Napoli. “La devozione popolare dall’Umanità del Bambino del presepe al Crocifisso della Sindone” il tema del seminario di sabato 30 novembre 2024 presso il Complesso Monumentale di San Lorenzo Maggiore. Intervista in esclusiva al Direttore del Centro Internazionale di Studi sulla Sindone, prof. Gian Maria Zaccone.

Napoli. Sabato 30 novembre 2024 alle ore 10:00 la Sala Capitolare del Complesso Monumentale San Lorenzo Maggiore accoglierà il seminario dal tema “La devozione popolare dall’Umanità del Bambino del presepe al Crocifisso della Sindone” a cura del Centro Internazionale di Studi sulla Sindone in collaborazione con la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale-Sez. San Luigi. Presenterà l’incontro Padre Domenico Sportiello, parroco di San Lorenzo. Relazioneranno la professoressa Giuliana Albano, condirettrice Scuola di Arte e Teologia PFTIM Sez. San Luigi e il professore Gian Maria Zaccone, Direttore del Centro Internazionale di Studi sulla Sindone. Le conclusioni saranno a cura di S.E. Mons. Gaetano Castello, Vescovo Ausiliario e Vicario generale dell’Arcidiocesi di Napoli. La professoressa Albano, attraverso un percorso iconografico, artistico e teologico, tratterà la devozione all’Umanità di Cristo; a partire dalle rappresentazioni del Presepe, si concentrerà sulla Natività e su come, nella tradizione cristiana, la rappresentazione dell’incarnazione di Dio nel Bambino ha assunto varie forme e si è arricchita di dettagli con il passare dei secoli. Quest’arte si presenta come un invito alla contemplazione per un ritorno all’essenzialità della Fede.

Di seguito l’intervista al professore Gian Maria Zaccone.

Perché avete organizzato questo seminario incentrato sul tema della devozione popolare dall’Umanità del Bambino al Crocifisso della Sindone?

Il tema scelto è strettamente legato al Mistero fondante della Fede cristiana: dalla nascita, dall’incarnazione alla Passione, Morte e Resurrezione. I due estremi sono: un Dio che si incarna, pur sempre restando Dio, in un bambino in una stalla e un Dio incarnato che si annienta durante la Passione, fino ad approdare a una morte terribile per giungere alla gloria della Resurrezione. È stato scelto questo tema sia perché in prossimità del Natale, ma anche in continuità con la mostra sulla Sindone “il Sacro Telo. la Sindone” allestita nel Complesso; pertanto, mi è sembrato bello ricostruire quest’unità della Novella cristiana.

Come mai il Sacro Telo è fonte di ispirazione per artisti di ogni tempo?

Occorre prendere le mosse dalle acheropite (immagini non fatte da mano umana), sulle quali è interessante rileggere gli atti di un convegno che si tenne all’Università di Torino al quale fui invitato a partecipare. Queste immagini, e le sacre immagini più in generale, hanno segnato la storia della devozione da Oriente a Occidente, ma sono state anche alla base di grandi dispute, come la crisi dell’iconoclastia orientale; e di quella un po’ più dimenticata, ma comunque esistita, nella storia occidentale in epoca carolingia. La Sindone si inserisce nel percorso dell’immagine di Cristo in maniera prepotente se si considera che, sin dai tempi più remoti della diffusione del cristianesimo, e con maggior penetrazione dal VI secolo, sono cominciate a circolare immagini del Cristo. Questo è stato possibile solo grazie all’unicità della Rivelazione cristiana, nella quale Dio si incarna e assume una definita forma umana. Nelle religioni pagane esistono tentativi di raffigurazioni antropomorfe della divinità, ma nella religione cristiana c’è un Dio che si fa vero uomo, pur rimanendo Dio. Questa è la grande novità del cristianesimo: Gesù conduce una vita da uomo, lascia il suo messaggio, pronuncia affermazioni e compie una serie di atti che portano a concludere che lui è veramente il Figlio di Dio; dopo tutto questo percorso glorioso si sacrifica per gli uomini di cui ha preso l’abito in uno dei modi più desolati – stoltezza e scandalo come dice san Paolo – pur mantenendo la propria natura divina. Di conseguenza è divenuto anche rappresentabile nel suo aspetto e nella sua unicità di essere umano, così come è unico ognuno di noi. Con un complesso problema relativamente alla sua rappresentabilità: se Cristo è uomo ma inscindibilmente anche Dio, come può l’artista, per sua natura finito, rappresentare l’infinito? La questione trovò una qualche soluzione nell’accettazione delle immagini miracolose, acheropite, note anche nel mondo occidentale.

