Dibattere, confrontarsi ed anche scontrarsi su un tema, su un punto di vista, al fine di raggiungere la linea mediana, una sorta di “agreement”, che metta fine alla raffica di parole e di argomenti in favore di una tesi o della sua antitesi.

Ecco il “debate”, una metodologia didattica, di radice anglosassone, che pone di fronte due squadre in una sorta di certamen, che premierà i migliori. Questa la frontiera del nuovo dibattito dei licei italiani, che affilano le armi del pensiero e della lingua per guadagnarsi il podio delle Olimpiadi.
Ma è davvero questa una nuova metodologia, una delle “avantgarde” nell’universo della pedagogia e della didattica? O, invece, è un retaggio di un passato remoto o prossimo?
Scandagliando nella memoria le immagini dei tempi che furono, non si può non rammentare quanto importante sia stata l’arte della dialettica e del pensiero dicotomico, dove ad un dato aspetto si fa diventare subito l’opposto suo dirimpettaio, per sviscerarne i pro ed i contro, fino a far confluire su una posizione comune le parti migliori di entrambi.
L’ ars oratoria latina, di Cicerone ad esempio, oppure i dialoghi di Platone sono esempi antichissimi di quanto sia importante costruire i rapporti di causa-effetto, affinare le strategie di public speaking e sostenere le proprie idee.
Non è forse vero che Aristotele considera la dialettica quella tecnica che permette di sostenere vittoriosamente una discussione con un avversario? In altre parole, si supera l’avversario quando se ne confutano le idee e le argomentazioni a sostegno della sua posizione.
Ebbene, allora, ecco che l’antico confronto dialettico aristotelico assume le vesti del moderno debate dei tornei del liceo italiano.

Simone Crispino