copie semi-clandestine (in quanto proibite dal fascismo) “tre contributi sulla teoria sessuale” di Freud, atto fondamentale che ha segnato la sua produzione culturale e la sua vita. Pasolini, con Freud in tasca, si avvicina alla riscrittura di tragedie greche come l’Edipo Re e la Medea, in trasposizione cinematografica tra gli anni 60 e 70.

Segno distintivo di tutta la sua produzione “la nostalgia della vita”, un’ esclusione da essa, che non gli ha mai tolto l’amore per la vita, ma lo ha sempre accresciuto.

Marianastasia Lettieri

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