GRUMO NEVANO. Faida nella maggioranza. Grumo non merita questo. Che tutti i consiglieri si assumano le proprie responsabilità.

GRUMO NEVANO. Non c’è pace nel Palazzo. L’amministrazione guidata da Rino Maisto, eletta solo a maggio scorso, vacilla. La faida interna rischia di travolgere l’ennesimo governo cittadino. La città è preoccupata. Non è possibile che da oltre 15 anni non si riesca a trovare un sindaco al quale venga data la possibilità di portare a termine il mandato. L’amministrazione Maisto ha manifestato subito i suoi difetti, non certo per colpa del primo cittadino. Costretto a mantenere gli equilibri pur di poter affrontare i problemi che attanagliano la città. Ai grumesi non importa chi sia il sindaco, non interessa di colore sia la maggioranza, ma chiedono di poter avere un’amministrazione che governi per l’intero mandato e risolva i problemi della città. Una volta eletto un primo cittadino, questi è il sindaco di tutti, anche della minoranza, forse non… della stessa maggioranza. Una considerazione nata alla luce di quanto sta avvenendo al Comune in questi giorni. Anche se gli attenti osservatori della “cosa politica” avevano intuito da subito che la “fusione a freddo” della coalizione che ha vinto le comunali di maggio, presentava diversi punti deboli. Lo si era capito subito con l’elezione del presidente del consiglio, non votato dai 3 di Idea Civica. E la conferma era arrivata con il voto sul bilancio. Differito ed approvato anche da Idea Civica dopo alcune minimali osservazioni. Poi è arrivata la doccia gelata delle dimissioniirrevocabili” del vicesindaco, Angelo Campanile, indicato proprio da gruppo di Idea Civica. Chi non crede nella faida, basti che vada a leggere gli atti al protocollo. 3 interpellanze che, se presentate dalla minoranza avrebbero pure un senso. Se invece a sottoscriverle sono consiglieri di maggioranza, è chiaro che c’è qualche cosa che non va. Si vocifera che per andare avanti è necessario che il San Giovanni Battista di turno sia il responsabile del settore finanziario. Infatti, le interpellanze che riportiamo in calce a queste considerazioni lo testimoniano. Alle quali è arrivata una risposta da parte delle parti interessate (anche questa la si può leggere in appendice). Ai grumesi non interessano le beghe di palazzo, ma che il Palazzo sia operativo e risolva i problemi. I grumesi non vogliono un’altra gestione commissariale. Lo scollamento tra il Palazzo e la città è sempre più evidente, la distanza si allunga. Sempre meno cittadini si recano alle urne (ed è un errore!). Si faccia chiarezza sui veri motivi che stanno provocando questa lacerazione. Lo chiede Grumo Nevano. Che non vuole tornare di nuovo al voto.

