NOTE CRITICHE SU RELAZIONE TECNICA, ABBATTIMENTI E POTATURE A PARCO MASCAGNA, NAPOLI.

Premessa.
In questi giorni (prima metà dicembre 2023) sono in corso interventi di abbattimento e
taglio (cosiddette “potature”) degli alberi di parco Mascagna a Napoli, giardino pubblico
noto anche come “i giardinetti di via Ruoppolo”.
Tali interventi -per la loro cospicua entità e per le loro modalità- hanno creato allarme e
preoccupazione in gruppi e associazioni di cittadini, i quali hanno chiesto al comune di
Napoli l’accesso agli atti che ne giustificherebbero l’esecuzione. Allarme e preoccupazione
amplificati dal fatto che, a quanto pare, i drastici e numerosi interventi attuali riguardano
solo gli alberi perimetrali del parco; e dunque in prospettiva potranno estendersi in seguito,
con modalità altrettanto distruttive, sugli alberi più interni del parco stesso.
Il comune di Napoli, e più precisamente l’attuale Servizio Gestione e Progettazione Grandi
Parchi Urbani, ha fornito ai richiedenti una relazione tecnica a firma di due funzionari del
Servizio, con allegate 51 schede di valutazione degli alberi in questione a firma di uno dei
due funzionari. La relazione ha per titolo ed argomento “Principali problematiche
fitosanitarie riscontrate nel Parco Mascagna con relative proposte di Intervento”.
Nelle mie NOTE a seguire intendo dare una valutazione critica sulla relazione tecnica
fornita dal Servizio Gestione e Progettazione Grandi Parchi Urbani e sui conseguenti
interventi.

Qualche timida verità troppo sommessamente affermata.
“L’assenza in questi anni di adeguate cure colturali, con interventi di manutenzione saltuari,
spesso erronei,…”.
Questo si legge nell’introduzione della relazione tecnica di cui ci stiamo occupando.
Ebbene, più che di assenza di adeguate cure, bisognerebbe piuttosto parlare di pesanti
interventi di “potatura”, condotti in maniera balorda e vandalica, senza il minimo rispetto
della biologia e della fisiologia delle piante, e nemmeno del loro portamento naturale, nella
più completa ignoranza dell’arboricoltura moderna.
Più avanti la relazione tecnica, riferendosi agli insetti xilofagi e ai danni da essi causati agli
alberi del parco, nota che: “Questi fitofagi generalmente non infestano piante rigogliose, ma
sono attratti da alberi già indeboliti per diverse cause.”
Cosa vera. Anzi, lo xilofago tipicamente presente sui lecci, e più volte rilevato a Napoli
(villa comunale, bosco di Capodimonte) quasi mai attacca piante sane: e si tratta del
Cerambix cerdo, detto cerambice delle querce o capricorno nero. Perché, anche se la
relazione tecnica non identifica gli xilofagi, il principale imputato (o piuttosto il capro
espiatorio) è proprio lui, potendosi agevolmente prescindere da altri xilofagi di minimo
impatto.
Però, con questa premessa, bisogna pur chiedersi come mai siano presenti sui lecci del parco
-in maniera evidente e diffusa- i grossi fori del Cerambix cerdo (o, se proprio si vuole, di
altro eventuale xilofago non identificato).
La causa, anche qui, sono i pesanti interventi di “potatura” a cui sono stati sottoposti i lecci
negli anni, interventi, condotti con tecniche e criteri sbagliati, i quali hanno lasciato larghe
ferite aperte che, per come erano praticate, gli alberi non avevano alcuna possibilità di

