Napoli: Teatro San Carlo – la Traviata di Verdi con la Regia di Ozpetek.
Tripudio di applausi al Teatro San Carlo di Napoli per la replica pomeridiana di mercoledì 27 luglio della La Traviata di Giuseppe Verdi, melodramma in tre atti musicato sul libretto di Francesco Maria Piave, ispirato al dramma “La Dame aux camélias” di Alexandre Dumas figlio. L’opera verdiana è stata riproposta nel prestigioso Teatro d’ Opera partenopeo con la regia di Ferzan Ozpetek. Alla guida dell’orchestra e del coro del Teatro San Carlo il direttore Francesco Ivan Ciampa. Scenografie a cura del premio Oscar Dante Ferretti. Protagonisti della serata il soprano sudafricano Pretty Yende nel ruolo di Violetta ,Francesco Demuro nel ruolo di Alfredo Germont e Gabriele Viviani nel ruolo di Giorgio Germont . Dopo il trionfo della Prèmiere il 22 luglio con la presenza in Sala del regista, che con grande spirito di Umanità ha donato trecento biglietti ai giovani nell’incontro al Teatro San Carlo con i membri dell’Orchestra Sinfonica dei Quartieri, un nobile gesto per la lotta contro la dispersione scolastica e l’inclusione sociale. I giovani al centro del progetto, dedicate loro tre serate dal 26 al 28 Luglio Aperitivo e Spettacolo Under30 “Fresco al San Carlo”. L’originale verdiano, in scena il 6 marzo 1853 presso il Teatro la Fenice a Venezia, viene ambientato , lungo la scia di Proust, dal regista Ozpetek nella desertica Parigi nel primo decennio del 900, emblema dell’ornato modus vivendi ottomano giunto per il tramite dei salotti veneziani. Ed è proprio nel Salotto di Violetta il Preludio dell’Opera. Il luogo in sintonia con la protagonista, colta cortigiana che conduce una vita dissoluta, appunto “traviata” che compromette anche la sua salute, specchio di un’epoca che volge verso il ventennio dell’emancipazione femminile ante litteram, che raggiunge l’ acmé durante la Bélle Epoque. Ritmo vorticoso e sensuale avvolge gli ospiti al banchetto durante il primo atto in cui la sala risuona del celebre “ Libiam ne’ lieti calici/ che la bellezza infiora; e la fuggevol ora/ s’inebri a voluttua” un invito imminente al godere delle gioie della vita, perché la giovane età sfiorisce. Questa voluttuosità è prerogativa di Violetta che conosce solo le gioie della carne e mai s’aspetterebbe la sincera dichiarazione d’amore di Alfredo Germont, che si propone come angelo custode della di lei salute compromessa e nella voce del giovane risuona “un dì felice, eterea mi balenaste innante e da quel dì tremante mi balenaste innante” Da donna dissoluta a figura Angelica nell’apollinea visione di un Alfredo innamorato. Per quanto Violetta desideri essere desiderata, colpita da dolci parole sfila dal seno un fiore e chiede ad Alfredo di riportarlo quando esso sarà appassito, cioè l’indomani . Il primo atto si chiude in preda alla frenesia bacchica del coro e l’intima meditazione di Violetta sull’ Amor croce e delizia dell’universo, un saffico omaggio all’amore dolce amaro ispirato all’arcaica melica monodica. Il secondo atto si apre nell’ambientazione bucolica di Parigi, nido d’amore che Violetta e Alfredo condividono da circa tre mesi. Nido violato dall’irruzione del Padre di Alfredo,Giorgio Germont, erede della moralità borghese che disprezza Violetta , perché la relazione scandalosa del figlio con la cortigiana compromette le nozze della “vergine” Germont con un giovane di “ buona famiglia”. La scena si conclude con l’ottocentesco abbraccio convenzionale tra Germont e Violetta in segno d’accordo: lei rinuncia ad Alfredo per il bene che nutre per lui e per i suoi cari e va via dal nido d’amore lasciando ad Alfredo una lettera menzognera. Il sipario nel secondo atto si riapre sul quadro del Salone di Flora Bervoix dove involontariamente Alfredo rincontra Violetta accompagnata dal barone Douphol, suo vecchio protettore; allora Alfredo, ferito dalla Maladie d’amour, chiama a raccolta i convitati e esprime la sua vergogna nel lasciare che una cortigiana abbia dissipato i suoi beni. L’ atto si conclude con Alfredo che getta furente per aria una borsa con delle banconote intonando” Qui or testimoni vi chiamo che pagata io l’ho” Intanto Violetta sviene tra le braccia della padrona del salotto. Intanto per le strade zingare e mattatori inondano di colore le strade della città per il Carnevale, mentre Violetta al limite della sua vita rimugina sulla gioventù sfiorita e il pensier affoga nelle lacrime per il ricordo della dolce e breve vita dell’amor. Affiancata dalla fedele ancella Annina Violetta si strugge sulla lettera in cui Germont la ringrazia per la promessa mantenuta. La vita di Violetta non si spegne se non dopo la riconciliazione con Alfredo e il Perdono di Giorgio Germont. Veste bianca, mani diafane macchiate dai flotti di sangue, fuor di malattia carezza il dolce volto dei suoi cari. “Soffre il mio corpo, ma tranquilla ho l’alma” Violetta placa il tormento corporale con la quiete dell’anima, di chi si è riconciliato con sé stesso e con il mondo. Opera specchio di una società corrotta, che necessita di rinascere dal di dentro con la forza dell’amore, un intramontabile successo che trascende la dimensione spazio – tempo per avere funzione catartica in ogni realtà languida, che può tendere alla luce con lo spirito e la passione del sacrificio.
Marianastasia Lettieri
Immagini fornite dal Teatro San Carlo a cura di Luciano Romano, Riproduzione Riservata