Il cardinale Schönborn, attuale Arcivescovo di Vienna, scrisse negli anni ’90 un bellissimo libro sulle icone e con grande acribia affermò che a causa di questo problema la discussione sulla liceità del culto delle immagini è stata l’ultima grande questione cristologica dell’Oriente; e in parte anche dell’Occidente se si pensa alla fase carolingia. Anche se la teologia delle immagini in Occidente è per alcuni versi differente da quella orientale non tanto e non solo nella sostanza, quanto nella forma. In Oriente particolare venerazione suscita ancor oggi l’immagine del Mandylion, anche se altre sono le acheropite che la storia ricorda. In Occidente la per molti versi speculare si afferma l’immagine della Veronica di Roma che per secoli è stata un punto di riferimento per il ruolo che essa ha avuto nella devozione .La Sindone a sua volta rappresenta un punto d’arrivo della rappresentazione di Cristo, che non può più essere superato perché è di una completezza, di un fascino tale che ha raccolto in sé tutta questa ricerca del Volto di Dio che connota un po’ tutta la storia delle religioni, a partire da quella dei fratelli maggiori ebrei con il Canto del Salmo 26 “Di te ha detto il mio cuore: «Cercate il suo volto»; il tuo volto, Signore, io cerco”. Ogni artista da quando è comparsa la Sindone non può fare più a meno di confrontarsi con questa immagine così coinvolgente e sconvolgente.

Venendo al seminario di cui sarà relatore, che cos’è che unisce le fasce del Bambino nella mangiatoia al lino della Sindone?

Nella Chiesa Medievale i momenti dell’infanzia e della Passione sono strettamente uniti in un recupero teologico ma anche affettivo della realtà dell’incarnazione. Si pensi a San Francesco, uomo di profonda amorevole spiritualità, devoto non solo della Passione di Cristo, ma anche grande cultore del Bambino Gesù. Per il Santo d’Assisi non c’era iato tra la sua costante meditazione sulla Passione, le stimmate e la tenera devozione verso il fatto di Betlemme, come dimostra il momento della ricostruzione del Mistero dell’incarnazione a Greccio. Ma non solo lui: penso a san Bernardo, san Pier Damiani, sant’Anselmo, Aelredo di Rierlvaux, santa Chiara, sant’Antonio di Padova solo per citarne alcuni Per tornare al titolo del seminario, vediamo ad esempio che nelle rappresentazioni orientali della Natività il Bambino è strettamente avvolto in fasce, così come racconta Luca, allo stesso modo con cui sempre Luca ci dice che Gesù sarà avvolto nella Sindone. Due citazioni di tessuti, dunque, all’inizio e alla fine. Diventa quindi interessante recuperare il senso religioso dei tessuti perché non solo nella religione ebraica e cristiana, ma anche in tutte le altre ad esempio quella egizia, i tessuti hanno da sempre rivestito un’importanza notevolissima; pertanto, ho pensato di unire i due momenti dell’incarnazione e della morte di Gesù nel segno del tessuto. Nella devozione, nella Pietà della Chiesa, e poi, nella pietà popolare vari sono i luoghi in cui sono conservati dei frammenti di tessuto, che vengono definiti come le fasce di Gesù Bambino. Il seminario li ricorderà, insieme alle tante altre citazioni di tessuti nel NT, per offrire soprattutto uno spunto di riflessione che potrà forse portare a un successivo approfondimento.

Partendo dall’analisi delle icone orientali di Gesù Bambino qual è la grande novità del cristianesimo?

Se si guardano attentamente molte icone orientali ,come già ho detto, si può notare che il Bambin Gesù è in fasce come sarà per il cadavere, adagiato in una mangiatoia e in una grotta che si presentano come una anticipazione della grotta che servirà da sepolcro al corpo martoriato illustrato dalla Sindone . Nella religiosità “dell’epoca moderna”, in Occidente, comunemente dopo il Concilio di Trento troviamo raffigurazioni di Gesù Bambino con la croce sulle spalle, o addirittura disteso sulla croce, anche se sereno, perché è tutta un’unica narrazione dalla nascita alla morte del Figlio di Dio. D’altra parte tale è il destino dell’uomo. Come scriveva Heidegger in “Der Mensch ist zum Tode”: «L’uomo è la sua morte, se la porta dietro dalla nascita, comincia a morire dal giorno in cui nasce, come ci insegna la filosofia […]» La vita terrena di Cristo tutto è un percorso verso questa morte ingloriosa, al compimento del sacrificio del Figlio per la salvezza degli uomini, cui segue però – e qui sta il rivoluzionario messaggio – la sconfitta stessa e definitiva della morte e l’apertura per gli uomini della vita eterna di cui Lui è primizia.