compartimentare; ferite che hanno rappresentato l’ingresso agevole per ogni tipo di
patologia, virus, batteri, funghi cariogeni e infine xilofagi. I quali xilofagi, trovando il legno
scoperto e cariato come cibo già “predigerito”, sono stati festosamente “invitati a pranzo”.
Tutte queste timidezze, o piuttosto queste reticenze, da parte dei redattori della perizia
tecnica, sono spiegabili con la volontà di non essere troppo critici contro l’ufficio di
appartenenza, il quale negli anni, con denominazioni diverse (Servizio Giardini, poi
Servizio Verde), ha gestito le sorti di parco Mascagna; ma viene anche il sospetto che,
opportunisticamente, non si voglia rompere il business delle potature, che a Napoli (e non
solo a Napoli!) ha fatto e fa danni enormi al nostro patrimonio vegetale.
Le potature, ma quali potature?
Nella relazione, dopo un accenno ad una non meglio specificata “potatura di risanamento”,
si elencano e si descrivono brevemente, secondo categorie manualistiche burocratiche e
superficiali, la “potatura strutturale”, la “potatura di mantenimento”, la “potatura di
riduzione laterale” e la “rimonda del secco” (unica operazione, quest’ultima, senza
possibilità di equivoci).
Ma poi, in tutte le schede allegate relative agli alberi che NON devono essere abbattuti,
nulla si dice in merito a radici/colletto, fusto, branche e rami, chioma, vigore vegetativo; e
questo fa pensare che all’ispezione le piante si siano rivelate sane e floride. Il giudizio
conclusivo per questi alberi, però, prescrive, perentoriamente ed inopinatamente, potatura di
risanamento e rimonda del secco.
Ora, nulla da dire sulla rimonda del secco, operazione tanto ovvia e giusta da non aver
nemmeno bisogno di essere esplicitamente prescritta. Ma rimane la grossa contraddizione di
una “potatura di risanamento” prescritta per alberi dove non è stato rilevato nulla da
risanare.
Dunque viene il sospetto che questa non meglio specificata “potatura di risanamento” abbia
l’unico scopo di innescare ed incentivare il solito malefico business delle potature inutili,
che sono poi potature vandaliche e dannose, che, anche in questo caso, nessun direttore dei
lavori potrà mai impedire, vista la genericità dell’immotivata prescrizione.
Ora, è ben vero che arboricoltori di livello mondiale sono in grado di fare progetti di
recupero di alberi da potature drastiche e dannose, di recupero da capitozzo, di recupero
della chioma naturale, però si tratta di dettagliati progetti, ad attuazione poliennale, che
nascono da un’approfondita analisi della situazione di partenza, sia statica che vegetativa, e
si basano su un’ottimale conoscenza dell’arboricoltura moderna, dell’architettura della specie
considerata e dell’architettura del singolo individuo arboreo. Insomma, ben altra cosa che
queste “potature di risanamento”…
Le schede.
Alla perizia tecnica sono allegate, come già detto, 51 schede di analisi degli alberi, effettuate
tramite VTA, e cioè tramite pura osservazione visiva, senza alcuna verifica strumentale.
Queste schede sono estremamente succinte e superficiali e in molti casi mancano di dati
(che evidentemente non sono stati ritenuti necessari o significativi).
Più che di 51 schede bisognerebbe però parlare di 2 schede, una per gli alberi da abbattere
(23 alberi) e una per quelli “da potare” (28 alberi). Infatti le schede degli alberi da abbattere
sono praticamente tutte uguali, tranne che per l’indicazione dell’ubicazione dell’albero, fatta
comunque con il semplice generico riferimento alla strada adiacente; e le schede degli alberi
“da potare” sono anch’esse praticamente tutte uguali.

