Manlio Sgalambro, un filosofo della crisi dell’Occidente? Non solo. Un pensiero tra macerie e rovine. Un comitato del Mic
Pierfranco Bruni*
Perché celebrare Manlio Sgalambro in un tempo di macerie e di “morte del sole”? Me lo chiedo spesso. Non ho risposte ma pensieri vaganti. C’è da dire comunque che Manlio Sgalambro è un filosofo che nasce dentro la poesia. In quella greca ma anche medievale sicula. Non bisogna trascurato questo particolare e “piccolo” elemento. Il superamento di Epicuro lo avvicina a Eraclito. Ma in mezzo c’è il suo Gorgia viandante popolare che lascia però la caverna. Socratico? Non direi. Platonico non so. Aristotelico forse ma a puntate alterne.
Sgalambro sostanzialmente in un certo contesto è la sintesi di un legame che vuole l’empatia con la poesia ma anche la contraddizione. Abita per formazione la contraddizione ma il suo viaggio è dentro il concetto di tempo diviso tra Plotino e Agostino. È certo che il Paolo di Tarso lo aveva posto in crisi. Si avvicina così a Spinoza a Leibniz e in parte a Cartesio nella implosione tra il sono e l’essere. Però il suo pensare si imbatta con Vico.
Qui arriva il cortocircuito. Come molti filosofi. Si pensi a Gentile. È certo che non è un filosofo dentro la fenomenologia. Il paradosso che crea è con il superato ma sempre presente Kant. Certo che Hegel almeno nella prima stagione e secondo tempo è distante. Poi saranno Schopenhauer e Nietzsche che domineranno sino a Cioran
Da non dimenticare che è un disistematico pur restando in quegli studi del tragico e anche pensieri orientali di Schopenhauer. Non bisogna neppure dimenticare che la musica per Sgalambro è Wagner perché è Nietzsche oltre la sua passione per Schopenhauer. Il mondo tedesco infatti è dentro Sgalambro. La filosofia è greca e tedesca. Pur non facendo mai una distinzione tra leggera e pesante. Nei suoi saggi sulla musica lo dice chiaramente tanto che crea una teoria della canzone.
Qui, nel suo ricercare nella cultura tedesca, che incontra Battiato e con lui tutto un modello che è nella civiltà persiana. La poesia e la gestualità dei dervishi è una magia alchemica. Ha lavorato moltissimo in questo campo. Con Battiato ha trovato l’espressività. La parola che è musica è diventata immaginario attraverso le note. Però intreccia canzone popolare e canzone sommersa. In Sgalambro non c’è solo Battiato ma anche Franco Califano. Certo, La cura è il testo che ha dato una certa notorietà. Ci sono entrambi. Battiato con l’esplosione di un tono barocco e Sgalambro con la raffinatezza ed eleganza del linguaggio. Ci dimostra sostanzialmente come è mutata la cultura filosofica.
Un filosofo che apre la filosofia alla comparazione. È un percorso affascinante ma che deve farci riflettere attentamente su come cambiano anche i modelli filosofici. Dico filosofico. Non della storia della filosofia. Sono due aspetti completamente diversi. Sgalambro da filosofo è anche letteratura e antropologia. Ecco perché il suo interesse per la musica è nel nostro tempo focale anche se non unico.
Credo, nonostante tutto, che dalle macerie e dalla rivolta che ha posto al centro Sgalambro l’idea dell’uomo ha la necessità di praticare il modello del labirinto. D’altronde un altro studioso che si inserisce nel quadro sgalambriano è Guido Ceronetti. Tempi moderni. Comunque Sgalambro non ha mai dimenticato Leopardi. Il venditore di Almanacchi resta nella sua vita.
Questo nostro tempo pessimo riuscirà a superare la siepe? L’uomo comunque vive nelle macerie. L’idea è un pensiero ancora in fieri. Ma il pensiero forse è anche oltre l’idea? Probabilmente sì. Sgalambro è pensiero nella crisi e nella rivolta. Proprio per questo è nato un Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita del ministero della Cultura.
*Presidente Comitato Nazionale del Mic
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