A proposito di devozione popolare, mi rivolgo, in tale circostanza, a lei in quanto storico: « La Fede può essere sostenuta da questa Immagine impressa nel lino?»

Si, può essere un aiuto. Ma certamente non il fondamento. La Sindone è un segno, che ci può aiutare con i nostri sensi a entrare sempre più profondamente nella meditazione del mistero della salvezza Ma non c’è dubbio che è e rimane sostanzialmente un’immagine e il fatto di essere un’immagine ne ha favorito il messaggio, e, in certi momenti della storia, soprattutto all’inizio della sua comparsa, l’ha salvata da censure verso un oggetto così particolare. Ricordiamo sempre che essa non è il Vangelo: come l’ha definita san Giovanni Paolo II può essere il suo specchio, qualcosa in cui si riflette la verità che va ricercata dove ella sta: nella Buona Novella.

Ma perché attira così tanto questo Sacro Telo?

Come ho appena detto san Giovanni Paolo II la definì “Specchio del Vangelo”. Chiunque, credente o non credente, abbia letto o sentito parlare della Passione e Morte di Gesù Cristo, davanti alla Sindone non può che ritrovare una drammatica illustrazione della narrazione evangelica. Indipendentemente dalle proprie convinzioni circa la sua origine e reale appartenenza al corredo funerario di Cristo, basate sulle ricerche scientifiche, nella Sindone ognuno può trovare un sostegno alla propria meditazione. Occorre però ricordare la dottrina della Chiesa ancor oggi vigente che si rifà a quanto stabilito nel Secondo Concilio di Nicea quando si iniziò a risolvere la questione iconoclasta e fu sancito che il credente, nel momento in cui si accosta a un’immagine sacra come pure a una reliquia, deve rivolgere la devozione – quella che i Greci chiamavano “proskúnesis” (la venerazione, l’onore) – non all’immagine, ma a Colui al quale l’immagine, la reliquia rimandano. La venerazione non si deve alla rappresentazione, ma al rappresentato. La Provvidenza mette sulla strada degli uomini (fatti di corpo e sensi) tutti questi strumenti affinché possano essere d’aiuto per giungere alla meditazione di Colui al quale essi rimandano.

Perché la devozione popolare ha sempre bisogno di aggrapparsi a qualcosa di tangibile per poter credere?

Dal momento che Dio ha dotato gli uomini, non essendo puri spiriti, di cinque sensi, perché non utilizzarli!

A proposito di allestimenti e paramenti liturgici, particolarmente in vista ogni qual volta si entra in Chiesa, da dove proviene e cosa comporta questa centralità del tessuto?

Il tessuto da sempre nella storia non solo religiosa indica il ruolo, la figura, la sacralità del luogo e di chi li indossa, la sua autorevolezza. Si pensi già a partire dall’Antico Testamento, agli abiti che contraddistinguevano i sommi sacerdoti. Il tessuto è da sempre la forma del velare e dello svelare. Benedetto XVI ricordò che indossare abiti pontificali particolarmente ampi e importanti riportava ad un preciso ruolo che essi hanno sempre avuto nella Chiesa: da un lato trasmettere la sacralità del ruolo e dall’altra “velare” la singolarità della persona che li indossa; la figura umana del Papa come quella del sacerdote deve sparire, deve rimanere il ruolo. Torna in mente quanto si racconta di don Bosco che invitava i suoi giovani non a dire “viva un certo papa”, ma “viva il papa”, successore di Pietro. Nelle Chiese la ricchezza dell’abito e dei paramenti denota sia il ruolo, ma anche il rispetto e aiuta i credenti a capire che in quel momento nella Chiesa si sta svolgendo il Mistero immenso nell’adorazione del Re dei Re, il nostro Dio, realmente presente nell’Eucarestia. Ripeto, Dio ha dotato l’uomo di cinque sensi: la Chiesa ha sempre prestato attenzione a che l’uomo nella sua completezza partecipi alla vita di fede. Si può davvero dire che nella Chiesa si è da sempre sviluppato un vero e profondo umanesimo.