Questo fa pensare ad un’analisi molto superficiale e ad una compilazione delle schede molto
frettolosa e burocratica, fatta giusto per “tenere le carte a posto”. Ma il “copia e incolla”
delle schede ha portato anche ad errori evidenti e a contraddizioni in qualche caso
abbastanza ridicole, che un esame attento delle schede stesse non può non rilevare.
Le schede: gli alberi non da abbattere.
Già ho detto della evidente stranezza presente nelle schede degli alberi non da abbattere,
nelle quali, a fronte della mancanza di qualsiasi dato relativo a radici/colletto, fusto, branche
e rami, chioma, vigore vegetativo, si prescrive una “potatura di risanamento”.
Come dire: è tutto sano e quindi lo dobbiamo risanare. Una logica perversa per sprecare
soldi pubblici in lavori inutili e, come al solito, gravemente dannosi: perché una potatura
inutile è comunque un trauma e un danno per l’albero, anche quando fatta con moderazione,
con i migliori criteri, le migliori tecniche, i migliori accorgimenti; figuriamoci quando è
fatta con la vandalica brutalità che vediamo sempre a Napoli!
Le schede: gli alberi da abbattere.
Le schede degli alberi da abbattere sono, per quanto riguarda l’analisi visiva, praticamente
tutte uguali, se si fa eccezione per due alberi con radici strozzanti e per due alberi morti.
La cosa potrebbe essere anche giustificata da una relativa omogeneità delle patologie
riscontrabili nel parco; senonché alcuni particolari rivelano una compilazione quanto meno
superficiale e frettolosa delle schede. Per esempio, per tutti gli alberi (lecci) viene rilevato
un fusto “inclinato lieve con presenza di agenti xilofagi”, ma la stessa valutazione viene
paradossalmente attribuita anche all’unica mimosa presente nel parco, la cui foto rivela
invece un’inclinazione decisamente notevole. Insomma, si ha l’impressione che il redattore
di queste schede non le abbia nemmeno rilette e riviste prima di timbrarle e firmarle.
Per tutti gli alberi da abbattere vengono rilevati nelle schede la presenza di agenti xilofagi,
disseccamenti a branche, rami e chioma, carie al colletto (e solo occasionalmente carpofori
fungini e radici strozzanti). Ma le foto delle schede documentano abbondantemente i
disseccamenti, molto poco i fori degli xilofagi, per niente le carie al colletto.
In nessun caso si fa una valutazione quantitativa degli inconvenienti riscontrati: cioè non si
dice mai, per esempio, “i disseccamenti riguardano il 30% della chioma”, oppure “la carie
interessa il 70% della sezione del tronco al livello del colletto”.
Questo è molto grave nel momento in cui si decide di abbattere un albero. Infatti gli
inconvenienti di cui sopra possono indurre ad abbattere la pianta solo se rilevati e misurati
in quantità tale da impedire -o per lo meno da sconsigliare- interventi di cura,
consolidamento o miglioramento.
Ma veniamo alle singole patologie rilevate.
Capricorno nero e compagnia.
Gli xilofagi, e tipicamente per i lecci il Cerambix cerdo, non arrivano mai a danneggiare una
sezione resistente di un asse vegetativo (tronco, branca, ramo, ma specialmente gli assi più
grandi) al punto tale da provocarne il cedimento statico; piuttosto, danneggiando e
riducendo la portata dei vasi conduttori, possono provocare il disseccamento di quegli assi
vegetativi che sono serviti dalle linee dei vasi danneggiati; rami disseccati o, nella peggiore
delle ipotesi, branche disseccate, possono essere asportati, con le dovute tecniche e i dovuti
accorgimenti, senza dover abbattere l’albero, di cui bisognerà comunque curare la salute
vegetativa.

