Caffè letterario FEMMINILE come donna, FEMMINILE come métis

Di Barbara Gagliardi

Dopo il successo dell’incontro culturale del 19 gennaio 2024, “Ulisse – follia è coraggio. Un mare di possibilità”, la biblioteca comunale delle “Generazioni Future” è ritornata ad essere la cornice perfetta di un altro momento di condivisione di studi e riflessioni tra me, i miei alunni e i miei prestigiosi ospiti. Il 17 maggio 2024, per il caffè letterario “FEMMINILE come donna, FEMMINILE come métis”, nel rispetto di quella che ormai è una tradizione, ha condotto il dibattito, Giulio Riga, circondato da sole donne: Paola Morano, un volto noto della città, conosciuta e amata, ma, soprattutto, apprezzata guida turistica, esperta della storia mitologica, leggendaria e artistica della nostra Calabria e di tutto il territorio nazionale e, al suo fianco, altre due donne, madre e figlia, Gisella Florio e Francesca Nigro, impegnate in uno straordinario confronto generazionale a conclusione di un percorso sulla letteratura della storia della donna, dal mito ai diritti conquistati. La donna, infatti, è stata il tema centrale e la protagonista assoluta di ogni intervento che, nel luogo conciliante e suggestivo della biblioteca rendese, ha intenzionalmente cercato e ricreato, per la seconda volta, il contesto dei salotti letterari, quei luoghi in cui intellettuali, artisti e scrittori si riunivano per discutere su varie tematiche, ma, anche per sviluppare nuove idee e per accrescere le conoscenze proprie e altrui. La scelta del mese di maggio non è assolutamente casuale: maggio è il mese della mamma; in un sentire cattolico è il mese della Madonna ed è un mese che profuma di donna fin dalla notte dei tempi. Nell’antica Grecia, a maggio, si tenevano le feste in onore di Era, la madre di tutti gli dei, ed anche nella tradizione latina, a maggio, si celebravano i floralia, le feste per la rifioritura, un momento strettamente legato alla figura della donna e alla sua forza di rinascere da se stessa quando attraversa le stagioni della vita. La parola “donna” è stata associata, nel genere e non solo, alla parola métis. Métis è una parola greca che si riferisce all’intelligenza pratica, alla capacità di risolvere gli imprevisti, ma anche di eluderli o raggirarli. La métis è l’altra metà di quell’intelligenza che, i Greci antichi, chiamano lògos, l’abilità di acquisire nozioni, eseguire analisi, fare ipotesi o congetture: in una parola, l’intelligenza astratta, la razionalità. Metis e logòs devono trovare un adeguato equilibrio tra il pensiero e l’azione che, ad esso, segue. Nel precedente caffè letterario, abbiamo individuato nella parola “follia” la stessa radice di “nefalia”, il miele servito in purezza che produce e regala resistenza, ma anche ebrezza; da qui la follia come spinta più ancestrale dell’entusiasmo, come capacità di spingersi oltre, ma, per andare oltre, occorre la métis. Si parla sempre di métis maschile; eppure, le donne, fin dal mito, incarnano esempi estremamente forti e significativi di métis. Per dimostrarlo, siamo partiti dai poemi omerici e dal più antico di essi, dall’Iliade e da quella donna che abbiamo considerato un modello di anti-métis: Elena. Elena è una donna che ha sempre subito. Nel palazzo del re di Sparta, Tindaro, che la cresce come un padre amorevole, senza farle mancare mai nulla, si sussurra che, quella bellissima bimba bionda, fosse nata dall’incontro di Leda con Zeus, il quale Zeus, sotto forma di un maestoso cigno bianco avrebbe generato la più bella delle donne privandola addirittura dell’atto di essere partorita: Elena nasce da un uovo simbolo di fertilità, completezza e perfezione. Elena subisce il suo destino senza mai parlarne; cresce schiva, insicura finché non vive, in tenerissima età, un’agghiacciante violenza ad opera di Teseo: la testimonianza più antica dell’atroce misfatto è dipinta su un vaso attico, conservato, oggi, nel British Museum di Londra, risalente al VI secolo a.C. L’episodio è citato anche da Isocrate nell’ “Encomio di Elena”, opera risalente al V sec. a.C., in cui si narra della spedizione ad Atene di Castore e Polluce, i suoi fratelli, per liberare la fanciulla dopo un’estenuante battaglia: Elena ha bisogno sempre di un uomo che la salvi; anche quando fugge con il principe troiano Paride e si scatena la lunga e sanguinosa guerra di Troia, durata dieci anni, è il marito che la riporta a Sparta e le concede il perdono. Da una donna che subisce per tutta la vita, nell’Odissea, si racconta di una donna ribelle e coraggiosa, attuale e progressista, che fa dell’amore l’unica ragione del suo agire: Circe. Circe è figlia del Titano Elios, che dopo la sconfitta subita dagli dell’Olimpo, si ritira in un maestoso palazzo negli abissi del mare Egeo. Si circonda di una corte prestigiosa per dimostrare che, i Titani, anche in esilio, vivono nello sfarzo. Con Elios vivono tante figure mitiche di acqua salata e dolce; guardiane dei fiumi e degli specchi d’acqua ed uno di queste è la madre di Circe. Circe, infatti, è una ninfa d’acqua dolce, ma è abilissima a nuotare anche nel mare e a sfioro delle acque salate. La sua generosità la porta ad aiutare il Titano Prometeo, condannato per aver regalato, agli uomini, il fuoco, principio e motore di ogni forma di progresso. La pena è atroce: legato ad una roccia è martoriato da un rapace che divora il suo fegato che si rigenera per intero ogni giorno. Circe cerca di alleviare questa pena portando del cibo a Prometeo, ma, poi, confessa il misfatto e il padre la manda in esilio nella mitica isola di Eea. E’ sola Circe e, nei primi anni di esilio, subisce numerose violenze dai naviganti che approdano sull’isola, ma Circe reagisce; si mette a studiare e affronta una prodigiosa attività di ricerca per regolare gli equilibri della fauna e della flora del suo regno a vantaggio della stabilità del governo assolutistico di cui è a capo. Se pur nella leggenda, si è affermata come una delle menti più universali, innovative e prolifiche; uno degli esempi più insigni e geniali delle capacità di mètis di una donna. Impara a realizzare i φάρμακα (fàrmaca), grazie ai quali, riesce a curare, ma anche a compiere vere e proprie mutazioni genetiche; metamorfosi sugli uomini per arginare e eliminare le violenze subite. Circe diventa madre di Telegono, il figlio illegittimo di Ulisse; lo cresce da sola e quando Penelope e suo figlio Telemaco si recano a chieder conto dell’anno che Ulisse ha trascorso con lei e della voce secondo cui, dal loro incontro, sarebbe nato un figlio, Circe, grazie alla sua mètis tranquillizza Penelope, la dispensa dalla sua terra e, per amore del redivivo Ulisse, Telemaco, rinuncia alla mortalità, invecchia e muore con lui sull’isola di Eea: “In un’esistenza solitaria, sono rari i momenti in cui un’altra anima si fonde con la tua, così come le stelle sfiorano la terra una volta l’anno”.

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