Qual è il suo rapporto con la Sindone?

Il mio rapporto con la Sindone è iniziato più di quarant’anni fa, mi ha aiutato a maturare e approfondire tanti studi, tra cui aspetti di Storia della Pietà; ma soprattutto mi ha aiutato a capire che la Provvidenza ci lascia una serie di segni che dobbiamo saper cogliere. La Sindone è un segno importante lasciato dalla Provvidenza sulla nostra strada, indipendentemente da quella che sia la sua origine. Per cogliere il segno che lascia la Sindone, non basta solo andare davanti ad essa, ma capire, attraverso quell’Immagine impressa nel Sacro Telo, la profondità dell’Amore di Dio per gli uomini. Per entrare nel discorso del Giubileo la Sindone è l’immagine dell’Amore più profondo, ma anche di Speranza. Sicuramente la Sindone è l’immagine di un cadavere, di un uomo che è morto come Gesù Cristo, ma lì il cadavere non c’è più. È un lenzuolo vuoto è sparito ciò che conteneva. Il Sepolcro vuoto e i teli che vede Giovanni sono segno che qualcosa di straordinario è avvenuto e lo si può comprendere solo alla luce della Fede.

Lei è uno storico, pertanto il suo “modus operandi” si basa perlopiù su fonti e testimonianze. Se per i Santi abbiamo a disposizione le reliquie, i tessuti a contatto con i corpi; il Lenzuolo, anche in assenza di un corpo, può essere considerato una vera e propria reliquia?

Come diceva Giovanni Paolo II, una reliquia nel senso tecnico del termine lo è sicuramente -in effetti “reliquia” è ciò che resta di qualche cosa-perché è un lenzuolo che contiene un’immagine e delle tracce ematiche. Se quello poi è il lenzuolo evangelico che dunque racchiude veramente l’immagine del Cristo storico è un discorso molto più complicato, critico; ma in ogni caso di fronte alla Sindone Colui che si deve adorare è Cristo, il suo Amore estremo testimoniato nella sua Passione. Volendo citare un episodio attribuito alla vita di Papa Sisto V, e ricordato anche in un celebre sonetto del Belli, si dice che dinanzi a un a un crocifisso che si riteneva trasudasse sangue, dopo un momento di meditazione lo elevò poi lo spezzo sul ginocchio, proclamando: «Come Cristo ti adoro, come legno ti spezzo!», proprio per evitare quello che da sempre è stato il timore di sbagliare l’obbiettivo. La Sindone porta in sé un messaggio straordinario che ognuno deve saper cogliere, come diceva quel grande maestro di Mons. Ghiberti: “se domandiamo alla Sindone: “sei tu il telo che ha avvolto il corpo di Gesù deposto dalla croce?” la Sindone risponde:” Io lo so, ma non te lo dico perché tu non ti lasci tentare a guardare me, ma solo Lui…”.

Dal momento che questo Sacro Telo ha superato più di qualche incendio, lo si può considerare un segno della Provvidenza?

Almeno due incendi certi: quello del 1532 e quello del 1997. Nel primo è stata anche danneggiata dal fuoco ed è chiaro che per la cultura e per la mentalità cinquecentesca il fatto di essere stata toccata e non distrutta dal fuoco era testimonianza della sua sacralità.

Con questa immagine del telo toccato dal fuoco che non consuma, mi sovviene in mente la scena presente nell’AT del “roveto che arde e non consuma” descritta nell’Esodo. Cos’è questo fuoco che non consuma?

Attraverso queste due scene si può mettere ben in evidenza la differenza di un Dio incarnato e del Dio dell’AT, in cui il Dio si manifesta nel vento, nel roveto, nel fuoco, ma non si vede. Il Dio del NT si presenta come un uomo con cui altri uomini hanno chiacchierato, mangiato, condiviso gioie e fatiche. Un uomo come noi, che ha condiviso in tutto la nostra natura umana anche quella caratteristica della vita che sono il dolore e la morte, che ben conosce il patire, ma che ha aperto le porte della speranza in un fuoco d’amore che non si consuma, che è anche il tema di questo giubileo.

Marianastasia Lettieri