Quando a Napoli (2016), in villa comunale, furono abbattuti molti lecci di grandi
dimensioni per la paura che potessero cedere, in quanto danneggiati dagli xilofagi, potei
personalmente constatare, esaminando le sezioni dei tronchi abbattuti, che in nessun caso i
fori degli xilofagi avevano fatto dei danni da pregiudicare, nemmeno minimamente, la
resistenza delle sezioni stesse. Quei poveri lecci erano stati, dunque, ingiustamente
sacrificati sull’altare della paura e dell’ignoranza.
Gli xilofagi maggiori, come il Cerambix per le querce e la Saperda per il pioppo, creano
comunque dei problemi nella gestione delle aree aperte al pubblico, perché gli insetticidi
utilizzati per combatterli sono piuttosto pericolosi anche per gli umani e gli animali, e
dunque non vanno usati nelle aree suddette. Si tratta per lo più di prodotti che vanno
iniettati, spruzzati o vaporizzati all’interno dei fori dei grossi xilofagi, chiudendo poi i fori
con mastice, cera o creta. L’operazione viene eseguita, con i dovuti accorgimenti, da
personale competente, nelle aree – inibite al pubblico- in cui gli alberi vengono coltivati per
legname; e quando i fori sono chiusi, non v’è più pericolo per nessuno.
Ora, se, per motivi diversi e per lungo tempo, si tiene un parco recintato e chiuso al
pubblico, non v’è ragionevole motivo perché personale competente ed attrezzato non possa
intervenire in maniera simile, con tutta sicurezza propria e del pubblico (che non c’è).
Quanto agli xilofagi, comunque, bisogna sempre ribadire che è meglio prevenire che curare.
E la prevenzione, come già detto, consiste nell’evitare potature inutili, e balorde, e
devastanti, e vandaliche.
I funghi cariogeni (funghi lignicoli).
I funghi cariogeni vivono a spese del legno e lo danneggiano perché provocano prima carie
e in seguito cavità. Entrambe le cose riducono la resistenza del legno alle sollecitazioni e
dunque possono porre l’albero in situazione di potenziale pericolo.
I funghi cariogeni possono manifestarsi all’esterno dell’albero tramite i loro carpofori, di
solito i cosiddetti “funghi a mensola”, oppure con zone di legno cariato o cavità. Ma
possono anche non manifestarsi in maniera molto evidente all’esterno, eppure causare
all’interno dell’albero ampie zone cariate o cave.
Alcuni funghi cariogeni parassitano prevalentemente determinate specie arboree.
Alcuni funghi cariogeni sono più o meno aggressivi a seconda della specie su cui agiscono e
delle sue condizioni vegetative.
Molti alberi campano centinaia e centinaia di anni sopportando funghi lignicoli che su di
loro hanno ben poco effetto distruttivo, anzi, stabilendo con essi una sorta di buon equilibrio
naturale.
Per tutte le ragioni di cui sopra non può mai bastare scoprire carpofori di funghi lignicoli o
una non meglio identificata “carie al colletto” per sancire la pericolosità di un albero e
determinarne automaticamente l’abbattimento, così come viene fatto nelle schede della
relazione tecnica di cui ci stiamo occupando.
Innanzi tutto sarebbe bene, ogni volta che ciò è possibile, identificare il fungo (o i funghi),
per avere già un’idea sulla loro potenziale aggressività nei confronti della specie arborea
attaccata. L’identificazione è piuttosto facile se si manifestano i carpofori, meno facile
altrimenti.
Ma, in ogni caso, se si sospetta un danno grave, è assolutamente necessario determinare
l’entità del danno; altrimenti ogni decisione in merito (abbattere, conservare, consolidare,
curare) risulta ingiustificata ed arbitraria.
Con la sola analisi visiva (VTA) ciò è possibile solo in casi di grande evidenza, come ampie

cavità facilmente esplorabili e misurabili.
Ma, in tanti casi una semplice analisi visiva non può bastare e bisogna ricorrere ad analisi
strumentali, che permettano di determinare, nelle sezioni indagate, quanta parte delle sezioni
stesse risulta deteriorata (cariata o cava) e quanta parte è ancora costituita da legno sano e
resistente. Fatto ciò, se rimangono ancora dubbi, si calcola il momento d’inerzia della parte
sana e resistente e lo si paragona al momento d’inerzia che avrebbe la sezione stessa se fosse
tutta sana.
Come si vede, per valutare adeguatamente la propensione al cedimento di un albero sono

necessarie non solo cognizioni adeguate in campo botanico, micologico e agronomico-
forestale, ma anche cognizioni approfondite di statica delle strutture arboree, disciplina che

comprende anche nozioni di statica e di scienza delle costruzioni tipiche di ingegneria e di
architettura.
Conclusioni.
La relazione tecnica di cui ci siamo occupati è per tanti e svariati motivi del tutto inadeguata
a decidere le potature e gli abbattimenti che sono in corso a parco Mascagna.
Più in generale, tranne rari casi di conclamata evidenza e di assoluta emergenza, un tecnico
non dovrebbe mai fare valutazioni che non siano supportate da rilevamenti e misurazioni
precise, nonché da calcoli adeguati, probanti, comunicabili e confrontabili. E questo
specialmente quando dalle sue valutazioni discendono gravi conseguenze, come danni,
abbattimenti, pericolo.
A Napoli, tra coloro che fanno mestieri tecnici, si cita spesso, sarcasticamente, un motto:
Mast’ a uocchio, mast’ a capocchia…
L’uomo è misura di tutte le cose, diceva Protagora, l’antico filosofo. Già, ma se non misura,
che uomo è?

-Cesare G. Pontoni, iscritto all’ordine degli architetti di Napoli col n. 2586
-paesaggista ante litteram
-socio AIAPP (Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio) col n. 98
-conoscitore di arboricoltura moderna

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