LA REPLICA: La Corte Costituzionale con la sentenza n. 81 del 3 maggio 2013 [1] ricorda che il principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo, spettanti agli organi di governo, e funzioni di gestione amministrativa, proprie dei dirigenti, è stato introdotto dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e poi «accentuato» dal legislatore, «proprio per porre i dirigenti (generali) “in condizione di svolgere le loro funzioni nel rispetto dei principî d’imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione”» (sentenza n. 104 del 2007).
Con riferimento alla dirigenza amministrativa, la giurisprudenza costituzionale ha affermato più volte che una «netta e chiara separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie» (sentenza n. 161 del 2008) costituisce una condizione «necessaria per garantire il rispetto dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa» (sentenza n. 304 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 390 del 2008, n. 104 e n. 103 del 2007). Al principio di imparzialità sancito dall’art. 97 Cost. si accompagna, come «natural[e] corollari[o]», la separazione «tra politica e amministrazione, tra l’azione del “governo” – che, nelle democrazie parlamentari, è normalmente legata agli interessi di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza – e l’azione dell’“amministrazione” – che, nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata invece ad agire senza distinzione di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall’ordinamento» (sentenza n. 453 del 1990).
La separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo e funzioni di gestione amministrativa, quindi, costituisce un principio di carattere generale, che trova il suo fondamento nell’art. 97 Cost.
La separazione tra attività di governo e attività gestionale si basa sul principio ormai consolidato di distinzione che trova fondamento nella Costituzione, come più volte affermato dalla Corte costituzionale, la quale ha ripetutamente ribadito che l’individuazione dell’esatta linea di demarcazione tra gli atti da ricondurre alle funzioni dell’organo politico e quelli di competenza della dirigenza amministrativa spetta al legislatore e che tale “potere incontra un limite nello stesso art. 97 Cost.: nell’identificare gli atti di indirizzo politico amministrativo e quelli a carattere gestionale, il legislatore non può compiere scelte che, contrastando in modo irragionevole con il principio di separazione tra politica e amministrazione, ledano l’imparzialità della pubblica amministrazione” (C. cost., sentenza n. 81 del 2013).
Tale principio è stato recepito nel D.LGS. n. 165/2001 nella sua versione originaria e nei ripetuti interventi riformatori; ai dirigenti viene riconosciuta una autonoma legittimazione ed una diretta responsabilità per la gestione che investe in pieno la gestione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Agli organi di governo spetta adottare esclusivamente atti di indirizzo e di controllo politico-amministrativo che in ogni caso non posso mai sconfinare in atti che esprimano decisioni di natura gestionale e operativa.
La giurisprudenza della Corte costituzione ha avuto modo di precisare che l’individuazione dell’esatta linea di demarcazione tra gli atti da ricondurre alle funzioni dell’organo politico e quelli di competenza della dirigenza amministrativa spetta al legislatore che deve esercitarla nei limiti sopra indicati.
Il d.lgs. n. 267/2000 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” (TUEL), stabilisce all’art. 107, comma 2, che sono attribuiti ai dirigenti “tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’Ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale“. Il legislatore ha inteso quindi valorizzare il principio di separazione tra attività d’indirizzo e di controllo, di competenza degli organi politici, ed attività di gestione, di competenza dei dirigenti degli uffici.
Sui principi di separazione interviene anche il TUEL, il quale individua gli organi di governo nel Consiglio, nella Giunta e nel Sindaco (art. 36), stabilisce che il Consiglio comunale è “l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo” (art. 42), specifica che la Giunta comunale è l’organo che “collabora con il sindaco”, nel governo dell’ente (art. 48) precisando che essa compie “tutti gli atti rientranti ai sensi dell’art. 107, commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo, che non siano riservati dalla legge al consiglio, che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco …; collabora con il sindaco … nell’attuazione degli indirizzi generali del consiglio; riferisce annualmente al consiglio sulla propria attività; svolge attività propositive e di impulso nei confronti dello stesso” e adotta i “regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio” (art. 48).
Al Consiglio comunale e provinciale spetta l’adozione dello Statuto e, in linea generale, dei regolamenti con l’eccezione del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi che spetta, invece, alla Giunta sulla base dei gli indirizzi forniti dal Consiglio.
Alla Giunta comunale e provinciale spetta l’adozione degli atti di macro-organizzazione in materia di fabbisogno di personale e articolazione organizzativa nonché gli atti di programmazione finalizzati alla definizione dei programmi da realizzare e degli obiettivi che realizzano le priorità politiche dell’amministrazione.
Nello specifico dell’attività affidata, si precisa che la sentenza della Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per il Trentino-Alto Adige, sentenza n. 97 del 30/8/2021, ha evidenziato che deve rilevare la prova della presenza di personale interno adeguato (quanto a professionalità) e disponibile per lo svolgimento delle mansioni oggetto dell’incarico esternalizzato (in relazione alle mansioni già espletate presso l’amministrazione, all’articolazione dell’orario di lavoro, al carico di lavoro del servizio di appartenenza e ad ogni altro elemento rilevante).
Tali circostanze devono essere accertate caso per caso, in base al quadro probatorio risultante dalle documentazioni di entrambe le parti, con riferimento:
• alla specificità delle indicazioni sul personale interno;
• al contenuto dell’incarico, in quanto una più elevata specializzazione delle mansioni oggetto di incarico restringe l’ambito del personale “adeguato” a svolgerle ai soli dipendenti in possesso delle necessarie professionalità;
• alla peculiare situazione dell’organizzazione dell’ente interessato, considerando le sue dimensioni anagrafiche, operative e ogni altro documentato elemento che possa incidere sulla concreta disponibilità del personale interno.
Nel caso di affidamento di incarichi a soggetti esterni, occorre provare, secondo i giudici contabili non tanto una difficoltà oggettiva della particolare prestazione lavorativa quanto la presenza in servizio di qualificate professionalità interne, astrattamente idonee ad espletare l’incarico stesso, la disponibilità in concreto di tali professionalità alla esecuzione dell’incarico nonché la mancanza di complessità nella materia da esaminare, in ipotesi di incarico di consulenza.
La semplice e concreta mancata configurazione di uno degli elementi sopra descritti giustifica, quindi, il conferimento di incarichi a soggetto esterno all’amministrazione.
In tal senso l’ente ha croniche carenze di personale, l’ufficio ragioneria ha solo dipendenti di categoria B, a 23 ore, mentre l’ufficio tributi ha un dipendente di categoria C, due dipendenti di categoria B a 23 ore ed un dipendente di categoria A per 18 ore.
Risulta evidente “strictu oculi” l’assenza di personale in possesso di competenze sulla materia del bilancio consolidato, ed è evidente che il carico di lavoro dell’attuale personale rende impossibile lo svolgimento di tale attività internamente.
Sul punto rileva che dei funzionari presenti nella dotazione organica, il responsabile del settore finanziario, di fatto svolge tutte le funzioni dell’area amministrativa e contabile, mentre il responsabile del 1 settore non è in possesso del diploma di laurea né dell’esperienza nel settore, provenendo dalla polizia municipale.
La materia del bilancio consolidato ha carattere più privatistico che pubblico e necessità di conoscenza e competenza specifica, il dipendente indicato, istruttore amministrativo, categoria C, in possesso di diploma di laurea in economia, ha competenze sui tributi ma non si è mai interessato del Bilancio Consolidato, nemmeno quando ha svolto per qualche mese il ruolo di responsabile del servizio finanziario, avendo nel periodo utilizzato un supporto al RUP e avendo affidato durante il suo mandato ad un consulente esterno la predisposizione del bilancio stabilmente riequilibrato.
Inoltre l’ente si è visto condannato in un giudizio a causa del rifiuto del godimento delle ferie da parte del dipendente in questione creando un danno economico all’ente.
A tal fine si ricorda che esiste il divieto generale di corresponsione di indennità sostitutive delle ferie non godute, posto dall’art. 5 comma 8 del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135), per cui “le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, … sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile”.

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